E’ un grido di dolore e forse una sfida al nuovo governo quello lanciato il 20 marzo dai genitori di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso in Egitto e trovato morto al Cairo il 3 febbraio 2016.

“Ho fiducia nella legge, negli avvocati bravi e nella stampa buona e abbiamo tanta solidarietà dai social. Ci aspettavamo di più da chi ci governa: dal 14 agosto quando il premier Gentiloni ci ha annunciato che l’ambasciatore tornava in Egitto, siamo stati abbandonati”, dice la madre Paola durante un dibattito sulla difesa dei diritti internazionali all’Ordine degli avvocati di Genova.

Ma non è tutto. A scuotere la sala anche la pesante accusa del pm Enrico Zucca, ora sostituto procuratore della Corte d’Appello e tra i magistrati del processo Diaz, che con un parallelo accosta i fatti del G8 di Genova alla vicenda Regeni. “I nostri torturatori sono ai vertici della polizia; come possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?”, si chiede il pm.

“L’11 settembre 2001 e il G8 – ha aggiunto – hanno segnato una rottura nella tutela dei diritti internazionali. Lo sforzo che chiediamo a un paese dittatoriale è uno sforzo che abbiamo dimostrato di non essere in grado di fare per vicende meno drammatiche”.

Già in passato, e più volte, il pm Zucca aveva duramente criticato l’operato della Polizia con riferimento ai fatti di Genova: in particolare, in un dibattito pubblico aveva parlato di una “totale rimozione” delle vicende del G8 e del rifiuto per anni da parte della polizia italiana, diversamente da quella straniere, di “leggere se stessa” per “evitare il ripetersi” di errori. Immediata era stata la reazione dell’allora capo della polizia Alessandro Pansa che, d’intesa col Ministro dell’Interno dell’epoca Alfano, aveva lamentato la lesione dell’onorabilità della polizia, chiedendo al Guardasigilli Orlando l’avvio di un’azione disciplinare nei confronti di Zucca.

Per i genitori di Regeni la sensazione di “abbandono” da parte del governo è dovuta soprattutto alla decisione di inviare nuovamente al Cairo l’ambasciatore italiano dopo quasi un anno e mezzo di sede vacante e di forti tensioni diplomatiche scatenate da quella che è stata vissuta dall’Italia come scarsa collaborazione giudiziaria da parte delle autorità egiziane.

La volontà di ricercare la verità è stata ribadita lo stesso giorno dell’insediamento del nuovo ambasciatore Giampaolo Cantini, il 14 settembre 2017, dal ministro degli Esteri Angelino Alfano in un incontro a Londra col suo omologo egiziano Sameh Shoukry.

Ma così non è andata, secondo i genitori di Giulio, che si dicono “decisi ad andare avanti anche a piccoli passi”, come ha spiegato il padre Claudio.

“Combattiamo per Giulio ma anche per tutti quelli che possono trovarsi in situazioni simili a quelle che lui ha vissuto”, ha sottolineato. L’avvocato difensore della famiglia Alessandra Ballerini ha ricostruito i depistaggi e la vicenda: “il corpo di Giulio parla da solo e si difende da solo. Siamo arrivati a nove nomi delle forze di polizia implicati”.

Per Giulio, per i suoi genitori, per tutti gli italiani che hanno colorato di giallo i loro cuori, Articolo 22, insieme a Amnesty Italia e a Giulio Siamo Noi, mai smetterà di chiedere verità per Giulio Regeni.

 

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