Anche ieri a Torino è comparsa un’altra scritta antisemita, proprio nel Giorno della Memoria.

In un intervento al Teatro Erba a Torino Gustavo Zagrebelsky diceva:

"Perché gli sbandati (usiamo questa categoria) si ritengono autorizzati a certi gesti, 
anche se loro sono degli irresponsabili? Perché si è ormai creato un clima in cui 
queste cose sono tutto sommato diffuse e persino accettate. E quindi ci dobbiamo 
preoccupare non tanto di quel soggetto, ma di chi siamo noi tutti insieme, 
che cosa siamo diventati."

Credo sia importante fare delle riflessioni sullo stigma sociale.

Il vocabolario Treccani riguardo alla parola “stigma” dice:

"In psicologia sociale, attribuzione di qualità negative a una persona 
o a un gruppo di persone, soprattutto rivolta alla loro condizione sociale e reputazione"

Lo stigma ha sempre una valenza negativa?

Se io stigmatizzo ad esempio un reato, e la persona che lo ha commesso, sbaglio? La risposta, come sempre, non può che essere complessa.

Condannare socialmente un reato, è di per sé una cosa auspicabile, serve da monito, ma se io “appiccico” un etichetta indelebile a colui che lo ha commesso, che in futuro potrebbe cambiare, avere orrore per gli atti compiuti, addirittura per la persona che è stata, ecco che compio un errore madornale.

Lo stigma sociale può derivare da tabù e qui il pensiero va all’orientamento sessuale, all’identità di genere, in particolare le persone transgender sono tutt’oggi tra le più discriminate, spesso anche dalle proprie famiglie.

Si scatena volentieri contro le diversità, ricordiamo che fino a non molto tempo fa le persone diversamente abili venivano segregate dalle famiglie stesse, per vergogna, o più propriamente per paura dello stigma.

Può essere creato ad arte, diffondendo delle balle, quelle che elegantemente oggi chiamiamo fake news o che nella Germania nazista si chiamavano propaganda: un insieme di notizie verosimili, ma non vere, che vengono diffuse per scatenare, contro il soggetto prescelto, l’innata paura per la diversità che è insita nell’essere umano.

Spesso lo stigma è appunto rivolto ad un gruppo di persone: il fatto che una persona di etnia Rom delinqua, trasforma ogni Rom in un delinquente. Il fatto che una persona di origine africana spacci, trasforma tutti gli africani in spacciatori.

Lo stigma, preesistente per alcune appartenenze (Rom, gay, “asociali” ecc…),  per altre come gli ebrei, creato ad arte dalla propaganda nazista, è stato l’inizio di uno scellerato percorso culminato con la “soluzione finale”.

Lo stigma discrimina, “espelle” dalla propria comunità le persone appartenenti alle categorie stigmatizzate, piano piano queste categorie perdono diritti, status sociale, questo nell’indifferenza di alcuni e con l’approvazione di altri.

Lo stigma è implacabile, ecco che persone che non hanno nessuna colpa, che semplicemente sono nate in un’area del mondo povera o pericolosa per la propria vita, che legittimamente -esattamente come ognuno di noi – cercano di elevare la propria condizione di vita, divengono soggetti da cannoneggiare in mare: ma non è anche questa una “soluzione finale”?

Lo stigma è un ingrediente tossico che rende una società invivibile, e non solo per coloro che sono stigmatizzati: peggiora la qualità della vita di tutti, creando odi, ripicche, violenza.

Se noi ci soffermassimo per qualche secondo a comprendere quanta sofferenza creiamo con lo stigma, quanto lo stigma sia deleterio per la vita quotidiana, affettiva, di relazione delle persone discriminate, avremmo orrore di noi stessi.