Nell’ambito della programmazione culturale 2021 del Polo del ‘900, nello specifico di Dove portano i Venti. Crisi, transizioni, opportunità del nuovo decennio, Il Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà, insieme alla Fondazione Vera Nocentini e l’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini, con il supporto di Casa Gramsci e  della Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci Torino propongono un dialogo con l’artista e attivista curda Zehra Doğan, a partire dalla sua esperienza di giornalista e attivista e della prigionia nelle carceri turche, nelle quali ha cominciato a usare l’arte come mezzo espressivo per conquistare diritti e libertà per individui e minoranze oppresse.

L’iniziativa si colloca all’interno del progetto integrato “Polo internazionale. Avere vent’anni in… Siria e Libano, Balcani, Egitto e Turchia”. 

Zehra Doğan è una pittrice e giornalista curda. Nel 2017 è stata trattenuta in carcere per 33 mesi con l’accusa di “propaganda per conto di organizzazioni terroristiche”

Classe 1989, cresciuta nella città di Mardin, al confine con la Siria, Zehra Doğan si è laureata all’Università di Dicle diventando poi insegnante di disegno. Oltre a dipingere, ha lavorato anche come giornalista, «perché era inevitabile denunciare ciò che accadeva» nella sua città. Ha lavorato per la prima agenzia di notizie del mondo fondata e gestita interamente dalle donne, la Jinha, un’esperienza giornalistica senza precedenti che l’ha portata a svolgere il ruolo di caporedattrice. Jinha è nata nel 2012 ed è stata chiusa nel 2016, con il decreto legge numero 657, emesso dal Presidente della Repubblica durante lo stato di emergenza. La motivazione della chiusura era stata la stessa poi rivolta a Doğan: apologia del terrorismo.

Nel 2016 in Turchia l’artista e giornalista curda Zehra Doğan fu arrestata dopo aver pubblicato su internet alcuni post in cui denunciava le violenze del regime turco contro il popolo curdo. In particolare, un suo disegno di Nusaybin  (una città turca a maggioranza curda) in macerie e con le bandiere turche che sventolavano sui palazzi divenne virale e fu soprannominato “Guernica curda”, con riferimento al famoso quadro di Picasso che ritrae gli orrori della guerra civile spagnola. Per quell’opera, Doğan fu condannata a quasi tre anni di carcere, che scontò continuando a dipingere con i materiali che aveva a disposizione in cella. In quegli anni ricevette solidarietà da organizzazioni internazionali come Amnesty International, e l’artista britannico Banksy e dell’artista cinese AI Weiwei. 

Zehra Doğan ha sempre provato a denunciare le violazioni dei diritti umani nel sud est della Turchia facendo particolare attenzione alla vita delle donne curde schiacciate tra la violenza dello Stato e la cultura patriarcale. Anche durante la sua detenzione ha fatto la stessa cosa.

«Nel primo carcere, a Mardin, mi avevano permesso di dipingere; invece nel secondo centro di detenzione, a Diyarbakir, niente. Io, in ogni caso, ho dipinto; sulle magliette, sui giornali oppure sulla carta igienica. Ho utilizzato i residui del cibo, i miei capelli ma anche il mio sangue mestruale. Questa, per me, è una forma di resistenza contro questa cultura maschilista che maledice la donna da circa cinquemila anni. Penso di aver creato un buco nel muro della censura e della violenza che ha paura anche della pittura. Inoltre, le mie compagne di cella mi hanno aiutata a procurarmi i materiali, a nascondere i dipinti e a farli uscire fuori dal carcere, cosa che era vietata. Quindi si può parlare di una resistenza femminile collettiva che abbiamo organizzato dentro la prigione».

Doğan ricorda quel periodo produttivo in carcere anche sottolineando di aver sperimentato diverse nuove tecniche di pittura, quindi si tratta anche, in un certo modo, di una crescita artistica. Anche a livello quantitativo è stato un periodo molto fruttifero: Doğan dice di aver concluso più di trecento lavori ed è riuscita a farli uscire tutti fuori dalle mura del carcere. I suoi lavori, portati fuori dai centri di detenzione, hanno avuto un grande successo. Il famoso artista britannico Banksy, nel mese di marzo 2018, ha realizzato a New York, sullo storico muro consacrato alla street art della città, un murale che rappresenta Doğan dietro le sbarre. Sopra la sua opera ha proiettato sul muro bianco il quadro dipinto dalla collega curda e che le è costato la prigionia. «Questo ovviamente ha fatto sì che il mondo conoscesse quello che è successo a Nusaybin. Ma non solo questo gesto: in generale, tutto il sostegno che ho ricevuto, proveniente da diverse parti del mondo, mi ha aiutato molto durante la mia detenzione. Credo che il carcere sia una dura prova per un essere umano. Il detenuto si mette in discussione per diversi aspetti, quindi ricevere la solidarietà di coloro che sono fuori è una forte conferma che la detenzione sia ingiusta e che sia invece il detenuto a essere sulla strada giusta». Doğan specifica che ha ricevuto migliaia di lettere da tutti gli angoli del globo e questo ha rafforzato la sua fiducia in sé stessa.

“Il Museo Diffuso della Resistenza è onorato e felice di promuovere, all’interno di un progetto integrato del Polo del ‘900, un incontro con l’artista, giornalista e attivista curda Zehra Doğan, che usa i linguaggi dell’arte e del contemporaneo per portare avanti una lotta di liberazione e conquista dei diritti umani in difesa di singoli e minoranze oppresse. Abbiamo deciso di ospitare questo dialogo aperto alla cittadinanza, in linea con la missione del Museo che è anche Museo dei Diritti e della libertà, non solo per valorizzare l’esperienza dell’attivista politica e della giornalista perseguitata e imprigionata per le proprie idee, ma anche per riflettere sulla condizione dei giovani intellettuali e artisti cui sono negate libertà e parola in tutto il mondo e specialmente in Medio Oriente, a partire dall’esperienza esemplare di Zehra Doğan , riuscita negli anni a veicolare con alto livello estetico messaggi di libertà che vengo rafforzati dai linguaggi del contemporaneo” Roberto Mastroianni, Presidente del Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà di Torino. 

L’ evento si tiene al Polo del ‘900, giovedì 28 ottobre alle ore 18, su prenotazione (Via del Carmine, 14) e in diretta streaming sui canali FB e YouTube del Polo del ‘900 e degli istituti coinvolti (Museo diffuso della Resistenza; Istituto di studi storici Gaetano Salvemini e Fondazione Nocentini).

 

Programma

Saluti istituzionali

Alessandro Bollo (Direttore Polo del ‘900)
Roberto Mastroianni (Presidente Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà)
Marcella Filippa (Direttrice Fondazione Vera Nocentini)

Intervengono
Zehra Doğan (Artista, attivista e giornalista)
Murat Cinar (Giornalista)
Lisa Parola (Curatrice d’arte indipendente)
Cristina Voto (Ricercatrice, dipartimento di Filosofia – Università di Torino)
Giuseppe Acconcia (Giornalista e ricercatore, specializzato in Medio Oriente – Università di Padova)


Traduce
Alessandro Nobili

L’evento Facebook: https://www.facebook.com/events/604092027299506
Link di prenotazione in presenza

Informazioni:
011 01120780 | info@museodiffusotorino.it

Ufficio stampa Polo del ‘900 | sonia.vacca@polodel900.it