Incontro di un’intensità senza precedenti ieri sera alle Acli di Milano per parlare di criminalizzazione della solidarietà, Ong e soccorso in mare.

Ha introdotto la serata Giovanna Procacci a nome della Rete Sostenere Riace, ripercorrendo le iniziative organizzate in un anno di attività e ribadendo il nesso tra il processo a Mimmo Lucano e l’attacco furioso agli attivisti solidali in tutta Europa, ormai in rotta di collisione con le politiche disumane attuate dall’UE. Un attacco su più fronti – processi (poi finiti in nulla), fermi amministrativi delle navi, diffamazioni mediatiche, bugie spudorate – che punta ad alimentare l’odio e la paura dell’invasione dei migranti e a cui è necessario opporsi contrastando le menzogne e riaffermando la verità.

Introdotte da Duccio Facchini di Altreconomia abbiamo potuto ascoltare le testimonianze preziose e toccanti dei relatori, in prima linea nei salvataggi in mare e dunque in grado di confutare con la forza dell’esperienza diretta la narrazione tossica portata avanti dai media e dalle istituzioni. Ha iniziato Riccardo Gatti di Medici senza Frontiere, presentando prima di tutto i dati reali: 20.000 tra morti e dispersi in mare negli ultimi anni, di cui 1.362 nel 2022 (e questo è solo il numero documentato). 100.000 persone sbarcate da inizio anno, assai meno delle 180.000 del picco verificatosi nel 2015. Nessuna invasione, dunque. Di queste circa il 10% viene soccorso dalle navi umanitarie, mentre il resto arriva a terra grazie all’intervento della Guardia Costiera Italiana, o in modo autonomo. Perché tanta furia contro le Ong, allora? Semplice: sono le uniche testimoni delle intercettazioni e dei respingimenti illegali compiuti dalla Guardia Costiera Libica, ampiamente finanziata dall’Italia con motovedette, radar e mezzi di terra e le uniche a documentarli e denunciarli e dunque vanno fermate a ogni costo.

Le Ong si muovono dentro una cornice chiara, basata su convenzioni e trattati e su un principio che dovrebbe essere ovvio: tutte le persone salvate sono naufraghi vulnerabili e vanno sbarcate nel porto sicuro più vicino, alla faccia dell’indegno tentativo di sbarco selettivo avvenuto a Catania. Dall’altra parte il governo si muove in una cortina di fumo, tattiche, stratagemmi e bugie per distorcere la realtà e sottrarsi ai suoi obblighi, rendendo il soccorso in mare sempre più difficile.

Accompagnato da un video di grande efficacia, Luca Ciarlariello, attivista e psicologo di SOS Humanity, anche lui, come Riccardo Gatti, tra i protagonisti del braccio di ferro con il governo avvenuto il mese scorso a Catania, ha raccontato l’esperienza vissuta a bordo della Humanity 1 con una straordinaria partecipazione umana. Ha descritto il sollievo dei migranti salvati una volta arrivati a bordo, ma che poi non riuscivano a dormire e mostravano gravi disturbi psicologici, i colloqui con i minori traumatizzati, la cerimonia di commemorazione dei sette compagni caduti in mare e lasciati annegare all’inizio del viaggio, con una preghiera a cui ha partecipato tutto l’equipaggio e i sette squilli di tromba per onorarli, la vita in comune, i report sulle torture, la gioia alla notizia dello sbarco mescolata alla tristezza e al timore di non trovare più un appoggio come quello ricevuto sulla nave, lo sciopero della fame delle 35 persone rimaste a bordo a Catania perché giudicate non abbastanza vulnerabili per poter scendere a terra. In sintesi: l’unico antidoto a tutto questo orrore è la capacità di mantenere e affermare l’umanità e il valore delle persone.

Luca Marelli di Seawatch ha descritto un aspetto poco conosciuto, ma importantissimo dei salvataggi in mare: quello dei piccoli aerei Sea Bird 1 e 2 che partendo da Lampedusa pattugliano il mare, avvistano le imbarcazioni in pericolo e le segnalano perché vengano soccorse. Purtroppo gli aerei sono spesso testimoni di intercettazioni e respingimenti da parte della Guardia Costiera Libica, che non esita a sparare sulle imbarcazioni dei migranti e a speronarle e arriva a minacciare i velivoli di abbatterli con missili terra aria. Il drammatico video girato dall’alto di una minuscola barchetta inseguita e bloccata da un’enorme motovedetta libica ha suscitato una profonda emozione nel pubblico: sembrava un film e invece era tutto vero.

Corrado Mandreoli di Resq ha sottolineato l’importanza di affiancare all’opera di soccorso in mare quella degli equipaggi di terra. Bisogna lavorare per trasformare il contesto attuale, creare un’altra narrazione e costruire comunità vivibili per tutti, senza le mostruosità di cui siamo stati testimoni durante la serata. Ha poi presentato l’appello “Una bandiera dell’ONU per le navi umanitarie”, con due richieste: intervenire per la revoca del riconoscimento della zona SAR libica e autorizzare l’esposizione della propria bandiera sulle navi delle Ong, come forma di protezione e garanzia.

L’ultimo intervento, di Livio Neri dell’ASGI, ha ribadito che in base al diritto consuetudinario e alle convenzioni internazionali gli Stati hanno l’obbligo di svolgere operazioni di ricerca e soccorso in mare (che si concludono solo con lo sbarco in un porto sicuro di tutte le persone a bordo delle navi). Ha poi citato due casi che dimostrano come questo dovere prevalga su qualsiasi altra considerazione: la sentenza della Cassazione sul caso Von Thalassa, che ha considerato un atto di legittima difesa la ribellione dei migranti alla riconsegna ai libici da parte del rimorchiatore che li aveva soccorsi e il riconoscimento del diritto/dovere di forzare il divieto di ingresso nelle acque italiane da parte di Carola Rackete nell’acceso scontro con Salvini dell’estate 2019.

Nonostante questi precedenti, assistiamo a tentativi spudorati come quello di Gasparri di reintrodurre pesantissime sanzioni per le navi umanitarie (a cui a suo tempo si era opposto Mattarella invocando il principio di proporzionalità) e l’ennesima riproposizione da parte del Ministro Piantedosi di un concetto screditato come il “pull factor” esercitato dalle navi delle Ong. Il calderone fatto di disprezzo istituzionale, invenzioni e bugie influenza l’opinione pubblica e rischia di creare norme mostruose, ma, ha concluso Livio Neri con una nota di ottimismo, questo processo di criminalizzazione della solidarietà non è irreversibile. L’atteggiamento non infiltrato dall’odio di molti giovani dà infatti motivo di speranza.

Conclusi gli interventi, si è aperto uno spazio per le domande del pubblico. Sono così emersi il tema del ruolo ambiguo dell’UNHCR nei confronti dei migranti in Libia, confermato da Riccardo Gatti e Luca Marelli, che ha citato la recente protesta dei rifugiati davanti alla sede dell’agenzia ONU a Ginevra e quello della drammatica situazione dei CPR. Un finale forte, con l’invito a non dimenticare i tanti esempi di umanità che illuminano questi tempi oscuri e difficili.