La mattina presto del 1° aprile 2020, la nostra grande Silvia Swinden ci ha lasciati dopo una formidabile battaglia contro una serie di problemi di salute che hanno avuto ripercussioni sul suo corpo negli ultimi tre anni, ma che per fortuna non le hanno mai offuscato la mente.

Siliva era nata a Buenos Aires, in Argentina, in una famiglia ebrea non praticante.  Entrambi i suoi genitori erano insegnanti e la sorella maggiore, Luci, ha seguito le loro orme, ma Silvia voleva diventare medico.  E lo è diventata nei primi anni Settanta, durante la dittatura militare nel suo paese.

È a questo punto della sua vita che si imbatte per la prima volta nel crescente movimento di attivisti che seguono gli insegnamenti di Silo.  Questo sarà il momento cruciale della sua vita e la cambierà per sempre.  Il suo messaggio su come guarire la sofferenza risuonava fortemente in lei: “Solo la fede interiore e la meditazione interiore possono porre fine alla violenza in te, negli altri e nel mondo che ti circonda”, ma gli strani personaggi conosciuti in quell’epoca la dissuasero dal partecipare formalmente!

Il suo lavoro con il sindacato dei medici la portò a trascorrere quattro settimane in prigione durante la guerra più sanguinosa dell’Argentina contro il suo stesso popolo: era una tra le decine di migliaia di arrestati dall’esercito, molti dei quali furono assai meno fortunati di lei.  Silvia non aspettò un secondo avvertimento.  Al momento del suo rilascio tenne un basso profilo, guadagnò e prese in prestito tutto il denaro necessario e si imbarcò sulla prima nave per Barcellona, dove contattò immediatamente i siloisti che si erano stabiliti là. Insieme iniziarono a far crescere i loro gruppi.

Fu attraverso il siloismo che alla fine incontrò l’uomo che sarebbe stato l’amore della sua vita, l’amico, il compagno e alla fine il marito, Jon.  I siloisti di tutto il mondo si erano incontrati alle Canarie nel 1978. Silvia conobbe Jon e si innamorò subito di lui (“Ho sempre avuto un debole per i ragazzi che assomigliavano a Gesù Cristo”, mi ha detto una volta), nonostante ognuno dei due parlasse solo qualche parola della lingua dell’altro.

Nel 1981, dopo una situazione complicata di tre anni sia per Silvia che per Jon, si trasferì a Londra con un po’ di inglese rudimentale e si immerse nel Movimento Umanista che si stava allora sviluppando nel Regno Unito.  Il tempismo fu però un po’ sfortunato, perché finì quasi in carcere una seconda volta, quando nell’aprile 1982 scoppiò la guerra delle Falkland e le autorità britanniche pensarono seriamente di fare una retata di tutti i cittadini argentini presenti nel paese “per la loro stessa protezione”.

Le qualifiche mediche argentine di Silvia non erano completamente riconosciute nel Regno Unito; dovette così sottoporsi agli esami medici britannici e decise di specializzarsi in psichiatria.  Alla fine Silvia sarebbe diventata una dei più importanti psichiatri forensi del paese, occupandosi delle assassine più violente.  La sua attività professionale si svolgeva soprattutto nelle carceri e nelle aule di tribunale, cercando di impedire che queste donne facessero del male a se stesse e agli altri.

Ma la sua carriera non è mai stata la sua vita.  La sua vita era il siloismo.  Come molti siloisti, la considerava  l’unica filosofia che avesse senso tra tutte le violenze fisiche, economiche, psicologiche, sessuali, razziali e morali che il sistema imponeva ogni giorno alla popolazione globale.  Negli anni Ottanta, trascorreva ore del suo tempo libero per le strade a parlare alla gente della necessità di un cambiamento personale e sociale simultaneo, costruendo gruppi della Comunità per lo Sviluppo Umano, del Partito Umanista, del Movimento Umanista e più tardi del Centro delle Culture.

Fu in quei giorni (dicembre 1988) che incontrò me, un ingenuo ragazzo di campagna che non sapeva niente di molto importante e passò ore ispirandomi a trasformare la mia vita usando le tecniche sviluppate nel Movimento Umanista.  Il modo in cui raccontava le storie e il modo in cui spiegava la dottrina era magico.  Me ne stavo seduto lì in soggezione, innamorandomi del mondo che lei dipingeva nella mia testa, pensando tra me e me “Come potrò mai avere la capacità di ricordare tutto questo per poterlo ripetere agli altri?”  Qualunque fosse la situazione in cui mi trovavo, qualunque fosse la difficoltà, Silvia conosceva sempre la parte giusta degli insegnamenti di Silo a cui ricorrere, la tecnica giusta, l’aneddoto giusto da condividere.

Insieme cercammo di umanizzare prima Highgate, il quartiere dove lei viveva, e poi Camberwell, dove vivevo io. Quando questo non funzionò ci lanciammo oltreoceano, unendoci alla crescente schiera di umanisti che stavano portando avanti missioni in Africa, Asia e America Latina.

Arrivammo a Nairobi nell’agosto del 2000, non sapendo cosa aspettarci e ci ritrovammo a coordinare un workshop di due giorni per 50 persone.  Non potevamo credere a quello che stava succedendo.  Per i successivi quattro anni abbiamo viaggiato spesso in Kenya, ripetendo l’esperienza con un numero sempre maggiore di persone che, pensavamo ingenuamente, vedeva il mondo allo stesso modo in cui lo vedevamo noi.  Silvia, ispirata da queste esperienze, iniziò a ripeterle in Colombia.  Correva rischi a volte enormi viaggiando in autobus per la campagna colombiana in un periodo di aperta guerra civile.  Tornò anche a Barcellona, ritrovando molti amici con cui aveva già lavorato negli anni Settanta.  Questo ricongiungimento le ha portato un’enorme gioia.

Silvia, per me, era caratterizzata dalla sua incredibile intelligenza e alla fine si è trasformata in una scrittrice.  Negli anni Novanta iniziò a scrivere il suo primo libro, From Monkey Sapiens to Homo Intentional, pubblicato nel 2006.  Conteneva le sue intuizioni sull’umanesimo, la psicoanalisi, la sociologia e la psicologia comportamentale, la violenza, il darwinismo, l’economia e la scienza, tra molti altri argomenti.  Esponeva la sua visione del mondo attraverso la lente dell’insegnamento di Silo e ricordo che era assolutamente terrorizzata all’idea di inviargliene una copia!  Forse lui era l’unica persona che poteva farla dubitare di se stessa, ma alla fine le diede il suo sigillo di approvazione.

Quando nel 2009 venne lanciata Pressenza in preparazione della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, Silvia si unì all’impresa con tutto il cuore.  Aveva sempre qualcosa di interessante da dire sull’attualità ed era una delle scrittrici più prolifiche dell’agenzia.  Nel nostro archivio ci sono 954 suoi articoli, tradotti in tutte le nostre lingue!

L’ultimo grande scritto di Silvia è stato una monografia dal titolo “Lo spazio di rappresentazione come esperienza psicosociale, una psicologia dell’immagine, l’intenzionalità, gli impulsi e la trascendenza al servizio della rivoluzione nonviolenta”.  Il contributo di Silo alla psicologia attraverso lo sviluppo dello schema della coscienza e dello spazio di rappresentazione l’affascinava.  Come psichiatra poteva vedere tutti i difetti di ciò che la medicina occidentale stava facendo nel campo della psicologia e della psicoanalisi, ma era abbastanza saggia da riconoscere anche i punti validi e come la psicologia siloista potesse dare un contributo.  Si affrettò a finire la sua monografia quando, nel dicembre 2016, arrivò una diagnosi probabilmente sbagliata di cancro al pancreas.  I medici non hanno mai scoperto la radice del problema all’interno del suo corpo, ma ciò che è certo è che questo ha portato alla leucemia che alla fine le ha dato il colpo di grazia.

L’ultimo periodo dopo quella diagnosi portò Silvia ad alcune delle esperienze più profonde della sua vita.  Si dedicò a risolvere ogni traccia di contraddizione nella sua vita, riconciliandosi con tutto e tutti, aiutata da un gruppo di amici di tutto il mondo: Ariane, Dani, Karen, Danny, Inma, Monica, Dario e molti, molti altri in visita a Londra e a distanza, hanno potuto sostenerla e aiutarla a purificarsi.

La sua situazione ci teneva tutti in un limbo. Tante volte abbiamo pensato di essere arrivati agli ultimi giorni, e tante volte lei è stata più forte delle malattie, così che ho iniziato a chiamarla la mia amica immortale!  Ci sono stati giorni bui, ma soprattutto giorni fantastici.  Si è presa gli ultimi giorni di lucidità in ospedale in isolamento per fare un ultimo ritiro personale e sistemare le questioni in sospeso.  È rimasta assolutamente lucida fino a circa quattro giorni prima di lasciarci.  È così che voleva andarsene.  Geniale fino alla fine!  C’è un documento sul suo computer da qualche parte con una sintesi dell’esperienza degli ultimi tre anni che non vedo l’ora di leggere, un giorno.

Silvia ci lascia nel periodo forse più interessante della storia dell’umanità dal Rinascimento italiano.  La pandemia del coronavirus sta stravolgendo il mondo, mostrando nuovi percorsi mai immaginati prima.  Era qui per assistere all’apertura di una porta verso una nuova civiltà, ma non è stata in grado di attraversarla con noi.

Si unisce a molte delle sue guide più importanti nella costellazione dei grandi che ci hanno preceduto nel compito di umanizzare la Terra e di aprire la strada al mondo brillante che ha dipinto nella mia testa tanti anni fa.

Tutti noi di Pressenza e tutti coloro che l’hanno conosciuta oggi ringrazieremo per il tempo che ha trascorso con noi e per il contributo positivo che ha saputo dare in tante delle nostre vite.

Silvia Swinden nata Bercu (1949 – 2020) lascia il marito Jon e la sorella maggiore Luci.

Qui di seguito riportiamo il testo della Cerimonia di morte dei Siloisti, tratta dal libro “Il Messaggio di Silo”.  In questo momento non esistono parole più toccanti e utili.

La vita è cessata in questo corpo. Facciamo uno sforzo per separare nella nostra mente l’immagine di questo corpo dall’immagine di chi ora ricordiamo.

Questo corpo non ci ascolta, questo corpo non è colui che noi ricordiamo.

Chi non sente la presenza di un’altra vita separata dal corpo consideri che, anche se la morte ha paralizzato il corpo, le azioni compiute in vita continuano ad operare e la loro influenza non si potrà mai fermare.

Questa catena di azioni innescata in vita non può essere fermata dalla morte. Com’è profonda la meditazione su questa verità, anche se non si comprendono completamente le trasformazioni di un’azione nell’altra.

E chi sente la presenza di un’altra vita separata, consideri anch’egli che la morte ha solo paralizzato il corpo; che la mente si è ancora una volta liberata trionfalmente e si fa strada verso la Luce.

Qualunque sia la nostra opinione, non piangiamo i corpi. Meditiamo invece sulla radice delle nostre convinzioni e una calma e silenziosa allegria giungerà fino a noi.

Pace nel cuore, luce nella ragione!

 

Traduzione dall’inglese di Anna Polo