Giovedì 15 gennaio il tribunale di Rosso, a sud della Mauritania, ha emanato il verdetto del processo contro 10 attivisti anti-schiavitù detenuti nel carcere cittadino, arrestati lo scorso 11 novembre nell’ambito di una carovana pacifica per il diritto alla terra dell’etnia harratin.

Il presidente di IRA Mauritania Biram Dah Ould Abeid, attivista di fama internazionale, premio Onu per i diritti umani 2013 e candidato alle scorse elezioni presidenziali, è stato condannato a due anni di carcere per “appartenenza ad un’organizzazione non riconosciuta”. Stessa condanna anche per il vicepresidente della stessa Iniziativa per la Rinascita del Movimento Abolizionista, Brahim Ould Bilal Ramdane, e per Djiby Sow, alla guida di Kawtal Ngam Yellitaare (“Coalizione per il progresso” in lingua peul).

Gli altri sette attivisti sotto processo sono stati rilasciati.

Le decisioni del tribunale arrivano dopo la richiesta, da parte del procuratore di Rosso, di una condanna a cinque anni di carcere per tutti gli accusati, oltre alla confisca dei beni di IRA e a pesanti ammende. Gli avvocati dei tre condannati sono già al lavoro per preparare il ricorso in appello.

Militanti dell’IRA e altri esponenti politici e della società civile mauritana hanno parlato apertamente di “processo politico” e hanno annunciato di voler continuare la loro battaglia pacifica contro questo giro di vite delle istituzioni mauritane contro chi lotta per i diritti umani. Contestazioni alla sentenza sono arrivate da attivisti anti-schiavitù sia all’interno che all’esterno del palazzo di giustizia.

Ong internazionali a tutela dei diritti umani come Amnesty International (qui il comunicato stampa in italiano) hanno sollecitato le autorità della Mauritania a rilasciare i tre attivisti, prigionieri di coscienza.

Nel frattempo fonti dell’IRA denunciano che Mariem Cheikh, l’unica attivista dell’organizzazione arrestata per i fatti di Rosso e detenuta nel penitenziario femminile della capitale Nouakchott, è stata nei giorni scorsi vittima di torture da parte delle autorità carcerarie. Violazioni dei diritti umani di questo genere sono all’ordine del giorno nelle prigioni della Mauritania.

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