Dice Glenn Greenwald: “cominciano a creare il clima per arrestarmi”. Si riferisce certamente alla pubblicazione sulla pagina ufficiale del ministro della giustizia della Norma di Legge nº 666 il cui testo enfatizza sia la possibilità di arresto che quella di espulsione sommaria dal Paese, di qualunque cittadino straniero sorpreso in flagrante delitto.

La lunga lista comprende i crimini più orrendi, dal terrorismo alla pedofilia, dalla associazione a delinquere fino al traffico di droga. Probabilmente però, Glenn Greenwald pensa a quella frase scritta all’inizio della Norma di Legge pubblicata ieri sul diario ufficiale e quindi dall’effetto immediato: “questa Norma riguarda il cittadino straniero che rappresenti una minaccia per la sicurezza nazionale”.
Oltre a coprirlo di insulti e minacce, lo hanno descritto come un sordido agente infiltrato di qualche potenza straniera con lo scopo di destabilizzare le nostre istituzioni e la nostra economia. Qualcuno lo ha ricoperto di insulti omofobici per la sua dichiarata omosessualità e per essere il compagno di un noto deputato con il quale ha adottato due bellissimi bambini. Dalla omosessualità alle accusa di far parte dell’industria pornografica e produrre film loschi, il passo è brevissimo. E vai con le accuse. Ma attraverso le pagine della sua agenzia di stampa internazionale, The Intercept, Gleen Greenwald continua a pubblicare i dialoghi tra i magistrati, i procuratori, i banchieri e le alte cariche dello stato. Dialoghi sotto forma di messaggi via cellulare attraverso l’applicativo Telegram. Dialoghi in cui si rivela che quello che noi chiamavamo “golpe”, lo era veramente, quello che noi chiamavamo “processo farsa” lo era veramente.  Il golpe contro l’ordine democratico, con gli accordi sottobanco e il processo farsa che ha portato alla detenzione di Lula e alla distruzione dell’economia nazionale.

I giudici che avrebbero dovuto giudicare invece istruivano i procuratori su come montare prove e accuse false, mentre i membri della corte suprema si riunivano con banchieri ed investitori internazionali a cui riferivano l’andamento delle indagini e le future sentenze sui casi che vedevano coinvolte le grandi imprese dell’industria nazionale. Un intreccio di promiscuità totale definito dagli interessati come “assolutamente normale”, anche quando per questi incontri, “da svolgersi nel massimo riserbo”, giudici, magistrati e membri della corte suprema, venivano lautamente ricompensati nel modo “consono al loro rango”.

Glenn Greenwald pubblica tutto. Il ministro della giustizia – all’epoca dei fatti magistrato che condannò Lula e protagonista dei dialoghi divulgati – nega tutto: nega la veridicità dei messaggi, nega le sue parole dette nei medesimi, nega che ha negato, nega che ha affermato, afferma che nega, nega che afferma, annega nelle sue affermazioni, afferma che non annega, ma che nuota sguazza e razzola che è una belleza in ogni parola non detta, e se detta, negata all’istante. E in più, come se non bastasse, comanda una operazione per catturare gli hackers che hanno spiato il suo telefono con il quale nega di avere tenuto dialoghi e di aver pronunciato quello che afferma di negare e che nega di avere affermato. Comanda la polizia federale in una indagine in cui l’indagato principale è proprio lui, che continua a negare ogni cosa, anzi, si nega pure di consegnare il suo telefono per una eventuale perizia tecnica. Ma afferma che, appena codificati, distruggerà ogni messaggio di cui continua a negare l’esistenza e la veridicità.

Quando ieri vengono catturati gli hackers, si scopre che sono quattro ragazzini di un paesino di campagna con un computer scalcagnato e un windows 10 a mettere in ginocchio la repubblica, a invadere i telefoni di mezzo governo, compreso quello del presidente Bolsonaro. Sembra una montatura degna dei peggiori film degli anni ottanta. Intanto Glenn Greenwald pubblica tutto. Oggi però dice “cominciano a creare il clima per arrestarmi”.

Infatti il ministro che indaga se stesso ha già detto che i quattro ragazzini pirati informatici erano in combutta con Greenwald…
Tutto però continua fermo, immobile. Una nota di ripudio dell’associazione dei giornalisti e una dell’ordine degli avvocati in cui si proclama a chiare lettere che il ministro della giustizia “agisce come il capo di un gruppo criminale”, non bastano per infiammare gli animi, il paese continua a bagnomaria, come se stessimo vivendo nella più assoluta normalità. The rest is silence…

Intanto, il presidente Bolsonaro proibisce la divulgazione di qualunque dato ufficiale sul disastro ambientale in corso in Amazzonia e censura le organizzazioni statali di ricerca sia sulla situazione del consumo di droga, che sulla geografia della fame. Censura.  A partire da oggi, i dati e gli studi, prima di essere pubblicati dovranno passare sul suo tavolo.
E adesso perché non si dica che sono un vigliacco, faccio i nomi dei personaggi a cui mi riferivo qualche riga fa:
Sergio Moro, ministro, e giudice del processo Lula.
Deltan Dallagnol, procuratore della repubblica, il grande inquisitore di Lula, Luiz Fux, giudice della Corte Costituzionale, JP Morgan, Morgan Stanley, Barclays, Nomura, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Credit Suisse, Deutsche Bank, Citibank, BNP Paribas, Natixis Societé Generale, Standard Chartered State, Street Macquarie Capital, UBS Toronto, Dominion Bank, Royal Bank of Scotland, Itaú Bradesco, Santander: banche, istituti di credito, agenzie di investimento, nominate nei dialoghi divulgati, che avrebbero partecipato agli incontri con il procuratore e il giudice prima delle elezioni di Bolsonaro alla presidenza.

Per chi fosse interessato su Gleen Greenwald;   https://en.wikipedia.org/wiki/Glenn_Greenwald