Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”.

(Articolo 22 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani)

Coerentemente con lo spirito e la lettera della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani:

condanniamo ogni risposta al fenomeno migratorio che contempli il mancato soccorso ai naufraghi, i respingimenti, l’esternalizzazione delle frontiere e le espulsioni;

  • allo stesso modo condanniamo l’intesa siglata con la Libia dall’ex ministro Minniti (e mantenuta dal neo ministro Salvini), che legittima l’esistenza dei campi di prigionia nei quali i migranti sono sottoposti a un trattamento disumano e che affida alla guardia costiera libica il compito di catturare chi prende il mare;
  • riteniamo spregevole l’atteggiamento dell’Unione Europea, sintetizzato nel Trattato di Dublino, che vieta ai migranti di raggiungere i paesi in cui desiderano andare (e nei quali le condizioni sociali e lavorative sono migliori) e pretende di lasciare il peso della loro accoglienza e della loro integrazione ai soli paesi del confine meridionale, quelli più duramente colpiti dalle politiche economiche portate avanti dalla stessa Unione e nei quali dilagano povertà e disoccupazione;
  • rifiutiamo la distinzione tra migranti regolari e irregolari, tra chi fugge dalla guerra e dalla persecuzione e chi fugge dalla povertà. A tutti va data la possibilità di un futuro migliore. Coerentemente con questo principio, denunciamo il procedimento che oggi, in Italia e in Europa, viene ipocritamente denominato “accoglienza” e grazie al quale il 90% dei migranti è condannato all’espulsione, a diventare, cioè, dei “fantasmi” senza diritti e senza possibilità di integrazione, la cui unica speranza di sopravvivenza è costituita dal lavoro nero, nel migliore dei casi. Un’ondata di nuovi poveri, che va a sommarsi a tutti coloro i quali non hanno né lavoro né un’adeguata protezione sociale, in un paese obbligato al pareggio di bilancio e, quindi, impossibilitato a investire per tutelare i propri abitanti e incentivare la ripresa economica.

Proprio la povertà crescente nel nostro paese ci sembra un dato da non sottovalutare, se si vuole spiegare  il perché dell’appoggio elettorale dato a partiti esplicitamente intenzionati a frenare il fenomeno migratorio; accanirsi a pensare che il popolo italiano sia composto da una maggioranza di razzisti e xenofobi non aiuta la comprensione dei processi in atto e allontana dalla soluzione del problema.

In Italia ci sono 5 milioni di poveri, ci sono bambini denutriti e persone che rinunciano alle cure mediche perché non possono permettersele; la disoccupazione è alle stelle e i giovani emigrano per trovare lavoro. Dobbiamo comprendere la sofferenza delle fasce popolari in difficoltà, di un popolo che sta subendo le conseguenze di una guerra – economica – che non ha voluto e non ha capito, risentito verso la politica spietata di un centrosinistra completamente convertito al neoliberismo e succube del volere dei paesi più forti all’interno dell’Unione, che per anni ha indicato l’immigrazione come un’emergenza e si è adoperato per frenarla con ogni mezzo, additando alla popolazione un falso nemico su cui riversare la propria rabbia, capitalizzata dalla destra nelle ultime elezioni.

Così si è cominciato a vedere con ostilità gli immigrati, i nuovi poveri che arrivano in un paese che non può dare lavoro e integrazione sociale né a loro né a una larga parte della popolazione italiana. Così la xenofobia, che prima della crisi economica era un fenomeno assolutamente marginale, ha preso forza; non a causa di un problema culturale, ma a causa della povertà sempre crescente.

Ancor più dei conflitti armati, che spingono verso l’Europa un numero di profughi la cui accoglienza non costituisce un problema e non viene messa in discussione, la vera emergenza è l’aumento vertiginoso della povertà nel mondo; quella che spinge popolazioni sempre più bisognose verso paesi nei quali un tempo c’erano welfare e lavoro per tutti, ma che oggi non possono garantirli più a nessuno.

Oggi esiste la possibilità di soddisfare i bisogni di ogni abitante del pianeta; la scarsità di denaro e di risorse è creata artificialmente e consente alle elites di sfruttare, impoverire e imporre enormi sacrifici alle popolazioni, a tutto vantaggio del proprio arricchimento. La forbice tra ricchi e poveri si divarica sempre di più e fa presagire un futuro in cui il modello di distribuzione della ricchezza si appiattirà ovunque sugli standard dei paesi del terzo mondo.

Quindi la soluzione al problema delle migrazioni consiste nella lotta per la redistribuzione della ricchezza.

Non stiamo parlando semplicemente di portare aiuti umanitari in Africa; stiamo parlando di un cambiamento profondo di paradigmi, di un nuovo modello economico e sociale, di democrazia reale, nei paesi europei e in quelli africani.

Fino a quando esistano flussi migratori verso il nostro paese, lo Stato deve farsi carico dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti, senza delegare questa funzione a enti privati e mettendo in atto tutte le misure necessarie affinché non si creino sacche di nuovi poveri. Per fare ciò bisogna che lo Stato possa spendere, per investire nel welfare e creare lavoro sia per gli italiani sia per gli immigrati, puntando alla piena occupazione per tutti gli abitanti del paese.

A questo scopo è indispensabile recuperare la sovranità monetaria e uscire dal rigido schema neoliberista dell’euro, uno schema monetario a sovranità privata; rifiutare il vincolo del pareggio di bilancio e dar vita a politiche economiche espansive in un’ottica redistributiva.

Per incidere sulle condizioni che stanno alla base della migrazione dall’Africa e dal Medio Oriente, l’Italia dovrebbe diventare l’elemento promotore e aggregante di un’area politica ed economica del Mediterraneo, proponendo e creando da subito processi convergenti e realmente solidali e democratici tra e con i paesi del sud Europa e quelli del Mediterraneo.

Un nuovo assetto economico-politico di questo tipo sarebbe decisivo per stabilizzare i paesi nordafricani e promuovere lo sviluppo di quelli sub-sahariani, che potrebbero finalmente uscire dal campo di influenza delle antiche potenze coloniali che tuttora ne ostacolano la crescita.