Il testo dell’intervento di Carlotta Weibl, portavoce di Sea-Eye, all’assemblea di Mediterranea.

Il 3 aprile, in acque internazionali al largo della Libia, abbiamo salvato 64 persone che si trovavano su un gommone in avaria. Poiché la guardia costiera libica sembrava essere fuori servizio e il centro di coordinamento dei soccorsi a Tripoli non rispondeva alle e-mail e alle telefonate di Sea-Eye, è stata inoltrata la richiesta di un porto sicuro di sbarco ai Centri di coordinamento del soccorso marittimo (MRCC) di Roma e La Valletta. Come tutti sappiamo, in Libia i rifugiati e i migranti non hanno accesso a una procedura di asilo equa e non hanno alcuna tutela dei loro diritti umani. Infatti sono esposti ogni giorno a tortura, schiavitù e stupri. La Libia non può essere considerata un luogo sicuro in ogni caso e, con gli ultimi sviluppi politici e con l’incombente guerra civile, è chiaro che un porto sicuro può trovarsi solo a nord della Libia. La Alan Kurdi si è quindi diretta verso il porto sicuro più vicino, quello di Lampedusa.

Al largo di Lampedusa non solo ci è stato negato l’accesso al porto, ma anche alle acque territoriali italiane. Abbiamo ricevuto un’e-mail da MRCC Roma in cui si diceva che non potevamo entrare nelle acque territoriali in quanto la Alan Kurdi avrebbe rappresentato una minaccia “per la pace, il buon ordine o la sicurezza dello Stato costiero”, secondo l’Art. 19 UNCLOS (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare). Abbiamo seguito gli ordini impartiti dalle autorità e non siamo entrati nelle acque territoriali.

64 persone, sommate ai 17 membri dell’equipaggio, superano la capacità di trasporto della Alan Kurdi. Tuttavia, chiunque è più al sicuro sulla nostra nave che su un gommone che affonda. Da un punto di vista legale non può esserci alcuna discussione sul nostro obbligo al salvataggio.

A causa del ritardo nello sbarco, però, le persone salvate devono sopportare condizioni insostenibili. Parte di loro deve dormire all’aperto sul ponte della nave ed è esposta al vento, alle onde e al freddo. Si avvicina una tempesta che metterà in grave pericolo le persone a bordo. La maggior parte delle persone soccorse è in condizioni fisiche fragili dopo la fuga e le condizioni estreme nei campi di detenzione libici. Molti soffrono il mal di mare, il che li debilita ancora di più. Oltre alle condizioni fisiche, preoccupa anche lo stato psicologico di molte persone. Abbiamo a bordo una donna che è stata venduta, ha dovuto lavorare in un bordello ed è stata torturata quando si è rifiutata. Questa donna ha bisogno di un immediato sostegno psicologico e non dovrebbe essere sottoposta a ulteriore stress dovuto dal ritardo nello sbarco.

Subito dopo il salvataggio del 3 aprile, Sea-Eye ha richiesto il supporto diplomatico del Ministero degli Esteri federale tedesco, dato che la Alan Kurdi batte bandiera tedesca. Da allora siamo in stretto contatto con il nostro stato di bandiera. Il Ministero federale degli affari esteri ha chiesto alla Commissione europea di mediare e trovare una soluzione alla nostra situazione.

Il 5 aprile, il Ministero Federale degli Esteri, la Commissione Europea e altri paesi europei che non ci sono noti hanno negoziato con l’Italia l’evacuazione di due famiglie con bambini piccoli per motivi umanitari. Secondo il Ministero degli Esteri Federale le trattative hanno portato ad un accordo sull’evacuazione delle due famiglie. L’Italia, tuttavia, ha detto a Sea-Eye che l’accordo comprendeva solo i due bambini: in un’e-mail inviata a bordo dal MRCC italiano, siamo stati informati che “dopo un accordo tra la Commissione Europea e altri paesi europei, la Germania ha chiesto di sbarcare i due bambini piccoli per motivi umanitari. L’Italia ritiene che sia necessario fare sbarcare anche le due madri oltre ai bambini”. ​

Il Ministero Federale degli Affari Esteri non può confermarlo. Prima che Sea-Eye avesse la possibilità di rispondere, l’Italia ha inviato due motovedette alla Alan Kurdi per prendere le due madri con i loro figli – esclusi i padri. L’Italia ha insistito per separare le famiglie costringendo i padri a rimanere a bordo della Alan Kurdi. Dopo ripetute richieste da parte di Sea-Eye alle autorità italiane di rivedere questa decisione, le famiglie stesse hanno annunciato di non volere essere separate e hanno preferito rimanere insieme a bordo della Alan Kurdi. L’evacuazione è stata quindi interrotta.Insistendo sulla separazione delle famiglie, l’Italia ha violato il principio di unità familiare sancito dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e da tutti i trattati e le Costituzioni nazionali.

Nei recenti casi di salvataggio, lo sbarco è diventato subordinato al raggiungimento di accordi politici tra gli Stati membri dell’UE. Persino l’evacuazione umanitaria di persone particolarmente vulnerabili a bordo è stata subordinata al raggiungimento di un accordo. Denunciamo con forza questo approccio e chiediamo all’Italia di applicare ai rifugiati e ai migranti gli stessi diritti umani garantiti ai cittadini europei. Queste persone sono “naufraghi” e non dovrebbero essere trattate diversamente, non dovrebbero essere classificate in base al loro status giuridico come “migranti”. In mare non c’è migrante, banchiere o idraulico: ci sono solo persone.

Attualmente siamo in acque internazionali al largo di Malta e siamo in attesa di ulteriori istruzioni. La decisione del capitano di dirigere la nave verso Malta è stata il risultato di consultazioni con le autorità tedesche dalle quali non ci sembrava emergere la possibilità di fare sbarcare in Italia le persone salvate.

Le scorte di cibo e acqua si esauriranno a breve e la situazione medica potrebbe deteriorarsi rapidamente una volta che la tempesta prevista arriverà. Esortiamo pertanto gli Stati membri europei ad agire in nome dell’umanità e nel rispetto dei diritti umani.

Gli accordi ad hoc non sono un approccio sostenibile e non possono essere stipulati sulla pelle di 64 persone che sono appena scampate alla morte e all’annegamento. Il salvataggio delle persone in difficoltà dovrebbe essere effettuato indipendentemente dalle agende politiche dei singoli Stati. Tuttavia sembra che la soluzione alla nostra situazione possa essere solo politica. Siamo diventati dipendenti dai negoziati tra gli Stati membri dell’Unione europea e ciò rappresenta una inaccettabile distorsione e violazione del diritto applicabile alle operazioni SAR. Questa posizione, dove si rischia di essere arrestati se si segue la legge e si fa ciò che è giusto, mentre si è costretti a prolungare la sofferenza delle persone facendo ciò che gli Stati richiedono, ci fa soffrire.

Apprezziamo molto che ci sia stato dato spazio per questa dichiarazione qui in Italia oggi e vorremmo ringraziare Mediterranea per averci invitato. Una società civile forte è fondamentale nella lotta per i diritti umani e siamo felici di vedere che con voi l’Italia ha una società civile che non è d’accordo con le pratiche disumane a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi.

Grazie!

Per informazioni: i​talia@sea-eye.de