Meglio tardi che mai. Il 27 ottobre la Corte Europea dei Diritti Umani ha stabilito che il Belgio violò il diritto internazionale quando, nel 2017, rimpatriò un cittadino sudanese con la collaborazione delle autorità locali senza valutare il fatto che questi avrebbe potuto subire violazioni dei diritti umani all’arrivo in Sudan.
L’uomo, identificato negli atti giudiziari come M.A., faceva parte di un gruppo di 10 sudanesi rimpatriati tra ottobre e dicembre del 2017. Le autorità belghe avevano persino autorizzato funzionari dei servizi sudanesi a incontrarlo per accertare la sua nazionalità e avevano esercitato pressioni affinché firmasse un documento nel quale il rimpatrio forzato veniva descritto come “volontario”.
Da allora, sostiene il governo di Bruxelles, la prassi in materia di rimpatri è cambiata. Ma ora la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani, che cita ampiamente le preoccupazioni espresse all’epoca da Amnesty International, è un monito ulteriore affinché sia rigorosamente garantito che nessuno sarà sottoposto a rimpatrio qualora vi siano rischi per i suoi diritti.
Dopo la pubblicazione della sentenza, Amnesty International ha sollecitato le autorità belghe a risarcire il danno procurato a M.A. in conseguenza del suo rimpatrio forzato e illegale.