Ha vinto di nuovo l’astensione nelle elezioni presidenziali del 2017, con oltre il 50% degli aventi diritto al voto che non sono andati alle urne. Il Cile si conferma in testa ai Paesi con la minore partecipazione elettorale in America Latina, e al secondo posto nel mondo dopo il Madagascar.

Secondo l’ultimo report del Servizio Elettorale del Cile, Servel, di cui siamo in possesso, con il 92% dei voti scrutinati, solo 6.325.858 cileni su un totale di 14.308.151 sono andati a votare. Si tratta del 44%. Della minoranza che ha votato, il 54,5% ha preferito il candidato liberista ortodosso in economia e ultraconservatore in campo etico, già presidente nel periodo 2010-2014, Sebastián Piñera Echeñique. Solamente un 45,5% della minoranza si è espressa a favore del candidato della Nueva Mayoría (ex Concertación), Alejandro Guillier Álvarez.

Sebastián Piñera, fratello di José Piñera, uno dei più spietati collaboratori civili della dittatura di Augusto Pinochet, non è solo uno degli individui più ricchi del Cile e del mondo (con un patrimonio “ufficiale e legalizzato” stimato in più di 2 milioni di dollari, secondo la rivista Forbes), ma è direttamente coinvolto in reati come la corruzione bancaria e finanziaria, la presenza di denaro depositato in paradisi fiscali e la collusione corporativa, per citare solo alcuni illeciti.

Repubblicani e democratici

Lo Stato cileno, avanguardia ed esempio capitalista mondiale delle strategie politiche antipopolari, dei cosiddetti aggiustamenti strutturali e della guerra contro qualsiasi organizzazione sociale degli oppressi che si esprima come dissidenza attiva, presenta un sistema politico-istituzionale simile a quello degli Stati Uniti d’America. In altre parole, Sebastián Piñera incarna il Partito Repubblicano, mentre Alejandro Guillier il social-liberalismo del Partito Democratico. Un duopolio dalle sfumature impercettibili che ha amministrato e acuito gli interessi e la dittatura del capitale dal golpe dell’11 settembre 1973, rappresentando di fatto la continuità intensificata, dal 1990, delle trasformazioni organiche imposte mediante la violenza criminale della tirannia pinochetista nel corso dei suoi 17 anni.

Il problema non è il voto volontario

La cosiddetta “casta” o “classe politica” (per la sua impermeabilità e la sua costituzione strutturale come gruppo d’interesse specifico), formata dal compromesso tra le due parti del duopolio, fingendo “cambiamenti” ai quali credono in pochi, si è alternata al comando dell’Esecutivo a totale beneficio del capitale, soprattutto nella sua fase finanziaria ed estrattivista. Umanità e natura, esplotazione ed espoliazione, sono le dimensioni che hanno pagato i costi di una lotta feroce e senza tregua di fronte agli interessi delle lavoratrici, dei lavoratori e dei popoli (meticci e indigeni).

In Cile non si tratta unicamente dell’egemonia, per quanto senza contrappesi, di un regime nepotista e incestuoso. I lavoratori salariati e le classi popolari del paese devono far fronte a una tutela civile che ha convertito tutte le relazioni sociali in merce e valore di scambio. Allo stesso modo, nel Paese sono presenti, dalle più brutali fino alle più sofisticate, tutte le forme e strategie di alienazione e di disciplinamento sociale. Ovvero, la riproduzione simbolica incessante della spettacolarizzazione e il feticismo della merce, manifestate nelle famiglie, nelle scuole, nel lavoro, nei mezzi di comunicazione di massa, nella tecnologia, nell’organizzazione urbana, nella relazione campagna/città, nella deificazione della proprietà privata e nella cultura in generale.

Nella mattinata del 17 dicembre 2017, prima che si conoscesse il risultato elettorale, l’attuale presidente Michelle Bachelet, che dovrà abbandonare La Moneda nel marzo del 2018, ha affermato di essersi pentita di aver fatto approvare il voto volontario e l’iscrizione automatica nelle liste elettorali. Ancora una volta, la sconfitta della Nueva mayoría sarebbe responsabilità “della poltrona del signor Otto”*. Bachelet, per provare a spiegare la crisi della democrazia rappresentativa e antipopolare cilena, non riesce a fare altro che stabilire come variabile determinante l’implementazione del voto volontario e dell’iscrizione automatica. Ossia, le stesse classiche considerazioni dell’oligarchia storica del Cile: la stragrande maggioranza della società è catalogata come “immatura e ignorante” nel momento in cui vota per gli stessi candidati e programmi da 27 anni, imposti dall’altro e senza nessuna partecipazione popolare. Bachelet non vuole riconoscere che la popolazione in Cile non va a votare semplicemente perché dopo ogni elezione la sua vita concreta non cambia in nulla. E la governante in carica non parla neanche del fenomeno della corruzione, che dilaga praticamente in tutte le istituzioni del Paese. A quanto sembra, alla Bachelet dà solamente fastidio “la brutta immagine” che il Cile dà di sé nello scenario internazionale.

Ad ogni modo, mentre scriviamo concitatamente il presente articolo, per le povere e i poveri, i salariati, la cosiddetta “classe media”, gli indebitati, gli indigeni, le antipatriarcali, i giovani senza futuro, l’ambientalismo coerente, gli anziani in condizioni di miseria, la dissidenza sessuale e i popoli senza diritti sociali che vivono in Cile, dovremo continuare a lottare, come facciamo da tanto tempo, per diventare una sola mano. Perché la mano riunita è la condizione necessaria di un pugno chiuso capace di distruggere la scarpa del padrone e superare un modo di esistere disumano.

Andrés Figueroa Cornejo

Foto della giornata elettorale a cura di Dalia Chiu:

 

Traduzione dallo spagnolo di Domenico Musella

*NdT: Secondo una classica barzelletta popolare cilena, l’ingenuo “don Otto”, venuto a sapere di essere stato sistematicamente tradito dalla moglie sulla poltrona di casa, per porre fine “drasticamente” all’infedeltà della sua signora, decide di vendere la poltrona, individuata come causa dei tradimenti.