Il secondo incontro del ciclo “Terza guerra mondiale a pezzi”, promosso da  IPSIA (Istituto Pace Sviluppo Innovazione ACLI), si è concentrato sul continente africano, con varie testimonianze di italiani coinvolti a diverso titolo in attività di cooperazione e sviluppo.

Interessante l’analisi di apertura proposta da Chiara Saraceno, in un video registrato in occasione dell’evento “Siamo Europa”, tenutosi a Trento il 12-14 maggio, in cui la sociologa riflette sul fatto che le “guerre a pezzi” hanno continuato ad esistere nell’indifferenza dell’occidente. L’idea che dopo la Seconda Guerra Mondiale vi fu un lungo periodo di pace è vera solo in parte, dal momento che solo in Europa e negli Stati Uniti tale pace è stata effettiva. Recentemente l’occidente ha iniziato a guardare al di fuori dei propri confini per rendersi conto che i conflitti che avvenivano in altre zone toccavano anche la parte più sviluppata e pacificata del mondo. Grazie allo sviluppo delle comunicazioni, dei canali di informazione, dei trasporti, si sono rotti almeno in parte i confini dell’invisibilità. Ai conflitti postcoloniali sono seguiti i conflitti per il possesso della terra, ad esempio per l’installazione di monocolture, in cui sono coinvolte imprese transnazionali. Tali conflitti non sono diversi dai conflitti postcoloniali di un tempo, se non per il fatto che manca la pretesa del controllo politico del territorio. Vi sono poi conflitti locali, di carattere tribale, religioso, che sono comunque conflitti di potere che presuppongono responsabilità a livello internazionale.

All’interno di questo quadro generale sono state presentate varie relazioni sulla situazione relativa ad alcuni paesi del continente africano. La prima testimonianza è stata quella di Giorgio Boneccher che ha illustrato ciò che avviene in Sud Sudan, paese dilaniato dalla guerra civile iniziata nel 2005 che ha portato all’indipendenza dal Sudan nel 2011. A questa è seguita un’altra guerra civile, dal 2013, con scontri su base etnica per il controllo del petrolio, principale risorsa economica del paese, oltre che per il controllo dei fondi provenienti dagli aiuti internazionali. Solo la presenza delle forze ONU di peacekeeping ha scongiurato il pericolo di un genocidio come quello avvenuto in Rwanda. Ulteriori scontri avvenuti nel 2016 hanno inasprito le già difficili condizioni di vita della popolazione civile, aggravata anche dalla diminuita produzione agricola, nel momento in cui il conflitto si è spostato nell’estremo sud, cintura agricola del paese. Ciò ha determinato un’ondata di profughi che si sono necessariamente riversati verso i paesi limitrofi, soprattutto in Uganda, con cifre che sfiorano il milione di persone rifugiate. Il campo profughi ugandese di Bidibidi è uno dei più grandi al mondo, con quasi 300 mila persone rifugiate.

Il secondo intervento è stato quello di Donatella Conzatti, che ha illustrato la situazione nello Zimbabwe, dove il Trentino è impegnato da tempo con iniziative di solidarietà. In particolare ha illustrato il lavoro dell’Associazione Spagnolli, dedita alla gestione di strutture sanitarie e orfanotrofi. Il paese è ricco di contrasti, con parti molto sviluppate, con buone infrastrutture ed una struttura amministrativa solida ereditata dal periodo della colonia britannica. Il paese dagli anni 80 ad oggi è stato retto dal dittatore Mugabe, ormai 93enne, che ha determinato il progressivo decadimento di quella che era considerata la “Svizzera d’Africa”. L’economia è ormai allo sfascio, l’inflazione galoppante, pietre preziose e materie prima sono ormai oggetto di traffici illegali, che coinvolgono anche esseri umani ed armi. La situazione igienico-sanitaria è molto precaria, la popolazione molto giovane, la mortalità altissima, con un terzo della popolazione malato di AIDS e la malaria endemica.

Un testimone dal Burundi ha parlato della dittatura che affligge il paese, con il presidente Nkurunziza al terzo mandato (il limite per legge era di due mandati) che sta attuando manovre per essere rieletto. Il paese, come noto, soffre di etnismo, con lotte per il potere da parte delle due principali etnie, Hutu e Tutsi. Il regime autoritario ha determinato la sparizione, tortura e uccisione di migliaia di persone, l’accesso ai giornalisti è precluso, la cosiddetta “jeunesse” del partito sparge il terrore tra i civili, imponendo la linea presidenziale che vuole sbarazzarsi, anche fisicamente, di ogni possibile opposizione. Anche il Burundi conta migliaia di profughi che si spostano negli stati limitrofi, soprattutto Congo, Tanzania e Rwanda. La difficile situazione politica ha avuto ripercussioni anche sull’economia del paese, la cui crisi è stata inasprita ulteriormente dal taglio degli aiuti internazionali.

Mariano Prandi ha illustrato la situazione della Repubblica Centrafricana, caratterizzata nella sua storia da un susseguirsi di colpi di stato. Nel marzo 2013 l’ennesimo tentativo di golpe viene attuato dai ribelli di Seleka (=alleanza), supportati da miliziani di Chad e Sudan che entrano nel paese attraverso il Sudan, spargendo il terrore con saccheggi e violenze. Il tentativo è quello di islamizzare la Repubblica Centraficana, seguendo il modello del Sudan. L’intervento delle Nazioni Unite si è rivelato difficile e dal popolo centrafricano è sorta una milizia cristiana (detta “anti-balaka”) volto al contrasto di Seleka, anch’essa responsabile di massacri e violenze ai danni della popolazione di fede musulmana.

Ultimo intervento è stato quello di Giovanna Venditti sul Sahara Occidentale, caratterizzato da una situazione di crisi molto complessa che dura da oltre 40 anni. Gli interessi del Marocco su quest’area sono dovuti essenzialmente al fatto che si tratta di uno dei maggiori produttori mondiali di fosfati e alle rilevanti risorse ittiche, oltre che recentemente la scoperta di giacimenti petroliferi. Il popolo Saharawi, soprattutto attraverso l’organizzazione militante del Fronte Polisario, si appella al concetto di autodeterminazione dei popoli e, sebbene questo diritto sia riconosciuto da parte delle Nazioni Unite, le stessa ONU paradossalmente riconosce anche il diritto del Marocco ad esercitare il controllo sul territorio del Sahara Occidentale. Tale controllo del Marocco è stato ed è esercitato anche attraverso la costruzione di un muro in pieno deserto, grazie all’appoggio di ingegneri statunitensi e israeliani, che occupa più dei tre quarti del territorio di confine. L’associazione Tempora onlus si occupa di aiuti alla popolazione, soprattutto attraverso la costruzione di impianti per l’acqua potabile.

L’incontro si è concluso con un ricordo di Antonio Papisca, professore emerito di Relazioni internazionali all’Università di Padova, scomparso il 16 maggio scorso. Il presidente del Forum Trentino per la Pace, Massimiliano Pilati, ha ricordato l’impegno costante di Papisca per la promozione del concetto di diritto alla pace, che è andato oltre i confini dell’accademia per divenire vero e proprio impegno civile.

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