Il Caso Hannoun e le accuse a suo carico, e d altri attivisti, stanno mettendo in scena uno spettacolo dell’assurdo. Persone che fino all’altro giorno sono state punto di riferimento democratico in Italia delle associazioni palestinesi, legalmente riconosciute, di punto in bianco sono state definite dalla magistratura e dai media come “terroriste”, con tanto di teorema giudiziario sui presunti finanziamenti ad Hamas (senza prove). Il tutto espresso con una certezza disarmante, ma senza prove.
Ma di questo non dobbiamo troppo preoccuparci: Nelson Mandela fu sempre considerato un pericoloso comunista dagli USA – che sostennero per decenni il regime dell’apartheid bianca in Sudafrica insieme ad altri Paesi occidentali – e fu arrestato nel 1960 grazie a una soffiata della CIA e soltanto il 1 luglio 2008 il presidente degli Stati Uniti George Bush firmò il provvedimento che lo cancellava dalla lista nera dei “terroristi”. Avete letto bene: fino al 2008 – 18 anni dopo la liberazione dal carcere, anni dopo la fine della sua presidenza sudafricana – fino all’età di 90 anni, gli Stati Uniti d’America hanno mantenuto il Premio Nobel per la Pace Mandela nell’elenco dei “terroristi”.
Questo episodio è emblematico di come le definizioni politiche di “terrorismo” possano essere soggettive e influenzate dagli interessi geopolitici del momento, trasformando un liberatore in un “terrorista” secondo la prospettiva di alcune nazioni.
Ritornando a noi, è estremamente interessante notare che proprio l’Antimafia e l’Antiterrorismo, dal 2023, abbiano attivato un’indagine (l’Operazione “Dominio”) tale da fare così rumore. In meno di due anni, Antimafia e Antiterrorismo sarebbero riusciti a risalire a tutti i collegamenti tentacolari dei “finanziatori di Hamas”, quando le stesse hanno arrestato Matteo Messina Denaro, ultimo boss stragista di Cosa Nostra, dopo 30 anni di latitanza. Ma dove era Matteo Messina Denaro? Era latitante a casa sua, a Tre Fontane, frazione di Campobello di Mazara: si trovava semplicemente nella zona balneare vicino a Castelvetrano, sua città natale, ad 8 minuti di distanza da una caserma di carabinieri. Farebbe ridere se non facesse piangere, o urlare dalla disperazione in un Paese, come il nostro, le cui istituzioni sono attraversate dalla Trattativa Stato-Mafia.
E proprio come sono attraversate dalla Trattativa Stato-Mafia in questi casi di cronaca, sono attraversate da altre collaborazioni quando si parla di repressione della militanza filopalestinese: Israele.
L’operazione “Domino”, avviata dopo il 7 ottobre 2023 su segnalazione della Direzione Nazionale Antimafia, si fonda su intercettazioni, analisi finanziarie e su una vasta cooperazione giudiziaria internazionale, in particolare con Israele. Un Paese che però ha un interesse militare e politico chiaro, è oggetto di un procedimento per genocidio alla Corte Internazionale di Giustizia e sui cui capi politici pende l’accusa di crimini di guerra da parte della Corte Penale Internazionale.
Negli ultimi anni, Israele ha bollato come “terroristiche” numerose organizzazioni umanitarie, “colpevoli” soltanto di criticare e di opporsi attivamente al genocidio perpetrato ai danni della popolazione palestinese. Basti pensare all’UNRWA, definita «un focolaio di terrorismo», e alla Global Sumud Flotilla, più volte etichettata come “Hamas Sumud Flotilla”. Anche in quest’ultimo caso, le accuse israeliane hanno fatto riferimento a presunti finanziamenti di Hamas, basati su documenti che gli organizzatori e diverse fonti indipendenti hanno definito infondati o manipolati.
Ma cosa hanno trovato di illegale gli inquirenti? Nulla e ce lo dice anche l’ordinanza del GIP. E’ da 25 anni che l’ABSPP è soggetta ad indagini consistite in intercettazioni telefoniche, ambientali, informatiche e sistemi di videosorveglianza (cimici installate nelle case e nelle automobili), analisi patrimoniali e finanziarie. Negli anni intercettazioni telematiche sugli apparati informatici hanno consentito, attraverso attività “sotto copertura”, l’estrazione di copia di dati accumulati dai vari computer utilizzati dall’associazione ABSPP (quasi 4 TB). Conclusione: nelle 306 pagine dell’ordinanza contro i 9 sospettati di aver costituito una cellula di Hamas in Italia, non c’è uno straccio di prova che anche un solo euro sia stato utilizzato per finanziare attività terroristiche.
I Tg ci hanno mostrato immagine di macchine conta-soldi e mazzette di contanti che i sospettati trasportavano in valigette verso Egitto e Turchia per farli arrivare a Gaza, però nelle carte dell’ordinanza si dice chiaramente che sono tutti soldi regolarmente contabilizzati provenienti dalle elemosine delle moschee e dichiarati alla frontiera. Le associazioni sotto accusa mantenevano registri contabili molto precisi, è possibili ricostruire dove finivano questi soldi: rispettivamente in adozioni a distanza di bambini orfani palestinesi, in impianti di desalinizzazione per ospedali di Gaza, in sostegno di famiglia di caduti in guerra.
Questo lo scrivono gli stessi inquirenti che, in 25 anni di indagini – con una serie di indagini aperte e poi archiviate – cercano di mandare in galera chi fa della beneficenza. Tutte indagini archiviate negli anni proprio perchè i PM hanno sempre affermato che la beneficenza non può essere un reato. Ma qualcosa ora è cambiato.
Mohammad Hannoun, 64 anni, presidente dell’Associazione Palestinesi in Italia (API) e residente a Genova da oltre quarant’anni, è stato arrestato insieme ad altre otto persone con l’accusa di “associazione a delinquere con finalità di terrorismo internazionale”. Per la gip di Genova Silvia Carpanini, Hannoun sarebbe «membro del comparto estero dell’organizzazione terroristica Hamas» e al vertice di una rete di associazioni attive in Europa che, sotto la copertura di raccolte fondi umanitarie, avrebbero finanziato la lotta armata palestinese. E le prove di tutto questo dove sono? La prova sta in quello che Israele ha riferito all’autorità giudiziaria italiana in un lungo dossier, ovvero che le associazioni destinatarie dei fondi sarebbero collegate a Hamas.
A pagina 10 dell’ordinanza si afferma che i “suddetti documenti”, che sarebbero le prove per le indagini – a carico di Hannoun e della sua associazione – sono per la maggior parte stati acquisiti dichiaratamente dall’esercito israeliano (IDF) nel corso di operazioni militari “Defensive Shields” (3), realizzata all’inizio degli anni 2000 e “Sword of Iron” (Operazione Spade di Ferro), giustificata falsamente come risposta dopo i fatti del 7 ottobre 2023. Oltretutto – sempre secondo l’ordinanza – Israele non ha fornito la documentazione originale, ma solo delle sintesi: motivo per cui l’ordinanza parla di misure cautelari e non di arresto vero e proprio, proprio perchè le documentazioni rappresentano meno della metà del concetto di “parziale”.
Ma basta la parola viziata da Israele per rendere incontrovertibili le fondamenta su cui si basa un teorema giudiziario? In termini platonici, si parlerebbe di sofismi e falsi sillogismi, ovvero discorsi che non stanno in piedi e che hanno la finalità di spacciare per base razionale ciò che razionale non è.
Inoltre bisogna sottolineare che i documenti forniti da Israele sono atti extraprocessuali, acquisiti da un’Autorità estera (Israele) nel corso di operazioni militari e poi trasmessi all’Autorità giudiziaria italiana. Sempre secondo l’ordinanza, l’acquisizione del materiale per queste indagine non risulterebbe lecita. Come evidenziato dal PM Carpanini non esistono norme nel nostro ordinamento che espressamente regolano l’acquisizione nel procedimento penale di tale tipo di documentazione; va quindi fatto riferimento ai principi generali che regolano le prove, ed in particolare l’art. 234 c.p.p., per cui possono essere acquisiti nel procedimento italiano, “sempre che non sussistano ipotesi di inutilizzabilità per essere stati acquisiti in violazione di divieti di legge a tutela di principi fondamentali del nostro ordinamento” – si legge.
Nonostante ciò, l’ordinanza cita la raccomandazione CM/Rec(2022) 8 del marzo 2022 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e il Memorandum 2020 del Eurojust (Agenzia UE per la cooperazione giudiziaria) i quali, facendo riferimento al “battlefield evidence” (4), giustificherebbero l’uso dei materiali trasmessi dall’esercito israeliano. Si legge nell’ordinanza: “analizzando il contenuto del server di ABSPP, gli operanti hanno rinvenuto documenti da cui si ha conferma dell’autenticità di alcuni di quelli autonomamente trasmessi dall’Autorità israeliana, il che consente di attribuire generale attendibilità al complesso del materiale inviato”.
In sostanza, dal contenuto dei server dell’associazioni di Hannoun si è potuto confermare che “alcuni” documenti dell’Autorità israeliana sono autentici, quindi tutti i documenti israeliani sono “generalmente” attendibili e quindi si possono usare per le indagini, violando anche la legge italiana.
In queste pagine vi è tutto il fideismo della magistratura italiana nei documenti racimolati dall’autorità israeliana, senza minimamente porre dubbi a riguardo e senza minimamente tenere in conto l’uso strumentale che Israele fa del termine “terrorismo” (uso fatto in decine e decine di casi).
Sul piano giuridico, emergono dunque diversi punti controversi: l’inchiesta si sta basando su documenti raccolti dall’intelligence che non sono prove. Per essere definito tale un “terrorista” serve dimostrare che svolga attività di carattere terroristico concrete, mentre qui abbiamo una serie di destinatari di somme di denaro con delle causali che sulla carta fanno ritenere si tratti di beneficenza. Ad oggi non ci sono prove che siano state utilizzate per un’attività terroristica, laddove il terrorismo ha delle caratteristiche ben precise, cioè quello di “aggredire la popolazione per creare terrore”.
E in questo contesto che si inserisce il rinnovato interesse investigativo nei confronti di Mohammad Mahmoud Ahmad considerato – secondo l’ordinanza -, “a livello europeo, uno dei soggetti più rappresentativi per la raccolta dei fondi pro-Palestina e già sospettato in passato di destinare le somme raccolte al finanziamento del terrorismo”.
Hannoun ha sempre respinto le accuse, sostenendo: «Ho sempre destinato i soldi raccolti in Italia a chi ne ha bisogno, a orfani e famiglie non a militari». Nelle oltre 300 pagine di ordinanza, non viene indicata la destinazione finale dei fondi: si parla di sostegno alle “istituzioni” di Gaza e al dipartimento dei «martiri, feriti e prigionieri».
Anzi, è la stessa ordinanza che a pagina 9, afferma chiaramente che Hannoun era già stato indagato in passato “nel P.P. 20179/01/21 RGNR concluso con una richiesta di archiviazione non essendo pervenuti dalle Autorità israeliane, entro il termine delle indagini preliminari, gli atti di assistenza giudiziaria richiesti”. In seguito è stato autorizzata la riapertura delle indagini da parte delle Autorità Israeliane degli atti richiesti, così determinando l’iscrizione del procedimento 15003/03/21, concluso peraltro anch’esso con richiesta di archiviazione accolta dal Gip per mancanza di prove. In data 26/10/2023 veniva richiesta una ulteriore “autorizzazione alla riapertura delle indagini del procedimento n. 15003.2003 R.G.N.R. autorizzata in data 30/10/2023 e cui ha fatto seguito l’iscrizione del procedimento recante il numero di R.G. 13154/2023 RG.N.R”.
Questo vuol dire che già in passato analoghi procedimenti erano stati aperti contro Hannoun, che sono stati poi archiviati. La riapertura delle indagini è un segnale di persecuzione politica per il suo attivismo per il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese (1) e per essere punto di riferimento della comunità palestinese in Italia. Intanto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso «apprezzamento e soddisfazione» per gli arresti.
Inoltre Hannoun ha dichiarato più volte la sua distanza da Hamas. Nell’agosto 2025, a margine della carovana per la Palestina organizzata a Milano, Hannoun era stato inserito nella blacklist del Dipartimento del Tesoro statunitense con l’accusa di essere un finanziatore del terrorismo e di promuovere manifestazioni contro Israele. Le sue dichiarazioni furono chiarissime, nonostante vengano strumentalizzate dai media:
“Io non appartengo a Hamas, questo lo dico ufficialmente, non faccio parte di Hamas però faccio parte del popolo palestinese, rispetto ogni fazione palestinese che rispetta i diritti del popolo palestinese, che lotta per strappare questi diritti per l’autodeterminazione. (…) Io sono simpatizzante di Hamas come sono simpatizzante di ogni fazione che lotta per i miei diritti. Per cui questa frottola, questa accusa di far parte di Hamas, di essere un leader di Hamas è una bugia, una bufala. Io non faccio parte di Hamas, io non sono leader di Hamas, io sono un palestinese, io mi impegno, mi sono impegnato da decenni nella lotta per i diritti del popolo palestinese”.
L’assunto acritico per cui il legame con Hamas viene dato per presupposto, sulla base di report militari israeliani, rischia di ribaltare l’onere della prova. Ciò che è assurdo è che quello che si dovrebbe dimostrare, viene dato per presupposto incontrovertibile. Molti hanno affermato in questi gironi “di avere fiducia nella giustizia”, ma l’indagine stessa e i suoi documenti sono un esempio di come la neutralità della magistratura o è un concetto valido non applicato, o è un concetto ipocrita.
Altro punto interessante nell’ordinanza è la volontà categorica, da parte della GIP Carpanini, di dimostrare che Hamas (2) non è un movimento di liberazione nazionale della Palestina, ma un “movimento jihadista”, una minaccia globale che vuole ribaltare ogni Stato che non si fonda su presupposti fondamentalisti, che lo sosterrebbero con metodi violenti per sostituirlo con uno Stato di stampo “islamista”.
Basta leggere le 306 pagine dell’Ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere per Mohammad Hannoun e altri attivisti palestinesi redatta dalla GIP del Tribunale di Genova, Silvia Carpanini, per capire che non si tratta di un semplice documento di misura cautelare, ma un tentativo palesemente ideologico di riscrivere la storia con innumerevoli strafalcioni e imprecisioni, facendo della sociologia spiccia nelle prime 50 pagine. L’ordinanza è un lungo e radicale elogio del suprematismo occidentale – nonchè una difesa implicita del sionismo – che parte dal presupposto che la parola dell’Occidente e la sua visione siano sempre superiori rispetto ai “barbari” che vivono fuori.
Carpanini scrive a pagina 9: “HAMAS ha nel suo stesso statuto la ratifica della distruzione di Israele e presenta il jihad contro il sionismo come rispondente alle parole che, secondo alcuni studiosi dell’lslam, sarebbero state proferite dallo stesso Maometto “l’ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei e i musulmani non li uccideranno…”. Alla luce di tali principi e a fronte delle azioni realizzate nel tempo e culminate nell’ultimo drammatico attacco del 7 ottobre poteva quindi ipotizzarsi HAMAS come organizzazione terroristica”.
Partendo dal fatto che forse i magistrati in questione non hanno ben presente cosa sia successo il 7 ottobre 2023 con la Direttiva Hannibal, nell’ordinanza si “ipotizza” che Hamas sia un’organizzazione terroristica a partire da quello che avrebbe detto Maometto. Se per dichiarare “terrorista” Hamas basta attingere vagamente dai testi di riferimento dell’Islam, si potrebbe in egual modo dichiarare il sionismo come “movimento terrorista” a partire dalla sua storia (il ruolo dell’Irgun, del Laganah e della Banda Stern nella pulizia etnica della Palestina fino alla Nakba del 1948) e dalle dichiarazioni dei suoi esponenti più accaniti. Senza dover fare l’elenco delle bestialità espresse dai sionisti negli ultimi 80 anni, a partire da Menachem Begin fino ad Itamar BenGvir e Bezael Smotrich, basterebbe citare Netanyahu e la giustificazione biblica dell’attuale genocidio a Gaza attraverso il libro del Deuteronomio (25,17): «Ricorda ciò che ti hanno fatto gli Amaleciti» – aggiungendo – «Ricordiamo e combattiamo. (…) I meravigliosi soldati ed eroi dello straordinario esercito israeliano […] bramano di ricompensare gli assassini per gli atti orribili che hanno perpetrato sui nostri figli, sulle nostre donne, sui nostri genitori e sui nostri amici […] [i nostri soldati] sono impegnati a sradicare questo male dal mondo, per la nostra esistenza, e aggiungo, per il bene di Tutta l’umanità».
Inoltre non è vero che Hamas vuole la distruzione di Israele, ma anzi dal 2007 riconosce la soluzione binazionale per Palestina e Israele (soluzione per altro impraticabile per un lungo elenco di motivi che non starò qui ad elencare). Occorre ricordare che Hamas viene classificata come “organizzazione terroristica” da Israele, Stati Uniti, Unione Europea e altri Stati, mentre altri Paesi la considerano una legittima organizzazione di resistenza, quale per altro è. Hamas è stata dichiarata “organizzazione terroristica” inizialmente solo da Israele e dagli USA, tant’è vero che l’UE ne ratifica la vittoria nelle elezioni del 2006: anno in cui Hamas si presenta come legittimo partito politico. In seguito, su pressione USA, si è adeguata anche l’UE insieme al Regno Unito. In totale si tratta di 32 Paesi che considerano Hamas un’organizzazione terrorista, mentre il resto del mondo (162 paesi), con una mozione approvata all’ONU, dichiara Hamas un “legittimo partito del popolo palestinese”.
Anche il Presidente brasiliano Lula ha dichiarato: “Hamas terrorista? No, per noi e per l’ONU non è affatto terrorista. È un legittimo partito politico palestinese.” Russia, Cina, India, Giappone, America Centrale e del Sud, e la vasta maggioranza del mondo non la pensa come Europa e Stati Uniti. Questo dimostra che a prevalere è una visione eurocentrica dei fatti, che si discosta da tutto il resto del mondo. Vogliamo forse credere che tutto il resto del mondo, escluso il “paradisiaco” Occidente, sostiene il terrorismo? Che piaccia o no al mondo occidentale, Hamas come movimento politico ha avuto – alle ultime elezioni – più del 70% dei voti del popolo palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e come tale deve essere un interlocutore.
Dal 2017, nei suoi Statuti, Hamas rifiuta ufficialmente ogni tipo di violenza fuori dai Territori Occupati Palestinesi e ammette la resistenza all’entità occupante sionista all’interno della Palestina. Non vi è alcuna ambizione espansionistica di Hamas fuori dalla Palestina, a differenza di quello sostenuto dall’ordinanza del GIP Carpanini.
L’ordinanza del tribunale in una nota afferma che “From the River to the Sea” sarebbe “lo slogan di HAMAS che, spesso inconsapevolmente rispetto alle origini dello stesso, viene utilizzato nelle manifestazioni di supporto al popolo palestinese tenute anche in Italia e nel resto d’Europa”.
Forse i consulenti storici che hanno redatto l’ordinanza non sanno che lo slogan “From the River to the Sea” è usato dai movimenti in solidarietà con il popolo palestinese e dal popolo palestinese fin dagli anni Sessanta, ovvero più di vent’anni prima della nascita di Hamas. Che poi sia sopravvissuto nei decenni e compaia nel 2017 nel manifesto programmatico di Hamas vuol dire solo una cosa: che riflette il desiderio di tutto il popolo palestinese di tornare nelle terre abitate prima del 1947 e che si estendevano dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo.
Interessante sarebbe ricordare, ai presunti consulenti storici (se mai ci sono stati), che c’è un movimento politico che ha sempre pensato di espandersi in tutto il Medioriente buttando fuori da quelle terre le popolazioni arabe. Quel movimento si chiama sionismo, ovvero il fondamento politico dell’entità sionista, ovvero Israele.
Non è un caso che in questi decenni Israele abbia avverato quello che è il sogno biblico della “Grande Israele” (5), espressione usata in ambito sionista per riferirsi ai confini auspicati di Israele: dal fiume Nilo all’Eufrate, costituito da tutto l’attuale Israele, i territori palestinesi, il Libano, gran parte della Siria, la Giordania e parte dell’Egitto.
Considerando la sequenza degli eventi anche fuori dai confini della Palestina – l’occupazione israeliana della Cisgiordania, le alture del Golan siriano, l’ accerchiamento di Gaza e il suo assedio, le ripetute invasione e attacchi militari del Libano, il bombardamento dell’Iraq, gli attacchi aerei in Siria e i tentativi di contenere le capacità nucleari dell’Iran – sembrerebbe che la “Grande Israele” sia stia sempre più realizzando e che il sionismo, insieme all’Entità sionista, siano una “minaccia globale” per la stabilità del Medioriente.
Con il senno di poi, alla luce della crescente balcanizzazione del suo vicinato, possiamo affermare che Israele e i suoi governi stanno attuando con enormi successi ciò che furono gli obiettivi del Piano Yinon (ideato e scritto da Odeon Yinon nel 1982), che prevedeva una “grande Israele” creato un giorno dalla distruzione delle nazioni arabe oggi percepite come minacce per Israele. Il piano prevedeva di rovesciare i governi arabi esistenti, lasciandosi alle spalle sette caotiche e contrapposte di enclave musulmane facilmente conquistabili, che avrebbero, di fatto, giustificato una “grande Israele” dominante dal Mar Mediterraneo attraverso i fiumi Tigri ed Eufrate. Il Piano Yinon era pensato come una campagna sistematica per minare, dividere e distruggere con ogni mezzo necessario le diverse nazioni arabe per consentire a Israele di progredire senza ostacoli con il sostegno esterno delle correnti sioniste nei movimenti neoconservatori americani e fondamentalisti cristiani.
Nel 2017, Ted Becker, ex professore di diritto Walter Meyer alla New York University e Brian Polkinghorn, illustre professore di analisi dei conflitti e risoluzione delle controversie alla Salisbury University , hanno argomentato come il Piano Yinon fu adottato e perfezionato in un documento politico del 1996 intitolato A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm (Rapporto Clean Break), scritto da un gruppo di ricerca guidato da Richard Perle e Paul Wolfowitz presso l’Institute for Advanced Strategic and Political Studies, affiliato a Israele, a Washington. Sionisti neoconservatori statunitensi come Richard Perle e Paul Wolfowitz si aggrapparono a questo piano di Oded Yinon, lo infilarono silenziosamente nei think tank di destra ben finanziati di Washington (ad esempio, l’American Enterprise Institute). Alcuni anni dopo, Richard Perle divenne una delle figure chiave nella formulazione della strategia di guerra in Iraq adottata durante l’amministrazione di George W. Bush nel 2003. Il Rapporto Clean Break divenne famoso per aver sostenuto una nuova politica aggressiva, tra cui la rimozione di Saddam Hussein dal potere in Iraq e il contenimento della Siria attraverso l’impegno in una guerra per procura e sottolineando il suo possesso di “armi di distruzione di massa” (mai esistite realmente).
Sembrerebbe che il Likud, partito d’estrema destra di Netanyahu, stia attuando entrambi i piani.
Nell’agosto 2025, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato di essere impegnato in una “missione storica e spirituale” e che sente un legame con la visione della “Grande Israele”. Nello stesso mese ha espresso, nel contesto del genocidio a Gaza, l’intenzione di occupare Gaza per smantellare Hamas e l’anno precedente il ministro della difesa israeliano Israel Katz aveva affermato che Israele continuerà a mantenere il controllo militare della Striscia di Gaza anche dopo la guerra. Sempre nell’agosto 2025, il governo israeliano ha approvato la costruzione di 3.000 nuovi insediamenti illegali in Cisgiordania, dichiarando che l’obiettivo è quello di compromettere definitivamente la possibilità di nascita di uno Stato palestinese.
Ma nonostante ciò, un Paese come l’Italia preferisce perseguire legalmente, senza prove, attivisti palestinesi e filopalestinesi e le loro associazioni, con l’aiuto del loro carnefice.
(1) Con la Risoluzione n. 3236/1974, l’Assemblea generale dell’Onu ha riconosciuto il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese https://www.un.org/unispal/wp-content/uploads/2016/05/ARES3236XXIX.pdf
(2) “Harakat al-Mugawama al-Islamiyya” (tr. “Movimento Islamico di Resistenza”), meglio noto con acronimo HAMAS.
(3) L’operazione Scudo Difensivo è stata una grande operazione militare condotta dalle forze di difesa israeliane nel 2002, nel corso della Seconda Intifada. È stata la più grande operazione militare nella Cisgiordania, dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967.
(4) battlefield evidence (BE) è la possibilità per gli Stati di usare nei processi penali nazionali le informazioni raccolte in zone di conflitto – in modo conforme allo Stato di diritto e ai diritti umani – con la peculiarità che, in tali contesti, le potenziali prove vengano raccolte da militari, servizi segreti o altri soggetti che comunque “non agiscono in qualità di forze dell’ordine” né con lo specifico fine di raccogliere prove per tribunali, il che peraltro non toglie che tali prove siano comunque estremamente utili e gli Stati devono quindi attivarsi perché possano essere acquisite nei procedimenti, purché raccolte nel rispetto dei principi fondamentali dello Stato di diritto. Ma chi ha le prove i documenti forniti dall’IDF siano stati raccolti nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali? Come si può non dubitare della raccolta rispettosa dello Stato di Diritto da parte di un esercito che viola sistematicamente i diritti umani e commette crimini di guerra?
(5) “Grande Israele” è occasionalmente riferito alla Terra Promessa (definita nel libro della Genesi 15:18-21) od alla Terra di Israele ed è anche chiamato “Completa Terra d’Israele” o “Tutta la Terra d’Israele” (in ebraico: ארץ ישראל השלמה, Eretz Yisrael Hashlemah).
Ulteriori informazioni:
Becker, Ted; Polkinghorn, Brian (2017). A New Pathway to World Peace: From American Empire to First Global Nation, Resouce Pubblications, Eugene, Oregon.










