Molte menzogne e molte imprecisioni sono state dette in questa campagna referendaria. Gli argomenti a favore del “sì” sono sempre stati affidati a slogan senza fondamento alcuno; quelli del “no” raramente hanno messo in luce gli aspetti più gravi della riforma costituzionale proposta dal governo.

Vediamo dunque i veri motivi per cui la riforma sarebbe davvero pericolosa per il nostro paese, smascheriamo l’intento di intrappolare il nostro futuro nella morsa di un liberismo estremo e di un centralismo completamente antitetico allo spirito dei tempi.

Da Costituzione socialdemocratica  a Costituzione neoliberista

Come è noto, un rapporto della J. P. Morgan del 2013 avvertiva che le Costituzioni dei paesi europei risentono di un’eccessiva influenza delle idee socialiste, soprattutto in riferimento alla tutela dei diritti dei lavoratori. Nel 2012 Monti ha cominciato lo smantellamento di quelle “idee socialiste” includendo nella Costituzione il “pareggio di bilancio” che di colpo l’ha trasformata da “socialdemocratica” a “neoliberista”, perché adesso l’Italia è obbligata a contenere la spesa pubblica e, quindi, a demolire lo stato sociale e privatizzare tutto il possibile. È una condanna all’austerità perpetua. Oggi Renzi vuole completare l’opera: la riforma allarga anche a Comuni e Regioni l’obbligo del pareggio di bilancio. Inoltre modifica  l’articolo 117 inserendo, oltre alla tutela della concorrenza (già presente nel testo attuale) anche la sua promozione. Infine, sempre nello stesso articolo, dove il testo attuale cita la previdenza sociale tra le competenze dello Stato, nel testo della riforma si aggiunge “ ivi compresa la previdenza complementare e integrativa”. L’intento è chiaro: legittimare la progressiva diminuzione della spesa pubblica destinata alle pensioni, a favore dello sviluppo della previdenza privata.

Accentramento del potere anziché democrazia diretta

I nuovi articoli 116 e 117 sottraggono autonomia a Comuni e Regioni. Con la riforma molte materie di competenza degli Enti Locali passerebbero allo Stato: politiche sociali, politiche attive del lavoro, istruzione, commercio estero, salute, produzione e trasporto di energia, infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione, governo del territorio, porti e aeroporti civili e molte altre. Si introduce la Clausola di supremazia: la legge dello Stato può intervenire in materie regionali, quando lo richieda la tutela dell’interesse nazionale. Grandi opere come Tav, ponte sullo Stretto, Muos, potrebbero essere imposte senza che gli abitanti dei territori comunali e regionali possano far valere le proprie ragioni e necessità.

Solo le Regioni in equilibrio di bilancio potrebbero chiedere maggiore autonomia legislativa; quindi, presumibilmente, le “virtuose” regioni del Nord potrebbero conservare una quota di autonomia, mentre quelle del Sud (che hanno le stesse spese delle prime, ma molte meno entrate) dovrebbero sottostare alle decisioni dello Stato centrale.

Se a questo si aggiunge il fatto che anche i Senatori (come prima di loro i Consiglieri provinciali) non sarebbero più eletti con il voto diretto da parte del popolo, possiamo concludere che, senza ombra di dubbio, questa riforma va nella direzione di accentrare il potere, di limitare la partecipazione dei cittadini e di ridurne drasticamente la sovranitàAddirittura lo Stato di Guerra sarà deliberato solo dalla Camera dei Deputati, senza neppure il voto del Senato.

Tutto questo mentre nella base sociale si avverte una grande insofferenza verso le forme della democrazia puramente rappresentativa e cresce la richiesta di partecipazione e di influenza sulle scelte politiche al di là del voto. C’è un grande fermento di comitati e di iniziative auto-organizzate in tutti i campi, fenomeni spontanei refrattari alla manipolazione ed estremamente critici nei confronti della gestione sempre più verticistica della cosa pubblica. Mentre i cittadini, soprattutto i giovani, pretendono una maggiore partecipazione e sperimentano nuovi modelli di Democrazia diretta e orizzontale, il governo va nella direzione opposta e cerca di far passare una riforma della Costituzione in senso centralista e verticista.

Lo stesso orientamento sta alla base della proposta di cancellare il CNEL, astutamente presentata come “abolizione degli Enti inutili”. Ma che cos’è il CNEL? Il Consiglio Nazionale del Lavoro  è un organo di consulenza delle camere e del governo. Ha anche iniziativa legislativa economica e sociale ed è composto dai rappresentanti delle categorie produttive del paese: rappresentanti del lavoro dipendente, di quello autonomo, delle imprese, delle associazioni di promozione sociale e del volontariato. La sua abolizione significherebbe non solo cancellare un’ulteriore forma di rappresentanza popolare, ma anche eliminare l’influenza diretta del tessuto produttivo e sociale nell’elaborazione delle leggi. Ma intanto, a chi importa ormai del parere di chi, giorno per giorno, produce la ricchezza del paese? Le leggi ce le dettano le banche e le lobby finanziarie, sotto lo pseudonimo di “Unione Europea”.

Cessione di sovranità a scatola chiusa

In più della metà dei 47 articoli oggetto della riforma vengono inseriti riferimenti all’Unione Europea. Per esempio, si scrive che Stato e Regioni hanno una potestà legislativa vincolata dall’ordinamento europeo. Si sta riscrivendo la Costituzione legando in modo indissolubile il nostro paese alle decisioni che vorrà imporci quel coacervo di interessi ultra-liberisti che, in definitiva, sono i Trattati Europei.

Illustri giuristi hanno segnalato l’incostituzionalità di questo aspetto della riforma, che contravviene all’Articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

L’Articolo 11 non vincola l’Italia al rispetto di alcun Trattato o Organismo Internazionale in particolare e tanto meno lo fa in modo aprioristico. Non nomina l’ONU, per esempio. Semplicemente ammette la limitazione di sovranità in linee generali e soltanto nel caso che essa sia utile ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni. Perché dunque vincolare l’Italia all’Unione Europea in modo esplicito e conferire a tale vincolo la sacralità che deriva dalla sua inclusione nella Carta Costituzionale, che è la base di tutte le leggi del paese?

Siamo di fronte a un’evidente forzatura. E se un bel giorno si scoprisse che l’Unione Europea non assicura affatto la pace e la giustizia tra le nazioni? O che non garantisce un rapporto di parità tra tutti gli Stati che la compongono? Vogliamo sentire cosa ne pensano i greci del loro rapporto di parità con la Germania?

Per terminare: il quorum

Nessuno sta ricordando agli elettori che per questo Referendum non c’è il quorum. Ovviamente non chiarire questo aspetto conviene ai sostenitori del Sì, che si potrebbero avvantaggiare di quella triste abitudine, ormai ben inculcata nell’elettorato, che induce molti sostenitori del No (nei Referendum abrogativi!) a non recarsi alle urne per far fallire il quorum anziché giocare la partita in modo democratico. Questa volta ogni voto conta davvero.

Giovanna Ubaldeschi

Membro del Coordinamento Nazionale del Partito Umanista – Italia

 

 

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