Dopo le testimonianze di Anita SonegoPietro ForconiDavide ScottiMattia Rigodanza, Serena VitucciVeronica AlfonsiRolando D’Alessandro, Antonella Freggiaro, Valerio Colombaroli, Amnesty International di Legnano, “Storiesalvatutti” e “Ceste sospese”  , Marco Inglessis, Roberto Fanti e Paola Masiero diamo la parola a Matilda Zacco e Valentina Angotti di No Name Kitchen.

L’emergenza coronavirus ha creato una situazione nuova per tutti, sconvolgendo abitudini e certezze, ma per gli attivisti ha significato anche la cancellazione di iniziative organizzate da tempo, o ancora da realizzare. Come avete vissuto e vivete questo momento?

Sicuramente l’arrivo e la diffusione del coronavirus hanno modificato radicalmente la nostra quotidianità e i nostri stili di vita. Dopo un primo momento in cui non si riusciva bene a capire quanto e come questo virus avrebbe cambiato la nostra vita, ci siamo dovuti riorganizzare e con questo anche le varie attività che avevamo in programma.

Purtroppo, iniziative a lungo preparate e nuove proposte su cui stavamo lavorando e organizzando sono state cancellate o posticipate a data impossibile da definire.

Ci è dispiaciuto molto, ma ovviamente era giusto e necessario farlo. Al tempo stesso ci riteniamo molto fortunate in quanto dormiamo sotto un tetto, abbiamo la possibilità di andare a fare la spesa e sì, abbiamo anche una connessione Internet. La nostra preoccupazione va fuori dalle finestre di casa nostra, nei confronti di quelle persone che, già prima che si diffondesse la pandemia, si trovavano in forte stato di vulnerabilità e di difficoltà. Ora è possibile affermare che la loro condizione sia addirittura peggiorata: sono ammassati in campi profughi senza la possibilità di uscire e dove risulta molto difficile, se non impossibile, mantenere le giuste distanze o rispettare le norme sanitarie.

Quali risposte nuove e creative ha trovato il vostro gruppo per continuare la sua attività nonostante le limitazioni imposte da questa emergenza?

Oltre ad aver cancellato varie iniziative, i volontari internazionali di No Name Kitchen presenti sul campo hanno dovuto tornare nei loro paesi di origine ed è stato necessario bloccare l’arrivo di quelli che avrebbero dovuto partire. Era quindi necessario dover riassettare e riorganizzare tutto!

Dalle nostre case, abbiamo così partecipato ad incontri online o su canali radio affinché non si smettesse di denunciare le illegalità che avvengono nelle zone di confine a pochi chilometri da noi. Nei punti in cui siamo presenti, l’unica possibilità è stata quella di appoggiarci solo ed esclusivamente alle reti di volontari locali con cui da sempre collaboriamo, ma che oggi giorno rappresentano il vero e proprio volto di NNK. Pur essendo un numero limitato di persone, è grazie a loro che il lavoro sul campo riesce a proseguire.

Nel frattempo, i volontari internazionali sono stati coinvolti in varie attività: nella sensibilizzazione, nella diffusione delle campagne di raccolta fondi e nei lavori di traduzione, in quanto nell’ultimo periodo sono aumentate le pubblicazioni proprio con il fine di mantenere viva l’informazione su quello che sta accadendo lungo la rotta balcanica.

Nonostante risulti difficile sapere come la situazione si stia evolvendo a causa della presenza internazionale limitata se non inesistente, NNK ha guidato dei gruppi di volontari in grado di raccogliere informazioni dirette. Attraverso contatti di persone in movimento di loro conoscenza è stato possibile monitorare la condizione di queste persone riguardo alla diffusione del Covid19 e le relative misure prese dagli Stati. È anche un modo per mantenere viva la denuncia sulle violenze subite, che risultano silenziate nonostante continuino ad accadere. È in corso anche un lavoro di mappatura in Serbia e in Bosnia Erzegovina sui servizi necessari al momento dell’arrivo, così da essere aggiornato nel tempo e proporre un servizio utile alle persone che in futuro arriveranno.

A Velika Kladusa, in Bosnia Erzegovina, invece è partito un nuovo progetto di nome No Name Pekara. Attraverso una collaborazione con una panetteria, pekara in bosniaco, verrà dato ai giovani che vivono nelle case abbandonate un ticket con cui potranno ritirare del pane o i burek, pane condito tipico della zona. Attraverso una mappatura degli squat, iniziata e sviluppata nel corso dell’ultimo anno, i volontari hanno modo di mettersi in contatto con le persone che vivono in queste case abbandonate e monitorare il corretto funzionamento del progetto. La fase successiva sarà l’accesso ai supermercati, sempre attraverso lo stesso sistema, ma consentendo di ricevere altri prodotti, tra cui sicuramente quelli legati all’igiene personale.

Per quanto riguarda il Progetto Salute, abbiamo inviato a tutte le persone interessate o che hanno contribuito nel corso dell’ultimo anno un aggiornamento sull’accesso alle cure mediche specializzate in questi primi tre mesi dell’anno, riportando testimonianze dei volontari e dei ragazzi che hanno ricevuto l’assistenza medica di cui avevano bisogno. A Patrasso, in Grecia, è stata lanciata un’iniziativa che è stata accolta molto bene. Grazie a dei fondi precedentemente raccolti attraverso il Progetto Salute, è stato possibile fornire alle persone che vivono nelle fabbriche abbandonate tutti gli strumenti necessari, secondo le raccomandazioni sanitarie, per autoprodurre le mascherine di protezione.  Seppure a rilento a causa delle difficoltà che si sono aggiunte in questo periodo, il progetto di dare accesso a cure mediche specializzate continua. Ed è per questo che abbiamo lanciato una campagna di raccolta fondi che consentirà di portare avanti il progetto attraverso la collaborazione con la comunità locale.

Campagna CORONA IS NOT MY QUEEN: https://www.gofundme.com/f/corona-is-not-my-queen

Insomma, il lavoro di No Name Kitchen non si ferma. Gli obiettivi rimangono gli stessi pur cambiando le metodologie!