Abbiamo intervistato come Europa per la Pace un italiano che vive in Ucraina e che per motivi di sicurezza preferisce rimanere anonimo. Molto ben informato sugli avvenimenti, ci mostra la grande necessità di pace che ha la gente e a chi finiscono gli aiuti umanitari dell’Occidente..

Lei vive in una zona dell’Ucraina non colpita direttamente dalla guerra. Come si svolge la vita quotidiana?

Prima una precisazione dovuta e necessaria: nessuno qui è russofono o pro-Putin. Si sa che Putin è un “dittatore”. Tutti qui amano l’Ucraina e vogliono la pace.

In questa zona, centro e ovest del paese, la guerra la si sente solo via televisione e via radio. Ogni tanto passa un aereo e poche volte lo si vede a bassa quota. Sappiamo di strutture militari colpite dai missili russi, ma non abbiamo mai percepito un reale pericolo. La guerra, quindi, ha agito nella quotidianità esclusivamente negli aspetti dell’economia famigliare e lavorativa. Ad esempio, il carburante viene razionato (5 litri al giorno per ogni mezzo) e spesso viene a mancare per più giorni. La fila per fare benzina a volte dura qualche giorno, perché il distributore finisce quanto ha a disposizione in prima mattinata e le auto vengono lasciate al loro posto in attesa dell’arrivo delle cisterne. Questo vuol dire che non c’è carburante per spostarsi in auto se non in casi di estrema necessità, ma soprattutto non c’è carburante per i trattori, per le barche, per i camion, per gli autobus locali (ridotti a uno al giorno mentre prima ce n’erano otto). Da questo punto di vista la forza lavorativa è decimata.

Le scuole hanno lavorato con lezioni via Internet per tutto l’anno per via del corona virus e hanno proseguito così durante questi mesi di guerra. Ieri era l’ultimo giorno per molti studenti e le cerimonie scolastiche si sono tenute come se non ci fosse una guerra in corso.

I prezzi dei beni sono raddoppiati da circa due mesi. Talvolta mancano sale e farina. Ci sono giorni in cui gli alimentari sono semi vuoti, altri in cui tornano alla normalità.

Il vero problema sociale è il lavoro. La guerra in questa zona ha creato un problema di occupazione. L’incertezza sul futuro ha di fatto ridotto gli investimenti e aumentato la chiusura di molte attività. Se poi si aggiunge che molti uomini sono stati precettati per il servizio militare, dal punto di vista sociale il risultato è disastroso.

Tuttavia tutti si danno da fare e ciascuno fa la sua parte. La vita procede normalmente. I bar, alcuni ristoranti e il cinema sono talvolta aperti. La domenica i mercati pullulano di gente. La discoteca è aperta venerdì e sabato. Si è più poveri e c’è meno cibo sul tavolo di casa a cena. In questo senso si è consapevoli che il Paese è in guerra.

Ma quindi gli aiuti dall’Europa non sono arrivati?

Sono arrivati, ma al mercato nero, non alla popolazione. Molti beni alimentari mandati dall’Europa sono in vendita presso i negozi, o al mercato rionale. La pasta Barilla, ad esempio, si vende invece di essere fornita a chi ne ha bisogno. Lo stesso vale per i vestiti inviati in questi mesi: salvo rari casi, sono tutti in vendita presso le bancherelle. Nessuno ha organizzato la distribuzione e messa in sicurezza dei beni inviati e il resto si spiega da solo.

Neanche il governo ha inviato aiuti in queste zone. Molti ospedali sono senza personale. Non c’è stato alcun aiuto sociale per le famiglie, nemmeno per quelle che hanno i propri cari al fronte per difendere il Paese. Molti militari arruolati negli ultimi tre mesi non hanno ancora percepito il promesso pagamento mensile. Molti si chiedono dove sono finiti i fondi di solidarietà inviati dal mondo. Di certo non alle famiglie o ai militari. Tutti si domandano: dove sono finiti i fondi europei? Dove finiscono gli aiuti umanitari? A chi vanno?

I militari al fronte si lamentano della mancanza di armi e munizioni, con video sinceri sui social liberi da propaganda. Nella nostra zona non tutti gli uomini sono stati precettati perché mancano fucili e tutto quello che servirebbe per farne militari da mandare al fronte. Mancano anche le divise. Dunque, la domanda è: dove sono tutte le armi fornite dall’Occidente? Dove finiscono i miliardi di sostegno a favore del riarmo dell’Ucraina? Per la sua difesa? Perché a livello militare, possiamo dire senza errore che nulla è migliorato se non per le armi specializzate (cannoni, mitragliatrici, razzi e droni). Chi e come gestisce i fondi per i militari? Queste sono domande da farsi e a cui dare risposta quanto prima. Lo dicono tutti i cittadini di questa regione.

Quali sono i commenti della gente comune riguardo alla guerra?

In questa zona, fin dall’inizio della guerra la maggioranza dei cittadini era contraria al modo in cui il governo ha agito. Durante le prime settimane c’erano incredulità e paura, poi si è passati alla rabbia. Questo perché la maggioranza dei cittadini, patrioti che amano questo Paese, non comprende la necessità di una guerra nata per l’ingresso nella NATO e per un territorio a sud che poteva benissimo essere gestito quale regione speciale russofona. Molti sono contrari alla NATO e ricordano il bombardamento della Serbia. Tantissimi sanno che nel paese la cultura russa è parte integrante della sua struttura: basti pensare che nelle università di Kharkiv le lezioni sono in russo, non in ucraino. La forzatura compiuta da parte del governo attuale è per la maggioranza una cosa incomprensibile e nefasta.

Molti non credono che la Russia voglia conquistare il Paese. Il buon senso dice che se avesse voluto farlo, avrebbe preso subito Kiev e Odessa, bombardandole senza pietà. Invece, tutti comprendono che la Russia cerca di fare pochi danni (se non nelle zone di guerriglia del sud) e pochi morti fra i civili innocenti. È sotto gli occhi di tutti quelli che vivono qui. Le guerre che ricordano i vecchi erano ben diverse.

La gente comune vuole la pace con la Russia. La vuole alleata. Vuole che l’Ucraina resti neutrale riguardo allo scontro Russia/NATO. La gente comune vuole un accordo che preveda il suo ingresso in Europa, ma non nella NATO (che vede come una iattura). La gente comune vuole vivere in pace e far crescere questo Paese, che negli ultimi anni è rimasto al palo in quanto a infrastrutture, libertà di pensiero e lotta alla corruzione (che ha raggiunto livelli mai visti negli ultimi vent’anni).

Oltre alle persone che appoggiano le scelte del presidente Zelensky, esiste anche un’opposizione?

Sì, esiste. Circa un mese fa esisteva anche una stazione radio clandestina che si opponeva alle scelte del governo. Era molto seguita, perché su tutti i canali statali le notizie e le informazioni sono centralizzate dal governo. Questa stazione da circa dieci giorni è svanita. Per fare un esempio importante: i media dicono quanti soldati russi sono morti e quanti mezzi militari russi sono stati distrutti, ma nessuno sa quanti soldati ucraini hanno perso la vita e qual è la situazione dei mezzi di difesa.

Esistono molteplici canali Telegram che sono gestiti da cittadini ucraini, chiaramente di opposizione. Hanno un coraggio enorme, poiché negli ultimi mesi alcuni di loro sono stati arrestati e condannati.

A quali informazioni possono accedere i cittadini? Canali televisivi, Internet…

I canali televisivi sono stati unificati. Tutte le notizie vengono gestite e fornite da un unico canale governativo, via etere e via Internet, che funziona in quasi tutto il territorio. Grazie alle reti private virtuali si possono però ottenere informazioni anche da altre fonti, comprese quelle russe.

Uno dei motivi con cui la Russia giustifica l’intervento militare è la reazione alle violenze contro la popolazione russa in Ucraina che andrebbero avanti dal 2014. Questo è stato un argomento di dibattito durante questi anni?

Certamente, specialmente fra i più giovani, che usano Internet e si informano su canali non strettamente governativi. Come ho già accennato, molti si chiedono il motivo di tanto astio nei confronti delle zone del Donbass. Quasi tutti i Paesi, compresa l’Italia, hanno aree del proprio territorio dove, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ci sono minoranze (o maggioranze) di cultura diversa da quella indicata sulle mappe geografiche. Sono tutelate con leggi speciali e hanno statuti che le rendono zone importanti per il Paese stesso.

Dal 2014 c’è stato un crescendo di propaganda di estrema destra nelle scuole e nelle università. Posso testimoniare personalmente questo fatto. Si è cercato di creare un clima avverso alla cultura russa e in generale a favore del nazionalismo e della “razza ucraina”. Questo termine può sembrare ridicolo, ma non per chi ha conosciuto il nazismo del 1940. La televisione non ha mai parlato delle violenze nel Donbass e quando lo ha fatto ha sempre definito “terroristi” coloro che non erano militari ucraini, ma semplici cittadini. Le violenze di Odessa e altre non sono mai state realmente trattate dalla stampa, se non da pochi oppositori che lentamente sono usciti dalla scena mediatica ufficiale.

Al dibattito fra i cittadini, quindi, non ha fatto eco un dibattito politico aperto e franco, anzi. Come si può vedere in questi mesi, chiunque la pensi diversamente dal governo in carica viene “marchiato” con termini che insultano la libertà e la democrazia. Tutti i gruppi politici non allineati con il Presidente in carica sono stati chiusi con la forza e spesso anche minacciati.

Vorrei sottolineare con forza e fermezza due cose: non è propaganda il fatto che è una forza di estrema destra a guidare il Paese, in tutte le sue forme; non è propaganda il fatto che dal 2014 questo Paese è rimasto com’era prima, ma con forti pressioni a svendersi a offerte finanziarie provenienti dai Paesi europei e dagli Stati Uniti. Sono fatti inconfutabili, specialmente per chi vive e lavora qui, a prescindere dal credo politico. Io non sono di “sinistra” e non sono “comunista” e posso affermare con certezza quanto sopra.

Tra gli ucraini che conosce, alcuni sarebbero disposti a cedere territori alla Russia pur di far finire la guerra?

Certamente. Come ho detto prima, la maggioranza è convinta che la guerra andava evitata trovando un accordo per uno statuto speciale delle zone russofone del Donbass. Ora la maggioranza è stufa di questa guerra che assume sempre più i connotati di una guerra nel nome degli Stati Uniti contro la Russia, per mano del proprio Paese. Per tutti la domanda base è: che senso ha? Come si fa a pensare di poter vincere contro la Russia? Quanti giovani dovranno ancora morire per un inutile capriccio politico?

Da quanto si sente in queste settimane un numero crescente di famiglie crede che sia ora di fermare le ostilità e concedere alla Russia quanto conquistato, magari con un patto che salvaguardi Odessa e quanto è rimasto di ucraino al sud.

Ci sono immigrati extracomunitari nella sua zona? Come vengono trattati dal governo?

Non ho informazioni al riguardo. Tuttavia, posso affermare che in tutta l’Ucraina Il razzismo nei confronti degli extracomunitari viene “insegnato”.  Anche in tempo di pace la presenza di extracomunitari era pressoché minima se paragonata a quella in altri paesi dell’Est Europa.

Rispettiamo la sua scelta di rimanere anonimo. Sarebbe davvero pericoloso per lei se si sapesse di questa intervista?

Direi proprio di sì. Chiunque fornisca informazioni diverse da quelle gestite dal governo (e dai suoi uffici), può essere rintracciato, interrogato e accusato di alto tradimento, anche per aver detto o scritto su Facebook che mancano il sale e la farina nei negozi. Una coppia di amici ucraini è stata presa e portata via per quasi sei giorni, solo per aver scritto sui social la verità: manca il carburante e non possiamo andare al funerale di nostro nonno che viveva a 200 km da Kiev.

Non ho paura dei cittadini, con i quali si parla apertamente. Ho paura dei militari e dei servizi del governo in carica.

La ringrazio per questo spazio e per il lavoro che svolge. La pace viene sempre al primo posto. E la pace si ottiene tramite mediazioni, negoziati, concessioni e un atteggiamento nettamente contrario alla guerra in ogni sua forma. Tutto ciò purtroppo qui non c’è stato.

Europa per la Pace