È come se la tromba sapesse di non avere più alcun interlocutore possibile. Non importa, la sua voce continua, anche quando la musica finisce, il maestro si inchina e il pubblico applaude, la sua voce continua. The Unanswered Question è forse la composizione più emblematica del XX secolo. Un tappeto armonico sul quale il suono metallico della tromba ripete poche note in attesa di una risoluzione che mai arriva, lasciando in una sorta di vuoto cosmico qualunque possibilità di dialogo. Un’assenza voluta che non è una mancanza di risposta, ma una vera e propria azione negativa, una negazione, una non-risposta in una sorta di silenzio primordiale, un ur-silenzio che toglie il significato ad ogni cosa con cui alla fine ti unisci definitivamente. La domanda non risposta, la non-risposta alla domanda. L’urlo che diventa ogni volta più flebile fino a sciogliersi nel brodo primordiale dove tutto è uguale a tutto, dove tempo e spazio non esistono più.

Dopo un anno, Lula, è ancora in prigione, e quelle domande che non hanno mai avuto una risposta chiara continuano insistenti e disperate come la tromba immaginata da Charles Ives. Sono decine i procedimenti legali per inchiodare il vecchio presidente in una farsa giuridica costruita ad arte per allontanarlo dalla politica attiva. E di tutti questi processi non ne è stato concluso nemmeno uno. In una decisione inedita la Corte Costituzionale ha deciso (con un voto di scarto) a favore della prigionia di Lula nonostante il processo di cassazione non fosse ancora iniziato. La Corte decise sotto la pressione esplicita dell’alto comando militare i cui uomini sedevano a fianco dei giudici in qualità di “assistenti”. Il comandante generale dell’esercito lo scriveva chiaramente nei suoi messaggi facebook: siamo pronti per adempiere alle nostre funzioni.

Nonostante la sentenza condanni Lula per “atti indeterminati” (dice proprio così “atti indeterminati”) la corte d’appello conferma la condanna. Ma questa non è l’unica irregolarità del processo. La frase del pubblico ministero “Non abbiamo le prove, ma siamo convinti” è diventata il simbolo dell’arbitrarietà con cui il presidente è stato condannato. Dopo averne indagato la vita per anni in cerca del frutto della corruzione hanno affermato: “Il fatto di non aver trovato niente è la prova che lo ha nascosto così bene per fuggire alla giustizia”. Così è stato condannato per aver ricevuto un appartamento in cambio di favori milionari. Togliere Lula dalla scena politica definitivamente, punirlo con la prigione come corollario al golpe bianco di due anni prima. Il risultato si è visto immediatamente: Bolsonaro presidente, il giudice Moro diventato ministro e i militari ad occupare le più alte cariche dello Stato.

I dati sono implacabili: con lo smantellamento dei programmi sociali, 55 milioni di brasiliani sono ritornati sotto la linea della miseria, ossia, vivono con un reddito inferiore ai cento dollari mensili. La riforma del lavoro che ha portato alla precarizzazione totale delle relazioni tra la classe impresariale e i lavoratori, ha prodotto 13 milioni di disoccupati in un anno. L’attacco ai diritti civili, alla democrazia, la concentrazione di ricchezza attraverso le privatizzazioni selvagge del patrimonio pubblico, del petrolio e delle risorse energetiche, fa del Brasile il territorio privilegiato per la speculazione finanziaria internazionale.

Ecco perché Lula è in prigione. Le forze della destra liberale, che dopo essersi accorta del disastro a cui ha portato la sua decisione di organizzare la destituzione della presidente Dilma, dopo essersi accorta del disastro e aver chiesto scusa pubblicamente, oggi vuole che ci si dimentichi di lui, del vecchio presidente, del più grande leader popolare della storia del paese. Vogliono dimenticarlo, abbandonarlo. In un anno il vecchio presidente ha ricevuto la visita di premi Nobel, teologi, uomini politici del mondo intero, presidenti, ex presidenti… Anche dal carcere, muto, senza poter comunicare con l’esterno continua ad essere il più influente leader popolare del paese. È per questo che dopo un anno torniamo in piazza, per rispondere alla tromba di Charles Ives, per dare una risposta alle domande, per dire che resisteremo, non solo per lui, ma per tutti noi. Lula Libero. Lula Livre.