Sono stati giorni intensi sul fronte del Mediterraneo centrale, scenario di più di una guerra.

Quella in Libia, da cui cercano di fuggire donne, uomini, bambini, che per salvarsi la vita possono solo rischiarla a bordo di gommoni destinati ad affondare, o di imbarcazioni precarie affidate alle onde di un mare già lastricato di migliaia di cadaveri e lasciato deserto di ogni soccorso istituzionale.

Quella dei governi europei contro questi profughi in fuga; governi che dall’alto, con assetti aerei dei paesi membri, guidano le milizie libiche nella cattura di profughi che, se non annegano, vengono il più delle volte riportati indietro alle bombe e alle torture.

La guerra, infine, di questi stessi governi, quello italiano in testa, contro le navi della società civile, che in questo scenario di sangue sono gli unici soggetti che insistono nel cercare di difendere la dignità della vita umana e lo stato di diritto in mezzo a quel mare.
Nelle prime settimane di questo mese di maggio molti atti di queste guerre si sono consumati.

Il 2 e l’8 maggio come Mediterranea, in mare con la nave Mare Jonio, abbiamo denunciato quattro casi di catture da parte dei libici in cui gli aerei dei paesi europei hanno giocato un ruolo fondamentale nel segnalare le posizioni di quelle povere imbarcazioni con a bordo centinaia di persone riportate nell’inferno della Libia. Lo scambio di comunicazioni tra libici ed europei è stato ascoltato da bordo attraverso il canale radio VHF16.

Il 9 maggio circa 70 persone, tra cui molti bambini piccoli, partite dalla Libia, annegano a largo della Tunisia nonostante Alarm Phone avesse rilanciato da ore il loro disperato messaggio di aiuto cui l’Europa e la stessa Tunisia rimangono sorde: questo accade di continuo nel Mediterraneo, mentre il Viminale continua a dare falsi numeri sulle morti in mare, oltraggiando ancora una volta queste vite.

Lo stesso giorno la nostra Mare Jonio si imbatte in un gommone sgonfio che imbarca acqua: a bordo 30 persone, tra cui la piccola Alima, meno di due anni, il cui sorriso ritrovato tra le braccia del nostro equipaggio ha restituito a noi stessi e al mondo il significato profondo del nostro essere dove i governi vorrebbero non ci fosse nessuno. Terminato il soccorso, abbiamo immediatamente chiesto istruzioni e un porto sicuro di sbarco al centro di coordinamento marittimo italiano. Dopo alcune ore ci è stata inoltrata in risposta una mail del Ministero degli Interni che diceva di ordinarci di contattare i libici in quanto autorità competenti: un ordine rispedito al mittente con l’elenco di tutti gli articoli del diritto internazionale che avremmo violato qualora lo avessimo fatto. Una sorta di istigazione a delinquere, a renderci complici di un crimine che i governi europei hanno scelto di perpetrare, ma di cui noi, nella nostra azione di obbedienza civile, non ci potremo mai macchiare. Alima, la sua mamma, il suo papà e le altre persone che abbiamo avuto il privilegio di soccorrere e abbracciare sono state portate da Mare Jonio a Lampedusa in meno di 24 ore, raggiungendo il porto sicuro più vicino come la legge prescrive.

Il 15 maggio la nave Sea Watch 3 soccorre 65 persone ancora a largo della Libia, tra cui alcuni bambini piccolissimi. Nel frattempo, mentre il Ministro dell’Interno giura che mai sbarcheranno in Italia, l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite invia una lettera destinata al Ministro degli Esteri italiano, redatta da sei special rapporteurs che condannano come un attentato ai diritti fondamentali la bozza di decreto sicurezza bis diffusa dal Viminale, e soprattutto le direttive che lo stesso ha indirizzato proprio contro Mediterranea Saving Humans e la nostra nave Mare Jonio. “Allarmante”, scrivono gli esperti Onu, è che in questi documenti la Libia venga dichiarata un porto “in grado di offrire ai migranti adeguata assistenza medica e logistica”, considerato che “la guardia costiera libica ha commesso molteplici violazioni dei diritti umani, inclusa la collusione con le reti dei trafficanti e il deliberato affondamento di imbarcazioni”.

Gli stessi esperti si dichiarano “profondamente preoccupati per le accuse contro la nave Mare Jonio, che non sono state confermate da nessuna autorità giudiziaria competente” e che “rappresentano un altro tentativo politico di criminalizzare gli attori umanitari che offrono servizi di soccorso indispensabili a proteggere la vita e la dignità dei migranti”.

In questa lettera, redatta anche dalla Special Rapporteur sulla tratta Maria Grazia Giammarinaro, l’Onu spiega al governo italiano che il traffico di esseri umani è agevolato dalla chiusura dei porti e dalla delega ai libici della vita e della morte dei naufraghi, mentre le navi della società civile stanno di fatto cercando di spezzare questo traffico di vite umane.

Eppure, un’ennesima direttiva del Viminale raggiunge, sempre il 15 maggio, anche Sea Watch, cui si intima di restare fuori alle acque territoriali italiane, perché il suo passaggio sarà considerato “non inoffensivo”. Una distorsione, ancora una volta, del diritto internazionale del mare, i cui principi vengono letteralmente capovolti per ostacolare il soccorso delle vite in mare e il rispetto della loro dignità.

Ma Sea Watch, come Mare Jonio qualche giorno prima, sceglie di seguire il diritto e non i proclami isterici di un governo in perenne campagna elettorale, ed entra in acque italiane. Lo sbarco dei naufraghi soccorsi avverrà poche ore dopo, per ordine della Procura di Agrigento, che per Mare Jonio come per Sea Watch ha ordinato un sequestro probatorio, ovvero atto ad accertare i fatti accaduti. Anche l’indagine aperta sui due comandanti e sul coordinatore di missione di Mare Jonio rispecchia un approccio volto a fare chiarezza, e non la condanna predefinita che un’iniziativa di polizia giudiziaria aveva chiesto per Mare Jonio consegnando un provvedimento di sequestro preventivo della nave non convalidato poi dai magistrati.

In questo quadro si inserisce l’assurda reazione di un ministro che minaccia di incriminare dei magistrati perché stanno facendo il loro lavoro, e la discussione sul Decreto sicurezza bis: un tentativo pericoloso ed eversivo di minare su più livelli la separazione dei poteri su cui si fonda l’assetto costituzionale italiano. Un proclama che, qualunque esito concreto avrà, dovrebbe spaventarci tutti perché segna la volontà esplicita dell’affermazione dello stato di polizia sullo stato di diritto.

Mare Jonio e Sea Watch 3 sono adesso al porto di Licata, entrambe. Due navi che hanno il merito non solo di andare in zone di guerra a portare umanità e rispetto delle persone, ma a cui è toccato in questi giorni il compito enorme di contribuire a difendere i principi democratici e i fondamenti del diritto e dei diritti contro l’arbitrio di un potere che sta mettendo a rischio davvero la sicurezza di tutti.

https://mediterranearescue.org