Proprio in queste ore in cui in Italia si sta valutando la formazione di un altro governo, la situazione di urgenza nel Mediterraneo, quella legata al salvataggio della vita delle persone non si arresta ma continua.

E’ infatti con una mail delle 11.28 di questa mattina che la Mare Jonio è tornata a chiedere aiuto al Centro di Coordinamento Marittimo Italiano per un porto sicuro di sbarco.

L’associazione Mediterranea ha portato ancora una volta a conoscenza delle condizioni psicofisiche di estrema vulnerabilità delle persone a bordo della nave Mare Jonio, dovute ai loro tragici vissuti e alle violenze subite in Libia. Condizioni aggravate dall’esperienza della morte di sei compagni di viaggio e dall’attuale situazione di incertezza e di sospensione del diritto in cui versano che si configura come “trattamento inumano e degradante”.

Nel farlo, Mediterranea ha ricordato la recentissima pronuncia del GIP di Agrigento nella vicenda della nave Open Arms, nella quale è stato ribadito come, “sulla scorta delle Convenzioni internazionali UNCLOS, SOLAS, e SAR, per come esplicitate in dettaglio nelle discendenti Linee Guida IMO”, e confluite nella direttiva SOP 009/2015, il Coordinamento delle operazioni di salvataggio ricada “sullo Stato che per primo ha ricevuto notizia di persone in pericolo in mare fino a quando il RCC competente per l’area non abbia accettato tale responsabilità” (proc. Pen. n. 3609/19 RGGIP). Nel nostro caso questo Stato è l’Italia.

Già questa mattina alle 9, il personale sanitario di bordo della Mare Jonio aveva nuovamente inviato alle autorità competenti una nuova richiesta urgente di entrata in porto della nave, a causa del rischio di emergenza igienico-sanitaria.

In particolare, a destare allarme è la mancanza di acqua destinata a uso igienico e alle altre necessità di bordo, mancanza che si protrae da ormai 40 ore e di cui le autorità sono informate già dalle prime ore di ieri mattina.

Nella richiesta si sottolineava che questa emergenza non può evidentemente essere risolta con il semplice invio di bottiglie di acqua.

Desta allarme inoltre la presenza a bordo di rifiuti derivanti dal salvataggio e dalla permanenza a bordo dei naufraghi (come i vestiti impregnati di benzina e di deiezioni): il rischio di malattie comunitarie è aggravato dalla mancanza d’acqua, con conseguenti possibili danni per la salute di naufraghi ed equipaggio.

E’ stato inoltre ricordato che “l’obbligo di salvataggio delle vite in mare costituisce un dovere degli Stati e prevale sulle norme e sugli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’Immigrazione irregolare”. La nostra Costituzione di dice chiaramente che il diritto internazionale prevale sul Decreto Sicurezza che in questo momento ci tiene fuori dalle acque territoriali.

Per il caso Open Arms l’autorità giudiziaria ha già aperto un procedimento penale per non avere assegnato un porto sicuro di sbarco.

E’ per questi motivi che Mediterranea con urgenza dettata dall’aggravarsi delle situazioni, torna a chiedere con forza che le Istituzioni italiane non continuino in questa violazione del diritto e dei diritti e che prevalga dopo mesi di illegalità e cattiveria gratuita, il rispetto delle persone e delle leggi, ribadendo in caso contrario di essere pronti a denunciare questi comportamenti in tutte le sedi competenti.

Il vecchio governo non c’è più, non si sa bene cosa sarà di quello nuovo, ma l’urgenza di salvare vite nel Mar Mediterraneo continua, e va oltre la presenza di un governo oppure di un altro, perchè il concetto che dovrebbe passare è che le persone e le loro vite vengono sempre prima di qualunque altra cosa.