Nel Medio Oriente le acque si riscaldano di nuovo. Oggi, 7 ottobre 2019, l’amministrazione statunitense ha “dato il via libera” all’intervento dell’esercito della Repubblica di Turchia per invadere un altro pezzo del territorio siriano.

Le motivazioni del governo

Ormai sono anni che il governo attuale di Turchia manifesta la sua volontà di creare una “zona cuscinetto” con l’obiettivo di rimpatriare i rifugiati siriani presenti sul territorio nazionale ma soprattutto con il desiderio di costruire un “muro” contro le forze politiche e armate siriane di quella zona che dal 2014 portano avanti l’esperienza del confederalismo democratico.

Le forze di cui parliamo sono conosciute a volte con il nome delle unità di difesa popolari YPG e YPJ, a volte con la sigla del partito, PYD (Partito dell’Unione Democratica) indirettamente legate oppure con il nome dell’Esercito Democratico Siriano. Queste tre realtà pur non essendo ufficialmente e direttamente legate tra di loro hanno sempre avuto l’obiettivo di lottare contro il terrorismo dell’ISIS e costruire una zona confederale nel nord della Siria, nel cosiddetto Rojava.

L’obiettivo del confederalismo democratico e le realtà che lo difendono, in qualsiasi maniera, sono stati definiti sempre come “organizzazioni terroristiche” da parte del governo in carica in Turchia. Quest’ostilità ovviamente è stata la base del conflitto tra la Turchia e quelle realtà che in qualche maniera hanno sostenuto queste forze locali nella lotta contro l’ISIS. In cima alla lista troviamo gli Stati Uniti d’America.

Dopo i primi interventi militari è diventato più evidente come la presenza dell’esercito turco abbia scombussolato una serie di dinamiche nelle zone occupate dalla Turchia, in Rojava: dalla gestione del sistema scolastico alla gestione degli ulivi, dal cambiamento demografico della zona fino al cambiamento degli attori amministrativi delle aree dalla Turchia. Tra gli obiettivi meno palesi ci sono l’interessamento economico e il controllo a lunga durata della Turchia nel nord della Siria. Questo ovviamente si sposa perfettamente con i primi due motivi elencati in precedenza.

Senz’altro la presenza massiccia, circa 5 milioni, di rifugiati sul territorio nazionale, permette al governo in carica di utilizzare questa “carta”. Ossia, secondo il governo, di fronte a un’Europa incapace, egoista e disinteressata nel gestire la questione, in qualche maniera, la Turchia si trova a “inventare” delle soluzioni proprie. Questa è la posizione ufficiale del governo. Non sarebbe così assurdo pensare che la “carta” dei rifugiati siriani ormai sia diventata un elemento di ricatto nei confronti dell’Europa. Ed è per tali motivi che le operazioni militari della Turchia in Siria vengono abbastanza “tollerate”.

Un nuovo intervento e le reazioni esterne

In quest’ottica politica ed economica, il 6 ottobre, il Presidente della Repubblica di Turchia e il Presidente degli Stati Uniti d’America hanno avuto una conversazione telefonica per parlare dell’eventuale intervento in Siria. La pressione e la minaccia di Ankara ha trovato una risposta positiva, Washington ha dato la via libera.

Nella dichiarazione della Casa Bianca leggiamo queste parole: “Le forze armate statunitensi non saranno coinvolte nell’eventuale intervento militare della Turchia in Siria che presto inizierà. I militanti dell’ISIS arrestati in zona, in questi anni, così saranno sotto la responsabilità della Turchia”.

Subito dopo il Presidente della Repubblica di Turchia ha annunciato l’imminente intervento con queste parole: “Le forze armate statunitensi si stanno ritirando dalla zona. Non possiamo più tollerare le minacce delle organizzazioni terroristiche, possiamo intervenire a momenti. Stiamo lavorando per trovare una soluzione anche per i militanti dell’ISIS presenti nei centri di detenzione”.

Contemporaneamente è arrivata la prima reazione anche dall’Esercito Democratico Siriano: “Non esiteremo a difenderci dall’eventuale invasione della Siria da parte della Turchia”. Anche la reazione delle forze YPG è stata sugli stessi toni: “Le forze statunitensi non hanno mantenuto la promessa. L’intervento della Turchia avrà un impatto molto negativo nella lotta contro l’ISIS. Non esiteremo a difenderci e difendere la zona”.

Secondo il quotidiano britannico The Indipendent, esattamente come è successo nelle operazioni precedenti “Lo scudo dell’Eufrate” e “Il ramoscello d’Ulivo”, anche stavolta, prenderanno parte all’intervento turco anche dei membri dell’Esercito Libero Siriano. La realtà sostenuta ed armata dalle forze internazionali è accusata di comprendere, oltre gli ex militari dell’esercito siriano, anche i militanti di varie organizzazioni terroristiche.

Motivazioni interne

Dall’altra parte è impossibile ignorare l’importanza di questo intervento nello scenario politico interno. Il governo in carica da più di 15 anni è ormai molto debole. Dopo la rivolta popolare di Gezi, del 2013 ha subito un colpo grosso dalla magistratura nel 2014 grazie a una maxi inchiesta che ha coinvolto 4 ministri, diversi imprenditori e figlio del Presidente della Repubblica, tutti accusati di corruzione.

Le elezioni politiche del 2015 per la prima volta non ha permesso al Partito dello Sviluppo e della Giustizia, AKP, di comporre il governo da solo. Nonostante il fatto che sia arrivato al potere di nuovo da solo con le elezioni del primo novembre dello stesso anno ormai era evidente che sarebbe stato necessario un nuovo alleato per rafforzare il consenso popolare.

A questo punto, per la prima volta, un partito ha dato il suo appoggio esterno al governo. Così il Partito del Movimento Nazionalista, MHP, ha assicurato, al governo, la vittoria nel referendum costituzionale del 2017 e quella elettorale del 2018. Ovviamente non è da ignorare il potere che ha esercitato il governo contro gli oppositori durante lo stato d’emergenza dichiarato subito dopo il fallito golpe del 2016.

In quel periodo i media, i partiti politici, il mondo accademico, la magistratura, le forze armate ed il sistema scolastico hanno subito una grande ondata di “pulizia”. Nonostante tutto le elezioni amministrative del 2019 hanno confermato per la prima volta in modo così massiccio il declino dell’AKP. Numerose municipalità sono passate nelle mani della coalizione dell’opposizione tra cui anche le più grandi città del Paese.

Infine, va aggiunto che per la prima volta l’AKP sta vivendo una scissione importante; alcuni membri fondatori del partito hanno iniziato a creare nuove formazioni partitiche e nelle prossime elezioni si potrebbero trovare in gara con il partito al governo.

Secondo il Prof. Ömer Turan, dell’Università di Bilgi, l’eventuale intervento militare in Siria ha anche l’obiettivo di nascondere questa debolezza. Nell’intervista rilasciata al quotidiano nazionale Evrensel, Turan sostien: “La tendenza di costruire uno Stato-Partito sarà rafforzata con quest’intervento. L’AKP vuole mantenere lo stato di guerra a casa per legittimare le sue politiche aggressive e per continuare ad accusare le opposizioni di non essere interessate alla sicurezza nazionale. Il Presidente della Repubblica spesso sottolinea che l’eventuale indebolimento del suo partito minaccerebbe la compattezza della nazione. Dunque si tratta di una logica che vuole rafforzare la sua egemonia nei sistemi di amministrazione del Paese”.

Complici internazionali

In questo intervento militare, ovviamente non può essere ignorato il coinvolgimento delle forze internazionali nei progetti militari del governo in carica. Esattamente come succede nell’esempio tedesco, le armi vendute all’esercito turco, molto probabilmente saranno usate anche durante questo intervento. In un’analisi realizzata dalla Deutsche Welle, quest’operazione scatenerebbe una nuova ondata migratoria ed eventualmente lo sprigionamento dei militanti dell’ISIS per cui la Germania ne sarebbe indirettamente responsabile. Dunque questa situazione risulterebbe in contraddizione alle posizioni mediatiche e alle azioni concrete portate avanti dalla Germania in merito alla questione dei migranti e alla lotta contro il terrorismo in Siria.

Anche l’Italia, in quest’ottica, sarebbe nella stessa posizione della Germania. Secondo i dati del 2018 pubblicati dalla Camera dei Deputati, la Turchia è il terzo Paese verso quale si vendono le armi a livello mondiale ed il primo Paese tra i Paesi membri della Nato.

Reazioni interne

Andrebbe infine sottolineato che le opposizioni interne si sono dichiarate contro l’eventuale intervento militare in Siria. Il Partito Democratico dei Popoli, HDP, in una conferenza stampa ha sottolineato che l’attuale coalizione di governo vorrebbe rafforzare il suo potere tramite una guerra che causerà grossi danni. Anche il principale partito dell’opposizione, CHP, Partito Popolare della Repubblica, si è espresso contro l’intervento usando queste parole: “La Turchia non va trascinata nel fango del Medio Oriente per scopi puramente politici”.