Vorrei proporre una possibile chiave di lettura sui fatti geopolitici attuali.
Mi scuso se per rendere il quadro meglio comprensibile dovrò allargare la visuale e in parte risalire indietro in alcuni fatti storici.

Ciò che oggi succede a mio parere andrebbe analizzato e reinserito all’interno di un più esteso quadro geopolitico guardando a un arco temporale più ampio, non certo andando dietro alla narrazione miope e ipocrita che vorrebbe scattare una fotografia  di un dato momento per di più distorta sotto la lente propagandistica che per alimentare guerre e divisioni da sempre deve distinguere fra buoni e cattivi, giusti e ingiusti per preparare così le masse ai peggiori misfatti che la storia ricordi.

Storicamente è innegabile che da oltre due secoli a questa parte l’occidente è stato fortemente trainato dall’impero sia commerciale che militare di matrice britannica prima e atlantico poi.

Un impero che a partire dai primi anni della rivoluzione industriale aveva preso fortissimo impulso non solo per via militare (con la colonizzazione e l’occupazione di vasti territori  per avere così accesso sia alle materie prime che alle risorse)  ma soprattutto sviluppando una fortissima influenza di natura commerciale, ciò grazie alla penetrazione economica delle famose “Compagnie delle indie”, le quali operavano in nome e per conto degli interessi delle grandi compagnie e lobby economiche britanniche, e a nome della corona inglese.

Fu con l’operato militare britannico prima, e in seconda battuta con l’intervento commerciale e marittimo delle Compagnie delle indie che in ragione di forza data dall’esercito britannico, furono stabiliti diritti d’uso e sfruttamento su vastissimi territori ben lontani dal Regno Unito come anche dall’Europa.  Compagnie commerciali che stabilivano accordi economici molto vantaggiosi e particolarmente profittevoli con vari paesi in via di sviluppo, stati, nazioni o regioni ricche di risorse ma senza le adeguate conoscenze atte a sfruttarle.

Un insieme di paesi che a tutti gli effetti venivano amministrati come colonie di questo grande impero, le cui vestigia ancora adesso si possono ritrovare nel Commonwealth delle nazioni, e la cui ricchezza e potenza finanziaria è stata accumulata prima e amministrata poi nelle più importanti sedi bancarie, finanziarie e commerciali del mondo economico attuale.

Dall’India al Medioriente, dalla Cina al Sud Est Asiatico e all’Oceania, dall’Africa per arrivare fino alle Americhe. Un tempo questo grande impero coloniale di matrice britannica e anglosassone era in competizione diretta con la Spagna prima e successivamente  con la Francia,  nazioni che a loro volta avevano sviluppato imperi coloniali.
La guerra di predominio coloniale all’epoca fu stravinta dall’impero anglosassone che oltre a colonizzare l’America del Nord, per secoli pose il proprio predominio commerciale e militare su paesi come l’India, sfruttandone per secoli le molte risorse, (così fino agli anni 50′) su vaste aree geografiche mediorientali, su vari paesi del Nord Africa, e dell’Africa subsahariana, per un periodo riuscendo imporre il proprio predominio anche sulla Cina con le guerre dell’ Oppio da dopo il 1839, assoggettandola per oltre un secolo a colonia e anche dopo la seconda guerra mondiale mantenendo i propri enclave in protettorati come ad esempio Taiwan, Hong Kong, Formosa, Taipei, estendendosi in vaste aree del Sud Est asiatico.  Ciò non di meno l’ex colonia britannica degli Stati Uniti d’America accomunati dalla stessa lingua, dagli stessi usi economici, e in  parte dalle stesse tradizioni, allo stesso modo, in specie da dopo la seconda guerra mondiale ha imposto il proprio predominio geopolitico sia commerciale, che militare, sia in Europa che in Medioriente,  come anche in tutto il Sudamerica, nell’America Centrale e in Messico, prediligendo i governi “amici”, quelli “collaborativi” e “obbedienti”.

Un noto giornalista inglese, Dan Hind, collaboratore del Guardian e anche di Al Jazeera, in un suo articolo una volta scrisse che: “L’imperialismo americano è solo un’appendice di quello britannico, che non è mai morto.
Washington è il braccio (e si prende tutte le colpe), Londra la mente (e se la cava sempre a buon mercato). È a Londra che si decidono le sorti del mondo.”

Gli storici ci dicono che ci sono stati due ben distinti imperi britannici – il primo fu un impero atlantico composto dalle colonie americane e dai possedimenti dei Caraibi; il secondo un impero asiatico, fondato sul controllo dell’India e del commercio imposto con la forza alla Cina.

Questi due imperi, almeno secondo il giornalista inglese, erano progetti intrinsecamente criminali, nel senso che facevano affidamento sugli utili derivanti dallo schiavismo e dalla vendita di stupefacenti. Il modello imperiale britannico era un’impresa finanziaria in cui le considerazioni morali erano sempre messe in secondo piano rispetto all’urgenza del super-profitto.

Il primo Impero Britannico viene descritto che ha avuto termine quando i coloni americani hanno combattuto la loro guerra rivoluzionaria per l’indipendenza. Il secondo impero britannico ha cominciato a cadere a pezzi con l’indipendenza dell’India nel 1947. Il nazionalismo arabo e quello africano hanno progressivamente affievolito l’influenza britannica negli anni che seguirono. Ad un certo punto, magari con la sconfitta a Suez nel 1956, oppure quando la Gran Bretagna si è ritirata dal suo ultimo possesso significativa all’estero, Hong Kong, nel 1997, il gioco si è concluso.

Oggi, se uno crede a quel che ci viene detto da rispettabili storici e dai media, la Gran Bretagna ha voltato le spalle al suo passato imperiale e sta mettendocela tutta per farsi strada come una nazione normale. La realtà è abbastanza più complessa. Un giorno forse la storia avrà libertà di poter descrivere un terzo impero britannico, organizzato intorno alle infrastrutture finanziarie offshore britanniche, alle sue notevoli risorse diplomatiche, di intelligence e di comunicazione, e sostenuto dal braccio militare dell’apparato militare dell’ex colonia britannica di oltreoceano atlantico.

I britannici e il loro impero molto più presumibilmente hanno abbandonato l’aspetto formale dell’impero, ma il mondo anglosassone hanno cercato di recuperare tutta la sostanza e possibilmente ampliarla, espanderla, consolidarla.”

Per ritornare ai fatti attuali che ci interessano da vicino con il conflitto in atto ai confini fra blocco russo e blocco occidentale atlantico, e ricollegarli a questa chiave di lettura che vede l’impero angloamericano attuale come discendente diretto di quello coloniale britannico, è necessario guardare a degli eventi, eventi che ai nostri occhi sempre meno allenati a fare collegamenti ci appaiono spesso scollegati, ma che in realtà sono indicatori di avvenimenti e della direzione geopolitica che viene impressa nelle stanze segrete che contano.

Martedì 20 marzo 2012 due anni prima dei fatti di Maidan e del cambio di governo ucraino, da apertamente filorusso ad apertamente  filoatlantico, un banchiere russo fu gravemente ferito all’esterno del suo appartamento a Canary Wharf.

Cinque giorni dopo, Domenica 25 marzo 2012, Cuddas il co-tesoriere del partito conservatore britannico si dimise dopo che il Sunday Times lo accusò di aver sollecitato donazioni per il suo partito da quello che si pensava fosse un fondo finanziario con sede nel Liechtenstein.

Questi due eventi ai nostri occhi apparentemente scollegati in realtà ci dicono molto sulla Gran Bretagna attuale e sugli odierni avvenimenti di guerra.

Il Regno Unito permette ai residenti stranieri di detenere i loro fondi offshore e tassa unicamente i soldi che portano nel paese. Questo approccio, una reliquia dai tempi dell’impero britannico ufficiale che si è conservata, e le cui formalità e usi sono ben mantenuti all’interno del miglio quadrato della City, ha reso per decenni la Gran Bretagna e in particolare la City of London un popolare luogo di residenza per i miliardari di tutto il mondo, dall’Africa, dall’Europa continentale e dall’India, sono tutti residenti in quel miglio quadrato, così come in quel miglio hanno sede ufficiale la gran parte dei più grandi gruppi finanziari.

Una volta a Londra, un sofisticato apparato giuridico e finanziario (organizzato nella City stessa con il modelo di cui si fa riferimento sopra) fa in modo che i fondi esteri siano depositati in una rete di giurisdizioni offshore, intoccabili e inarrivabili.

In un suo libro rivoluzionario, “Treasure Islands”, Nicholas Shaxson descrive Londra come il centro di una ragnatela che collega le Isole del Canale, l’Isola di Man e i Caraibi. Con impressionante frugalità, gli inglesi hanno riattato i resti sparsi del loro impero come strumenti per soddisfare le esigenze del capitale globale.

C’è un preciso modello a cui si sono ispirati così come c’è un preciso centro di potere, una testa pensante.
Per meglio capire questo modello e l’ubicazione della testa pensante bisogna andare vedere come è organizzata la City of London.

Non ci si riferisce a l’intera Città di Londra, bensì a quel miglio quadrato denominato appunto “City of London”, che al suo interno ospita in pratica la sede di quasi tutti i grandi gruppi economici finanziari, delle multinazionali, delle corporations, dei fondi finanziari in cui vengono accumulati enormi patrimoni nei conti dei cosiddetti paradisi fiscali.

È davvero singolare in questo miglio di città, come ogni anno venga eletto il “Lord Mayor”, osservare su che base e come avvengano le votazioni per le elezioni dei rappresentanti della City of London.

“Al  crepuscolo dell’impero britannico, i banchieri, avvocati, e contabili della City di Londra istituirono una rete di giurisdizioni segrete offshore per raccogliere ricchezza da ogni parte del mondo e convogliarla a Londra”

Il regista Michael Oswald produttore insieme a John Christensen del film documentario “The Spider’s Web” (La rete del ragno) hanno studiato per oltre 20 anni i meccanismi del mondo finanziario offshore e la rete dei paradisi fiscali, indicando nel miglio quadrato della City of London, centro non manifesto ma di fondamentale importanza attorno a cui si sono creati i vincoli e le regole che definiscono il funzionamento dell’Euromercato come anche quelli dell’economia globale, e delle attuali transazioni finanziarie mondiali.

Oswald e Christensen nel loro film documentario The Spider Web, del quale consiglio a tutti la visione, in definitiva racconta la storia dell’Impero britannico, le sue trasformazioni e la sua eredità nel mondo attuale, e il modus operandi dell’impero più vasto che sia mai esistito al mondo “l’esercito conquistava e i banchieri consolidavano il potere della sua moneta”, così per oltre trecento anni.    La Tela del Ragno: il Secondo Impero Britannico

In una interessante intervista apparsa su Deutsche Wirtschafts Nachrichten, una testata tedesca che si occupa di finanza Michael Oswald definisce il centro sia storico che attuale del potere finanziario mondiale, all’interno del miglio quadrato della City of London:

“Al tempo dell’impero britannico, la Gran Bretagna strutturava la sua economia non attorno ai settori manifatturieri e produttivi, ma attorno alla finanza. Le banche della City di Londra fornivano il finanziamento all’Impero e le colonie avrebbero pagato gli interessi alla City. La Gran Bretagna creerebbe accordi commerciali con le sue colonie che consentirebbero loro di esportare una certa quantità delle loro merci nel Regno Unito, consentendo loro così di pagare gli interessi sui loro prestiti. L’Impero ha permesso al settore finanziario nel Regno Unito di assumere un ruolo e un’importanza che i settori finanziari non avevano in altri paesi.

Con il declino dell’impero britannico, le istituzioni della città di Londra si trovarono sempre più di fronte a circostanze che limitavano la loro capacità di funzionare e realizzare un profitto. Fu per questa esigenza che vari interessi finanziari cercarono di modellarsi spazi in cui poter continuare ad operare e trarre profitto. Per creare questi spazi hanno utilizzato l’esperienza sviluppata durante l’impero e i resti territoriali dell’Impero, come i territori dipendenti dalla Gran Bretagna, l’esperienza finanziaria e le reti stabilite durante l’Impero e la conoscenza di come stabilire, gestire e beneficiare di un sistema finanziario internazionale .

E di conseguenza, invece di diminuire con il declino dell’Impero, come ci si aspetterebbe che accadesse, la città, in combinazione con le giurisdizioni segrete britanniche, è rimasta il più grande attore mondiale della finanza internazionale.”

L’intervistatore di Deutsche Wirtschafts Nachrichten alla successiva domanda aggiunge: “Abbiamo un detto che dice: “Muscoli americani, ma cervelli britannici”. L’establishment britannico sta ancora tirando i fili dietro le quinte su scala globale?

Oswald e Christensen rispondono: “I tipi di segretezza finanziaria offerti nelle giurisdizioni segrete britanniche potrebbero fornire un’opportunità per esercitare un’influenza in questo modo – e aggiungono che – la Gran Bretagna ha costantemente votato contro la creazione di un organismo intergovernativo rappresentativo a livello globale per definire un quadro di regole per rafforzare la cooperazione internazionale in materia fiscale. La Gran Bretagna ha resistito con successo alle pressioni internazionali per intraprendere un’azione efficace contro i suoi paradisi fiscali nelle Isole del Canale, nelle Isole Cayman, nelle Isole Vergini britanniche e in altre dipendenze britanniche.

Ho osservato funzionari britannici che bloccano i tentativi di rafforzare la cooperazione internazionale sullo scambio di informazioni fiscali tenendo fuori dall’agenda la discussione sui trust offshore. Ciò è accaduto di recente nel 2015, quando il primo ministro David Cameron ha spinto per escludere i trust dai processi di scambio di informazioni. Questa è una questione fondamentale poiché i trust offshore sono la chiave del modello di segreto del paradiso fiscale britannico. La Gran Bretagna ha anche passato anni a bloccare i tentativi dell’UE di compiere progressi verso un approccio comune alla tassazione delle società multinazionali (la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società).

In un ambiente post-Brexit sarà molto più facile per gli stati dell’UE-27 fare progressi contro le giurisdizioni segrete, il che spiega perché i funzionari di Guernsey e Jersey temono il ritiro della Gran Bretagna dal tavolo a Bruxelles.”

Chi volesse approfondire, qui può trovare l’intervista completa in lingua inglese: City of London Capitale dell’Impero Invisibile 

Molto particolare anche il sistema di ripartizione dei voti all’interno della City, che non è numerico in base al numero dei residenti (pochissimi) ma avviene invece per via di proprietà o comunque tramite gli amministratori dei grandi gruppi finanziari e corporazioni che hanno la propria sede giuridica all’interno di quel miglio quadrato nella giurisdizione della City of London.
La ripartizione dei voti e il peso dei votanti viene stabilito in base ad una serie di parametri di cui fanno parte la capacità economica, il fatturato, il patrimonio liquido, finanziario e immobiliare, il numero di dipendenti, il numero di filiali estere, la capacità di penetrazione di mercato, i potenziali mercati e quelli invece in cui la corporazione è già presente. Tutti questi parametri insieme vanno a determinare il peso della corporazione fra le varie presenti all’interno della City.

Il voto per l’elezione sia del Lord Mayor che delle altre cariche decisionali non sono demandate con un voto valido per ogni persona facente parte o dipendente di quella corporazione, bensì la capacità di voto data dalla somma di quei fattori di cui sopra e viene espresso dalla proprietà o al massimo dal CEO di una determinata corporazione.

Per capire meglio come vengano prese le decisioni nel blocco imperiale occidentale atlantico a trazione britannica, bisogna guardare al secolare modello organizzativo e decisionale della City of London.

Un protettorato che gode di privilegi e poteri ultra speciali almeno da quasi 700 anni, sulle cui politiche, affari e decisioni finanziarie nemmeno la Regina d’Inghilterra, tanto meno il governo britannico mette bocca.

Un protettorato che annualmente elegge un suo rappresentante che presiede e presenzia inoltre i summit dei paesi ExCommowealth, (l’antico impero coloniale britannico) così come presenzia all’interno del World Economic Summit, del WTO, dei vari incontri in stile Davos, con una rappresentanza e una influenza più che determinante all’interno
delle associazioni che si definiscono “d’influenza” e formazione della classe dirigente attuale e futura, come ad esempio l’Aspen Institute, la WAC, i vari G30, come anche intrattiene stretti rapporti con le varie fondazioni “benefiche” in stile Bill e Melinda Gates.

Si guardi al modello decisionale della City e si potranno allora capire molte cose su come, dove e da chi vengano prese le attuali decisioni che contano in termini geopolitici ed economici finanziari.

Tornando agli accadimenti del marzo 2012, apparentemente scollegati, che interessarono il banchiere russo ferito e le dimissioni dell’allora tesoriere del partito conservatore britannico, per comprendere meglio i fili di una trama che uniscono questi due episodi, bisogna fare ancora un altro passo indietro, però un po’ più recente.

Quando all’inizio degli anni 90′ l’Unione Sovietica si sciolse, coloro che si erano assicurati il controllo dell’economia russa privatizzata si trasferirono in blocco a Londra.  Avevano poco in termini di appoggio dalla base sociale nel proprio paese, e la loro posizione era cronicamente insicura. Avevano bisogno di trovare un modo per incanalare profitti all’estero e Londra offerse loro l’accesso ad una capitale mondiale della finanza, oltre ad aliquote fiscali favorevoli.

Londra è stata la città che ha anche dato ad alcuni di loro un profilo pubblico al di fuori della Russia.
Ad esempio con l’acquisto del Chelsea Football Club e dell’Evening Standard, Roman Abramovich e Alexander Lebedev, rispettivamente, si sono trasformati in figure di rilevanza internazionale. Questo ostacolava le strategie dei loro oppositori rimasti in Russia.

Lo Stato britannico non si è mai limitato a fornire ospitalità, bassa fiscalità e celebrità internazionale ma mette anche a disposizione dei suoi residenti “preferiti” le sue risorse diplomatiche, i suoi trattamenti fiscali privilegiati, le proprie reti. Così come con gli stessi criteri e straordinari poteri, non rientrando più fra i loro preferiti, oggi agli oligarchi russi (il corrispettivo dei grandi imprenditori e uomini di affari occidentali) non solo vengono tolti tali privilegi, ma vengono pure messi al bando e i loro beni e i loro conti sequestrati, vedi l’esempio del magnate Abramovich.

Sempre secondo i poteri straordinari e le “regole” non scritte derivanti dall’eredità di contatti dell’Impero coloniale britannico, nel luglio 2001, Tony Blair scrisse una lettera al primo ministro rumeno Adrian Nastase per appoggiare il tentativo di Lakshmi Mittal nell’acquisto della Sidex, un’impresa rumena statale del settore dell’acciaio.
Anche se Mittal aveva uffici a Londra, la società che fece l’offerta era registrata offshore, nelle Antille olandesi.
Mittal formalmente non aveva conflitto d’interessi perché all’epoca non dava lavoro a molte persone in Gran Bretagna, e pagava ancor meno tasse, eppure aveva finanziato generosamente il Partito laburista di Blair e di ritorno grazie ai contatti di Blair Mittal riuscì a procedere all’acquisto della statale  acciaieria Sidex.
Singolare come nel maggio 2001, due mesi prima della lettera di Blair, il magnate indiano aveva donato 125.000 sterline. Questo è solo un piccolo esempio di come politica ed affari economici siano strettamente connessi fra loro ciò non solo in Italia.

Analogo discorso sebbene più in grande si potrebbe trattare sulla cessione dell’acciaieria italiana di Taranto, l’Ex Ilva di Taranto al gruppo Mittal, ma il discorso oltre che più articolato sarebbe ben più lungo ma conduce comunque alla City of London, alle sue regole speciali, e a uno dei suoi tanti paradisi fiscali questo situato nel Canale della Manica, più esattamente sull’isola di Jersey.

Non c’è da stupirsi quindi che Peter Cruddas fosse felice di parlare con i finanzieri del Liechtenstein circa le donazioni al partito conservatore, ma che allo stesso modo invece entrambi gli occhi sono stati chiusi su quelle indiane al partito laburista.

Le donazioni da stranieri secondo la legislazione britannica sono illegali, ma è una questione relativamente semplice creare una società registrata nel Regno Unito per effettuare la transazione. La condizione di offshore confonde la distinzione tra interno ed estero.

Tutto questo fa parte di un progetto imperiale molto più vasto, la cui portata e significato sono difficili da comprendere a fondo. Non stiamo parlando di un impero che si fa pubblicità. Anzi, al contrario, cerca di occultare la sua stessa esistenza. Ma non vi è alcun dubbio circa le sue ambizioni. Per decenni, i governanti della Gran Bretagna hanno cercato di fare di Londra la capitale del capitalismo globale. Lo Stato si è riorganizzato a tal fine. La politiche di privatizzazione sono state testate prima nel Regno Unito e poi esportate in tutto il mondo. La deregolamentazione ha portato le banche estere a Londra. Il settore finanziario, quello dei servizi segreti e i partiti politici sono impegnati in un progetto che i principali media difficilmente si sentono di discutere. Le elezioni all’interno del cuore finanziario di questo impero finanziario invisibile, diventano esercizi di forma sempre più difficili, in cui le superficiali differenze di tono e di alcuni dettagli, oscurano in realtà una complicità molto più profonda.

Di tanto in tanto, le dinamiche dell’impero offshore diventano visibili nella forma di scandali e crimini sensazionali. Le lotte di potere producono delle increspature difficili da ignorare. Ad esempio, qualcuno spara per strada ad un uomo d’affari straniero, la cui conseguenza e il messaggio collegato è il cambio di passo di certe politiche nei confronti di alcuni “ospiti stranieri” di questo impero finanziario, un tesoriere di un determinato britannico partito viene implicato in uno scandalo, il tesoriere di un altro partito sempre britannico invece no, e ancora, il figlio di un noto Presidente  statunitense viene dapprima coperto, poi in seguito scoperto nello scandalo dei conti e degli investimenti illegali in Ucraina sempre tramite paradisi fiscali offshore e così via, eventi che a noi paiono scollegati, e che invece sono fra loro legatissimi sempre tramite la stessa modalità di gestione post imperiale coloniale che vede impiegate a seconda del caso le reti del fu impero britannico, i suoi canali, l’uso di determinati spostamenti finanziari, oppure il disimpegno di determinate risorse, la garanzia di accesso ad alcuni privilegi, oppure l’impiego a senso unico della potente macchina propagandistica tramite i media.

Ad esempio, Rupert Murdoch, una figura significativa nella risurrezione dell’imperialismo britannico, possiede il Sunday Times, il quotidiano che ha informato l’opinione pubblica riguardo alla storia di Peter Cruddas. Una fazione dell’impero invia un messaggio ad un’altra. Per un attimo ciò che non si può discutere è menzionato, obliquamente, così come le maniere di agire dell’impero, oblique e sottotraccia, di modo che la natura di questi messaggi sia ben compresa ai pochi addetti ai lavori, ma quasi inosservata e non identificabile alle masse popolari.

Il terzo impero britannico non è una superpotenza industriale o militare. Anzi, è marcatamente vulnerabile. Gli Stati Uniti e le grandi potenze d’Europa potrebbero fare molto per ostacolarlo, se solo scegliessero di farlo, e bisogna osservare che c’è stato un momento in cui con Trump da una parte e l’Europa della Merkel dall’altra, si erano spinti in accordi di collaborazione che vedeva fino poco tempo fa, partenariati e importanti accordi con Russia, Cina, India. In specie con l’aprirsi della “nuova via della seta” da una parte e con gli accordi di fornitura del gas tramite i nuovi gasdotti che portavano al cuore industriale d’Europa, il rivisitato “terzo impero britannico” per un periodo ha vacillato.

Impero che vede come sempre la testa pensante di là dalla manica e il braccio operativo di là d’oceano atlantico, che ora è passato al contrattacco su più fronti, uno di questi ai confini della Russia, l’altro sul fronte interno dell’Europa condizionando tramite i propri canali in modo costante le scelte dei governi europei, e l’opinione pubblica tramite i media e i canali social usati ormai come canali di propaganda più che di informazione.

L’impero rappresenta una tentazione permanente a tradire le realtà locali e nazionali in nome dell’appartenenza ad un’entità molto più esclusiva ed elusiva – un’entità il cui fascino è intimamente legato al suo tatto, la sua capacità di evitare una descrizione diretta.
L’impero prospera nella misura in cui può sfruttare e, ove possibile, stimolare, la corruzione in altri luoghi e infilarsi in determinate fratture, come anche nelle debolezze di una società, di un Paese, dei suoi politici, della sua popolazione, oppure ove possa corromperne istituzioni e interi governi.

Gran parte della vecchia retorica di guerra che sembrava storia abbandonata del passato, è adesso tornata in auge, tramite la potente macchina propagandistica si ritorna a far abbondante uso di bandiere, proclami e squilli di trombe.  Ma per altri versi, il “terzo impero” assomiglia molto ai suoi predecessori. Come i precedenti imperi britannici, da una parte deve fare tutto il possibile per evitare che un’autentica democrazia prenda piede nel Regno Unito, e nel mondo intero invece deve creare più condizioni possibili di divisione e di conflitto, meglio ancora se ricavando lauti profitti da tirannia o determinati governi imposti all’estero. Lo stesso libero mercato che in tempo di pace muove guerra economica e penetrazione commerciale, in tempi di guerra si mette al servizio della produzione delle armi, nell’alimentare i conflitti, nell’armare determinate fazioni piuttosto che altre affinché possano essere usate strumentalmente perché muovano guerra o comunque ne creino le condizioni, ben poco importa che siano milizie fondamentaliste, sanguinari dittatori locali, oppure rigurgiti neonazisti, l’importante è che siano funzionali a creare disordine, divisione e conflitto secondo la vecchia massima romana “dividi et impera”.

Come da buona tradizione e secondo le attitudini del capitalismo globale, funzionale all’impero finanziario, predilige avvantaggiare solo una piccola minoranza della popolazione. La restante parte dei cittadini si trova ad affrontare un futuro di crescenti disuguaglianze e ridotte prospettive. Inoltre, come nei secoli precedenti, i cittadini sono chiamati a pagare quando le avventure all’estero diventano costose. Infine, come i primi due imperi britannici, quello attuale pare che anch’esso sia un’impresa a conduzione criminale. Dopo essersi specializzato in schiavitù e traffico di droga, forse il marchio distintivo dell’impero attuale, è diventato il reato di evasione fiscale, e ultimamente vistosi in estrema difficoltà persino il congelamento e l’appropriazione degli altrui beni e proprietà arrivando dall’oggi al domani persino a disporre il blocco dei conti correnti.

Ora bisogna anche capire che come avvenuto in ogni tempo di vacche magre, la Russia di per sé ha sempre rappresentato un grande continente pieno di risorse e materie prime di vario genere, di sbocchi commerciali, di possibili collegamenti marittimi, aerei, e terrestri per fare da tramite altri mercati emergenti, solo che a sua volta la Russia è anch’essa sede di un antico impero.

Con l’affermazione dell’impero coloniale britannico negli ultimi due secoli diventato poi impero finanziario e militare angloamericano atlantico e britannico.  Eccetto i primi decenni subito dopo la rivoluzione americana, se si guarda alla storia degli ultimi 150 anni, sia nelle scelte strategiche militari che in quelle geopolitiche e commerciali, Gran Bretagna e Stati Uniti sono sempre stati allineati insieme nel loro interesse comune.

Lo stile della cultura colonizzatrice dell’impero britannico per secoli è stato ben rappresentato dalla frase forza: “Far di tutto il mondo l’Inghilterra.”
Conquista e colonizzazione che l’Impero britannico ha portato avanti nel mondo tramite politiche aggressive di penetrazione commerciale, sfruttamento delle risorse di un determinato territorio, occupazione militare tramite l’insediamento delle proprie basi, colonizzazione culturale. Un’opera di conquista che non si è mai fermata ma che ha visto invece un impulso di ulteriore penetrazione territoriale tramite l’uso spregiudicato dell’alta finanza e con i meccanismi predatori del libero mercato.
La Russia da oltre due secoli oltre a essere vista come possibile terra di conquista rappresenta anche uno scomodo competitore al predominio imperiale britannico adesso trasformatosi in predominio finanziario militare anglo-americano, un connubio dove il Regno Unito rappresenta la testa pensante e gli Stati Uniti il braccio esecutivo.

In questo preciso contesto non si può non vedere come la Russia sia stata sempre oggetto di mire espansionistiche, per ben due volte si è tentato di conquistarla militarmente e una terza volta quando da impero zarista era diventato impero sovietico. Con il crollo del blocco sovietico all’inizio degli anni 90′ si è lavorato per smembrarla, regionalizzarla, penetrarla commercialmente e culturalmente, sottrargli aree d’influenza.

La Russia guardando dal punto di vista degli interessi dell’impero angloamericano, specie in questo ultimo periodo stava pericolosamente incarnando il ruolo di tres d’union fra i paesi d’Europa (voluti sempre divisi e in guerra fra loro dagli angloamericani, perché meglio colonizzabili e controllabili) e la parte di quel mondo orientale rappresentato da Cina, India, e Sud Est asiatico.

La Russia in questi ultimi anni, facilitata in questo ruolo dalla sua posizione geografica, aveva messo in moto una una serie di meccanismi per il proprio sviluppo sulla base di una rete di accordi commerciali bilaterali tra paese e paese, così da favorire l’avvio di una cooperazione crescente, fungendo inoltre da collegamento all’interno in un mercato globale che andava configurandosi dalla Cina fino all’Europa comprendendo India, Sudest asiatico e ovviamente la Russia stessa.

Questa cosa, questo possibile “matrimonio” per gli angloamericani e il loro impero finanziario militare, figlio legittimo e diretto dell’impero coloniale britannico, non s’aveva da fare, troppi interessi vitali e strategici in gioco.
Meglio una Russia debole, possibilmente divisa e frammentata per controllarla meglio e poterne sfruttare le immense risorse, oppure in alternativa comunque una Russia impegnata in una serie di conflitti alle porte dei propri confini o nelle aree dove si sviluppi la sua area d’influenza.

La Russia è a tutti gli effetti un impero, discendente diretto dell’impero zarista prima e di quello sovietico poi, Putin e i suoi oligarchi che ne sono a capo, non sono certo migliori ma neanche peggiori dei nostri leader di governo e dei vari oligarchi occidentali (qui da noi chiamati uomini d’affari) tutti comunque rispondenti alle regole economiche, finanziarie e geopolitiche imposte sotto il blocco britannico e atlantico, con la Nato che funge ovviamente da guardiano e da braccio armato.

Siamo nel bel mezzo di una guerra di contesa territoriale e di predominio fra due grandi blocchi di potere, fra due imperi, lo stesso scenario geopolitico che in fondo contrapponeva la Russia zarista alle potenze occidentali nel 1800 e poi successivamente nella prima metà del 1900, e in seguito ancora nella seconda metà del secolo scorso che ha visto il blocco atlantico e il blocco sovietico contrapporsi durante il cosiddetto periodo della guerra fredda.

Da allora il contesto geopolitico non è poi così cambiato, Putin e i suoi oligarchi con cui fino poco fa, i paesi occidentali facevano affari e accordi commerciali, in questo momento sono diventati scomodi, ingombranti, “pericolosi” assurti a ruolo di cattivi, da isolare di là da una nuova cortina di ferro, perché nell’ottica degli interessi britannoatlantici, il possibile ponte d’unione a oriente, rappresentato dalla Russia significa un serio rischio alla leadership e al predominio mondiale dell’impero finanziario e militare angloamericano, discendente diretto di quello stesso impero coloniale britannico che cambiando pelle da oltre 3 secoli si espande, colonizza, sfrutta vasti territori, impone le proprie regole commerciali, economiche e geopolitiche.

Le varie guerre con cui facciamo da tempo i conti altro non sono che la frizione fra due grandi aree d’influenza geopolitica, due enormi faglie “tettoniche” mondiali che si stanno scontrando fra loro. Teatro di questo scontro l’Europa, lo stesso continente e la stessa aerea geografica dove sono nati e si sono sviluppati ben due conflitti mondiali.

Conflitti che ogni volta tramite la grande macchina propagandistica mediatica, un tempo fatta dalla sola carta stampata, in seguito con la radio e ora con la televisione, internet e i social, vengono presentati ai popoli d’Europa come guerre “giuste” contro i “cattivi” di turno, oppure necessari in “difesa” di principi di “libertà”, di “democrazia” ecc.  In realtà se si guarda all’operato occidentale è molto facile vedere rapidi cambi di fronte e di opinione. I vecchi alleati con cui fino al giorno prima ci si accompagnava, con i quali volentieri si facevano affari, e che i nostri governi finanziavano, spesso armavano, poco importava se fossero dittatori, capi di stato corrotti, oligarchi, mafiosi, assassini, un attimo dopo, quando essi rappresentano invece un possibile ostacolo all’espansionismo colonizzatore dell’impero, vengono ridefiniti ora criminali, pazzi pericolosi da abbattere e far cadere a tutti i costi, perché mettono a rischio la sicurezza del mondo intero, aggiungerei un mondo intero ovviamente a immagine e somiglianza angloamericana.

Forse i fatti che abbiamo davanti agli occhi ci parlano della necessità di porre fine ad un determinato modello, una matrice organizzativa sociale ed economica di tipo imperiale, e di stampo piramidale, basata sulla forza, sul predominio, sulla conquista territoriale e/o sulla penetrazione economica, sulla guerra, e quando necessario sulla propaganda per convincere le menti al sacrificio necessario, e che contrariamente a quanto si vanta anche in Occidente non disdegna l’abolizione e il restringimento delle libertà delle persone. Un modello che va avanti così da oltre 3 millenni, lasciando dietro di sé una lunga scia di sangue, carneficina dopo carneficina, disastro su disastro, alternando periodi di distruzione e guerra a cui sono seguiti poi periodi di ricostruzione e nuovo sviluppo di quanto in precedenza distrutto, pagato sempre a carissimo prezzo con la vita di milioni di persone. Un modello che già alla fine della seconda guerra mondiale era più che evidente non ci potessimo più permettere, e sul quale invece incuranti di tutti e di ogni cosa i vertici di comando a livello mondiale hanno tenacemente insistito con ancora più forza.

Un vertice che a maggior ragione nella tutela della sopravvivenza generale, ha bisogno di essere esautorato, il cui primo passo in questo senso deve andare nella direzione del non riconoscere nessuna autorità a qualunque governo quando questo generi e alimenti situazioni di conflitto, nessun riconoscimento né obbedienza alcuna a coloro che rivestendo ruoli decisionali d’interesse pubblico mettano a rischio con il loro operato la tenuta sociale, oppure che incuranti del volere popolare e del benessere di tutti, rispondono alla violenza con altra violenza, aumentando ad esempio gli investimenti nella produzione delle armi, invece che assolvendo ai bisogni fondamentali della gente, alimentando ulteriormente così il conflitto, sia quello economico che quello sociale, come è anche riprovevole propagandare ed esaltare azioni di guerra, inasprire le tensioni, invece che spendersi nel dialogo, nella ricerca di soluzioni, diplomatiche, di accordi di pace, per lo spegnimento dell’incendio prima che la casa di tutti, rovinosamente vada ancora una volta a fuoco.