E’ questa la domanda sarcastica che si dice abbia fatto Stalin durante i colloqui di Yalta a chi gli suggeriva di tener conto anche delle opinioni del Papa nel definire gli assetti geo-strategici del dopoguerra. Un sarcasmo spiegabile in parte con il fatto che si usciva da sei anni di guerra mondiale in cui la parola era stata lasciata esclusivamente alle armi, in parte con il fatto che la collocazione del Papa di allora – il suo anticomunismo – destava non dubbi, ma certezze.

Oggi invece la terza guerra mondiale (non più solo “a pezzi”) non è ancora cominciata, anche se le parti in causa sono già in campo: la Federazione Russa, con la feroce aggressione e invasione dell’Ucraina; la Nato, per interposta nazione, con il riarmo del paese, che non è certo cominciato dopo l’aggressione, ma, anche per esplicita ammissione di Biden, da almeno sette anni. Con la consegna di ingenti armamenti e migliaia di istruttori non solo al governo ucraino, ma anche alle sue numerose milizie, più o meno ufficializzate, in campo da anni nella guerra contro le regioni autonome del Donbass. Non solo il battaglione Azov, dichiaratamente nazista, ma molti altri corpi di analogo sentire, ma meno pubblicizzati (d’altronde i nazisti sono presenti anche dall’altra parte e ci sono ormai in tutto il mondo, Italia compresa, come ha fatto notare Edith Bruch).

Quanto al Papa, non è più quello di allora, poi accusato se non di connivenza, certamente di un colpevole silenzio sulla persecuzione degli ebrei – per la cui salvezza molte istituzioni cattoliche si erano invece spese – e di un impegno, istituzionale ancorché segreto, nell’organizzazione delle “vie di fuga” di numerosi gerarchi nazisti.

Quello di oggi, Francesco, è invece sicuramente un Papa al di sopra delle parti, non solo perché non sospettabile di connivenza con uno degli avversari in campo, ma perché si è posto “dalla parte di Gaia”, della Terra. Ha cercato fin dall’inizio del suo apostolato di rendere tutti consapevoli che la guerra non è solo un massacro crudele, inutile e sempre più pericoloso, ma anche un acceleratore della corsa verso il precipizio ambientale e climatico, che i “Grandi della Terra” hanno fatto presto a dimenticarsi, ma da cui, a partire dall’enciclica Laudato sì, ha cercato di mettere l’umanità al riparo.

Ora – dopo tante dichiarazioni di disponibilità, dopo l’invito di Casarini a costituire un corpo di interposizione che si rechi sul “teatro di guerra” (che anch’io avevo prospettato su questo giornale in un articolo del 14.3), dopo le più o meno convinte proposte di organizzare delle missioni di pace in Ucraina – è arrivato a Francesco l’invito, anzi la preghiera di Domenico Quirico su La Stampa, di recarsi personalmente in Ucraina, accompagnato dai molti che si sono già dichiarati disposti a farlo.

Ecco le divisioni del papa! Una missione del genere potrebbe essere l’occasione non per un gesto solo simbolico, per quanto importante (ma il tempo stringe!), ma per una vera iniziativa di mediazione tra le parti in causa. Una mediazione che non può esserci se non c’è il mediatore: che potrebbe fare, sì, riferimento alla brigata di interposizione che si offre di accompagnare il Papa o, in alternativa, di avvalersi di un suo mandato, ma ovviamente solo se ufficialmente tutelata da un riconoscimento ufficiale dei governi che si candidino al ruolo di mediatori.

Mediatori che non possono essere le parti in causa, ma solo chi si metta in una posizione di terzietà, pur essendo più o meno direttamente coinvolto. Quindi non la Turchia, Israele o la Cina (benvenuti tutti!) e meno che mai la Nato, bensì L’Unione Europea o alcuni governi dei suoi Stati membri. Che non possono però limitarsi ad “accelerare” le procedure di ingresso dell’Ucraina nell’Unione, un passo che in questo contesto vedrebbe visto solo come un ponte verso l’ingresso nella Nato. Devono invece prenderne le distanze con una proposta di mediazione che, come tutte le mediazioni, non può che comportare delle concessioni sostanziali da entrambe le parti: con il vantaggio di offrire sia a Putin che a Zelensky una via di uscita da un’impasse destinata a protrarsi nel sangue.

Le uniche alternative alla mediazione sono esigere la “resa” dell’Ucraina, proposta di cui si accusano i “pacifisti”, senza che nessuno di loro l’abbia mai formulata (una cosa è inviare armi perché la guerra continui, un’altra promuovere una mediazione perché finisca al più presto), oppure la sconfitta irreversibile delle forze armate russe, il disarcionamento di Putin, o la dissoluzione stessa della Russia: obiettivo indubbiamente destinato a protrarre la guerra fino allo sbocco in un conflitto aperto e forse nucleare tra le vere parti in causa.

E’ quello che sembra augurarsi, senza che chi ne condivide la postura abbia il coraggio di dichiararlo, l’articolo dell’ex ambasciatore USA presso la Nato Kurt Volker pubblicato ieri da Repubblica: “Hanno una volontà d’acciaio – scrive dei combattenti ucraini – L’Occidente deve dimostrare la stessa capacità”.