Il legame tra il commercio di armi e i trasferimenti forzati viene raramente indagato, e il ruolo delle politiche europee sul commercio di armi che agevolano le flagranti violazioni dei diritti umani nei paesi extra comunitari spesso è assente dagli studi sui flussi migratori. Il rapporto dell’Istituto Transnazionale, intitolato « Smoking Guns », stabilisce i collegamenti tra il commercio di armi in Europa e gli sfollamenti migratori forzati. L’inchiesta è firmata dal “nostro” ricercatore, Apostolis Fotiadis, e dal direttore di War and Peace, Niam Ni Briane.

Cinque casi di studio sul commercio di armi che coinvolgono aziende di interesse europeo lo dimostrano:

1. I componenti dell’elicottero italiano T-129 ATAK sono stati esportati in Turchia e utilizzati nel 2018 e nel 2019 in occasione di due attacchi nella regione di Afrin, nel nord della Siria, all’interno delle operazioni “Ramo di ulivo” e “Fontana di pace” presso la frontiera turco-siriana. Secondo le cifre dell’ONU, 98 000 persone sono state sfollate durante l’offensiva di Afrin tra gennaio e marzo del 2018, mentre altre 180 000, di cui 80 000 bambini, sono state sfollate a ottobre del 2019, in seguito all’operazione “Fontana di pace”.

2. La Bulgaria ha esportato in Arabia Saudita e negli Stati Uniti alcuni corpi missile e dei razzi, che sono poi finiti nelle mani dei militanti dello Stato islamico in Iraq. Il materiale è stato sequestrato e utilizzato a Ramadi e nelle aree circostanti, dove l’Organizzazione internazionale per i migranti ha indicato che, dall’inizio della crisi di Ramadi ad aprile 2015, più di mezzo milione di persone è stato sfollato dalla provincia di Anbar, di cui Ramadi è la capitale, e 85 470 persone sono state sfollate specificatamente dalla città di Ramadi tra novembre del 2015 e febbraio del 2016. Circa l’80% delle case di Ramadi è stato gravemente danneggiato dall’attacco. Nel 2017 è stato scoperto che un altro missile di fabbricazione bulgara era stato utilizzato dalle forze dello Stato islamico nella città di Bartella, situata a est di Mosul. Almeno 200 000 persone appartenenti a gruppi minoritari sono state sfollate dalla zona di Mosul tra il 2014 e gennaio del 2017. A luglio del 2019, più di due anni dopo la fine delle operazioni militari a Mosul, c’erano ancora più di 300 000 persone sfollate dalla città.

3. Alcuni componenti e materiali britannici, francesi e tedeschi, tra cui missili, batterie di missili e casse per il trasporto di bombe, sono stati esportati in Turchia, dove sono stati rimontati su droni di fabbricazione turca ed esportati in Azerbaigian. Questi stessi droni, carichi di componenti di armi di fabbricazione europea, sono stati utilizzati nel conflitto dei 44 giorni nel Nagorno-Karabakh, che ha provocato lo sfollamento forzato della metà della popolazione armena della regione – ossia circa 90 000 persone.

4. Tra il 2012 e il 2015, la Bulgaria ha venduto fucili, pezzi di artiglieria di grosso calibro, mitragliatrici leggere, sottomarini portatili e lanciarazzi alla polizia di Stato e all’esercito della Repubblica democratica del Congo (RDC). Il conflitto in RDC è uno dei più importanti del mondo, ciononostante l’Europa continua a fornire armi che vengono utilizzate per commettere violazioni generalizzate dei diritti umani. Nel 2017, la Serbia ha esportato 920 fucili e 114 mitragliatrici leggere, fabbricate in Bulgaria. Nello stesso anno sono state forzatamente sfollate 2 166 000 persone, e per questo è diventato uno dei peggiori anni dall’inizio del conflitto. Più specificatamente, nel 2017 sono state utilizzate armi bulgare nella provincia del Kivu Nord, e il loro utilizzo è coinciso con lo sfollamento forzato di 523 000 persone.

5. Almeno quattro navi pattuglia italiane di marca Bigliani sono state fornite alla Libia e usate dalle loro guardie costiere per bloccare a forza e trattenere i migranti che cercavano di fuggire dal paese. Nel 2019, le guardie costiere libiche hanno installato una mitragliatrice su perlomeno una di queste navi e l’hanno usata nel conflitto interno contro l’esercito nazionale libico. Molti di quelli che sono fuggiti dalla Libia erano già fuggiti da altri conflitti in altri paesi dell’Africa e dell’Asia occidentale, che probabilmente hanno comprato o ricevuto armi europee, in modo tale che per ogni fase del loro percorso, dallo sfollamento alla migrazione, il commercio europeo delle armi ha realizzato profitti enormi, prima evacuandoli, poi incoraggiandoli a raggiungere le coste europee.

Le organizzazioni, i militanti e gran parte del mondo sono già da tempo ben consapevoli di questo legame tra la fabbrica europea della guerra, le guerre e la gestione dei flussi migratori. Ma ecco delle prove che lo dimostrano. Queste aziende hanno pur sempre dei nomi, che sono ben dichiarati in questa inchiesta: Airbus (interessi franco-tedeschi), ARSENAL (bulgara), BAE Systems (Regno Unito), Baykar Makina (turca), EDO MBM (Regno Unito), Intermarine (italiana), Kintex (bulgara), Leonardo (italiana), Roketsan (turca), SB Aerospatiale (francese), TDW (tedesca), Turkish Aerospace Industry (turca) e Vazovski Mashinostroitelni Zavodi ЕAD (bulgara).

Conclusioni generali dell’inchiesta:

Le armi e le attrezzature militari fabbricate e autorizzate in Europa e in seguito vendute a paesi extra comunitari provocano sfollamenti e migrazioni forzate. Questo commercio di armi è giustificato dal fatto che questa industria è molto redditizia. Allo stesso tempo, gli attuali meccanismi di controllo e sicurezza facilitano le licenze e le esportazioni problematiche, invece che limitarle.

Il commercio di armi è una questione politica, incentrata sul profitto, ma non è sottoposta a regole. Sebbene altri settori, come l’alimentazione e l’agricoltura, non violino il diritto fondamentale alla vita e altri diritti umani come il commercio di armi, sono altresì regolamentati in modo molto più rigoroso.

Si possono rintracciare sistematicamente le armi, le attrezzature e le tecnologie militari, dalla loro origine ed esportazione fino al luogo finale dove vengono utilizzate, e si possono documentare i loro effetti devastanti sulla popolazione locale. Il rapporto conferma aldilà di ogni ragionevole dubbio che le armi europee vengono utilizzate non per difendere la popolazione o per rafforzare la sicurezza locale o regionale, come spesso si dice, ma per destabilizzare paesi e intere regioni.

L’industria bellica è coinvolta in evidenti violazioni delle clausole di non trasferimento e degli accordi sull’uso finale, nonostante il sistema di controllo apparentemente forte. I fatti dimostrano che dal momento che le armi vengono negoziate, per quanto possano essere rintracciate, è praticamente impossibile controllare come alla fine verranno utilizzate. Oltre tutto, sebbene si sappia che i paesi importatori hanno violato gli accordi che determinano la destinazione finale delle armi, gli Stati membri dell’Unione Europea hanno continuato a vendere loro armi e attrezzature militari.

Che queste armi siano state fornite all’esercito ufficiale di Stato o che siano state alla fine utilizzate da gruppi armati parastatali, o ancora che gli accordi presi sulla loro eliminazione e altri meccanismi di controllo siano stati rispettati, il risultato resta lo stesso: le armi europee sono state utilizzate in operazioni militari che hanno provocato la destabilizzazione e le conseguenti evacuazioni e flussi migratori. Tale destabilizzazione, agevolata dalle armi fornite dall’Europa, ha in seguito permesso a quest’ultima di sviluppare enormemente i suoi sistemi di sicurezza alle frontiere per rispondere alla evidente minaccia rappresentata dai rifugiati che cercano di raggiungere l’UE e di chiedere asilo.

I paesi europei rientrano tra i principali esportatori mondiali di dispositivi bellici letali, e rappresentano circa il 26% delle esportazioni mondiali nel 2015. I cinque principali esportatori di armi europei sono la Francia, la Germania, l’Italia, la Spagna e il Regno Unito – e rappresentano solo loro il 22% delle esportazioni mondiali di armi nel 2016-2020.

Le esportazioni di armi della Bulgaria, della Croazia e della Romania, di cui la maggior parte sono destinate ai paesi dell’Asia occidentale, sono aumentate quest’ultimo anno. Per esempio, prima del 2012, la Croazia esportava munizioni per meno di un milione di euro all’anno, ma dall’inizio della guerra in Siria le sue esportazioni sono aumentate ogni anno fino a raggiungere gli 82 milioni di euro nel 2016. Il Parlamento europeo ha chiesto alla Bulgaria e alla Romania di porre fine alle esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti (per il rischio di un uso improprio di queste armi), ma finora senza successo.

In Siria si calcola che 13 milioni di persone abbiano bisogno di assistenza umanitaria, e che più della metà della popolazione sia ancora sfollata dalle proprie case, tra cui 6,6 milioni di rifugiati che vivono nei paesi limitrofi come la Giordania e il Libano, e che poi cercano di fuggire verso l’Europa, finendo nelle mani di chi li ha fatti evacuare. 6,7 milioni di persone ancora sono state fatte trasferire all’interno della Siria.

Come porre fine allo sfollamento di milioni di persone causato dalle esportazioni di armi europee?

L’Istituto Transnazionale ha organizzato una discussione molto interessante per andare oltre nel dibattito, martedì 28 settembre alle 17 GMT. La discussione ha avuto luogo online e tra i relatori ci sono stati, oltre all’autore dell’inchiesta “Smoking Guns” citato al primo paragrafo, Apostolis Fotiadis, la dott.ssa Hannah Newman (deputata europea dei Verdi), Catherine Woolard (direttrice del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati), Andrew Feinstein (autore del libro ‘A world in the shadows : the inner sanctum of the global arms trade’) e Leonie Haddavi (ricercatrice dell’Organizzazione europea OSINT).

Vedi anche :

Crisi climatica e armamenti: Commento di Apostolis Fotiadis (GR)
« I poteri fuori controllo », nuovo libro di Apostolis Fotiadis (GR)
Apostolis Fotiadis : L’Europa fa politica sulla crisi dei rifugiati (SP, ING, ITA, GR)

Traduzione dal francese di Raffaella Piazza. Revisione: Silvia Nocera