L’agenzia di stampa Tanjug ha riferito la notizia che l’ufficio del procuratore serbo per i crimini di guerra avrebbe messo in stato di accusa Vladimir Mikac, Zdenko Radulj, Zeljko Jelenić e Danijel Borović, tutti ex membri dell’aeronautica militare croata, con l’accusa di aver ordinato un attacco aereo contro una colonna di rifugiati a Bosanski Petrovac e in prossimità del villaggio di Svodna, presso Bosanski Novi (sul territorio dell’odierna Bosnia Erzegovina), tra il 7 e 8 agosto 1995, nel corso della famigerata operazione Tempesta delle forze armate croate. Secondo quanto riferito, nel corso degli attacchi tredici persone sono state uccise (sei delle quali erano bambini), e i quattro andrebbero processati “in contumacia” dal momento che «il passare del tempo fornisce motivi sufficienti per dubitare che la Croazia o la Bosnia Erzegovina avviino effettivamente un procedimento penale contro i responsabili di tale crimine». La famigerata operazione Tempesta, condotta dal 4 all’8 agosto 1995, è stata una delle più violente operazioni militari compiute dalle forze croate nella parte finale della guerra in Croazia (1995), con lo scopo di “liberare” i territori della Repubblica serba della Krajina, istituita sul territorio croato sin dal 1991. L’operazione militare si concluse con la ripresa della Krajina e causò un numero di vittime stimato in almeno 2.000 civili serbi morti e circa 250.000 profughi serbi in fuga.
Ferite non rimarginate
«Così come impediranno alla Svezia e alla Finlandia di aderire, se lo vorranno, alla NATO, impediranno allo stesso modo a noi di entrare nella UE», ha dichiarato, secondo quanto riferito dalla stampa, il presidente serbo Aleksandar Vučić, commentando le dichiarazioni della parte croata in base alle quali il percorso europeo della Serbia sarebbe stato bloccato proprio a causa dell’incriminazione presentata dal procuratore serbo per i crimini di guerra contro i quattro piloti croati per gli episodi legati all’operazione Tempesta. Gli eventi della guerra e le ferite non rimarginate restano tuttora un fattore di divisione e di tensione nella regione e, in particolare, il lascito delle guerre e le conseguenze delle ingerenze occidentali nei Balcani (si pensi agli eventi del 1999 e all’aggressione della NATO della primavera di quell’anno) continuano a rappresentare un ostacolo per una prospettiva di pace e di convivenza effettiva nella regione. Ancora secondo il presidente serbo, se il costo dell’adesione alla UE è quello di riconciliarsi con «assassini di bambini», la Serbia non è disposta ad accettarlo.
Il campo di concentramento di Jasenovac non è un «mito»
La stampa ha riferito anche le dichiarazioni altrettanto aggressive del presidente croato Zoran Milanović, in base alle quali «queste incriminazioni sono avvenute nonostante anni di tentativi da parte nostra di convincerli a non giocare con il fuoco e nell’avvisarli che tutto questo sarebbe costato. Meglio lasciare perdere. Viceversa, non dovrebbero sorprendersi per le reazioni dei parlamentari della destra al Sabor (il Parlamento croato). La maggior parte delle persone in Croazia la pensa allo stesso modo». Dichiarazioni che seguono la “proposta” dell’Accademia croata delle scienze e delle arti di bandire il “mito” di Jasenovac. Secondo la parte serba, «Jasenovac non è un mito. È una tragedia di serbi, rom ed ebrei». È appena il caso di ricordare, che, sebbene più volte oggetto di interventi revisionistici o riduzionistici da parte delle autorità croate, il campo di concentramento di Jasenovac resta uno dei “luoghi della memoria” più tragici e dolorosi dell’intero continente europeo. Il complesso di Jasenovac era un sistema di campi di detenzione e di concentramento istituito tra l’agosto 1941 e il febbraio 1942 dalle autorità del cosiddetto Stato indipendente di Croazia.
Quando la Germania e le potenze dell’Asse invasero e smembrarono la Jugoslavia, il 10 aprile 1941 tedeschi e italiani sostennero la proclamazione del cosiddetto “Stato indipendente di Croazia”, uno stato filo-nazista, da parte dell’organizzazione fascista e terrorista degli ustascia di Ante Pavelić,. Nel solo campo di Jasenovac furono sterminati, tra il 1941 e il 1945, secondo le stime dello USHMM, tra 45.000 e 52.000 serbi dello Stato ustascia; tra 12.000 e 20.000 ebrei; tra 15.000 e 20.000 Rom; tra 5.000 e 12.000 croati e musulmani, oppositori del regime. Alla memoria delle vittime è dedicato il “Fiore di Pietra”, il meraviglioso monumento realizzato da Bogdan Bogdanović e inaugurato nel 1966. Alla proposta dell’Accademia croata, ha replicato anche l’Accademia serba delle arti e delle scienze, ricordando che «per rispetto di tutte le vittime del “campo della morte”, non entreremo nella confutazione degli argomenti di coloro che usano spudoratamente l’espressione “mito di Jasenovac”». La “proposta” della Accademia croata, peraltro, non si limita a questo.
Un ennesimo documento nazionalistico
Stilando una serie di condizioni al fine della «protezione degli interessi nazionali croati» nella regione, il documento richiede che la Serbia riconosca la minoranza dei Bunjevci come croata a tutti gli effetti e che la sua lingua sia classificata come “croato”; avanza la pretesa che sia finalizzato il processo di demarcazione del confine tra Serbia e Croazia sul Danubio e l’isola fluviale di Šarengrad sia definitivamente riconosciuta come croata. Richiede alla Bosnia, altresì, di riconoscere il «ruolo giusto e liberatorio della Croazia e dei croati nello stabilire e difendere lo Stato dall’aggressione serba», di smettere di «accusare falsamente» i croati di crimini di guerra e di provvedere all’istituzione di una terza entità statuale (croata) all’interno della Bosnia, oltre alla Federazione bosniaca e alla Repubblica serba di Bosnia. Richiede al Montenegro, infine, di riservare un numero di seggi garantito ai croati in Parlamento e di avanzare scuse e risarcimenti per il ruolo del Montenegro nel sostenere le operazioni militari serbe in Croazia durante la guerra.
Come ha segnalato l’Accademia serba, il documento è contraddistinto da un «tono primitivo di odio»; è tra le altre cose un condensato delle tradizionali rivendicazioni del nazionalismo croato; segnala purtroppo il ruolo negativo che possono svolgere i circuiti intellettuali nel processo di legittimazione di propensioni e immaginari. Proprio oggi, nel contesto di una nuova guerra in Europa, a trent’anni dalla Guerra di Bosnia, ecco una “controtendenza” rispetto all’esigenza, da più parti avvertita, di convivenza e di distensione.