Il paese attraversa una crisi multidimensionale: politica sociale, economica e sanitaria, sotto uno stato terrorista che gestisce la pandemia con l’intento di eliminare il “nemico interno”, provocando un genocidio degli indigeni. Questo è reso evidente dall’indice di letalità, che è la percentuale di morti rispetto alla popolazione, in relazione al Covid 19. Il paese ha il 5,8% di letalità, il secondo più alto della regione e supera la media mondiale del 3,2%, secondo cifre ufficiali. La cosa allarmante è che la Bolivia ha 11 milioni di abitanti e quasi triplica l’indice del 2% dell’Argentina che ha 44 milioni di abitanti.

La strategia golpista viene portata avanti attraverso una guerra politica attuata per via giudiziaria (Lawfare) insieme a una guerra mediatica contro i dirigenti, criminalizzandoli e demonizzandoli. Il discorso razzista riguardo alla supremazia bianca attribuisce aggettivi negativi che etichettano la popolazione indigena e legittimano la violazione dei suoi diritti umani. Il fine è quello di restaurare un’apartheid che era stata operante fino alla metà del XX secolo, e che era proseguita in modo subdolo fino al 2010, al rifondarsi della Bolivia come Stato Plurinazionale.

L’arrivo del croato Branco Marinkovich come Ministro è una pietra miliare, per la prima volta in 194 anni dalla creazione della Bolivia come Stato Nazione i separatisti giungono al governo, con un progetto di balcanizzazione del Paese.

Bolivia, modello da costruire in America Latina

Gli Stati Uniti, scalzati dalla Cina, al fine di recuperare la propria egemonia come potenza economica, stanno cercando di riconquistare il proprio cortile (Dottrina Monroe, 1823), ricolonizzare e controllare una regione ricca di risorse naturali. La Bolivia è un gioiello per gli USA, come lo furono il suo oro e il suo argento per l’Europa durante il periodo coloniale, possiede il 60% della riserva mondiale di litio e monopolizza il 45% della biodiversità del mondo. Il suo litio, necessario per la costruzione di elementi di uso comune come batterie dei cellulari, auto elettriche, etc., è in grado di proiettare qualunque paese al rango di una potenza.

A livello regionale il colpo di Stato in Bolivia getta le basi di un modello applicabile in altri Paesi, modello che fu avviato e si iniziò a plasmare con il golpe “morbido” in Honduras, proseguì in Paraguay, in Brasile e, con un atto violento, in Bolivia acquisisce le caratteristiche più radicali e fasciste della regione. Senza dimenticare i colpi di Stato che in Venezuela e in Nicaragua non hanno avuto un buon esito.

Gli effetti di un violento colpo di Stato sono visibili nella regione nel rafforzamento delle destre più conservatrici, che incrementa la violenza. La popolazione viene spinta in un vicolo cieco senza altra via d’uscita se non l’insurrezione e/o la guerra civile bloccando i canali democratici, legali e pacifici per contestare il governo, come nel caso di Colombia o Bolivia.

In Bolivia si sta svolgendo una battaglia epocale che non può essere compresa solo nell’ottica della storia contemporanea, ma nel contesto di uno scontro culturale di 528 anni che i popoli indigeni sostengono da generazioni. Il voto del 18 ottobre riconfigurerà la regione, chiudendo oppure aprendo una strada per i progetti di liberazione nazionale, di una patria grande e per la costruzione di democrazie partecipative. Anticiperà i possibili scenari elettorali di altri Paesi, principalmente Venezuela e Argentina, dove l’ex presidente Eduardo Duhalde ha affermato che “non ci saranno elezioni”.

L’uso dei metodi sperimentati in Bolivia durante il colpo di stato ha oltrepassato un pericoloso limite in Argentina che è rimasta isolata e che è lontana da Venezuela, Nicaragua e Messico, ma che aiuta però nell’equilibrio delle forze. L’immagine della polizia che circonda la Residencia de Olivos (residenza ufficiale del Presidente argentino NdT) in piena pandemia è un fatto intimidatorio all’interno di una catena di azioni destabilizzanti. Cosa che non può essere compresa al di fuori di un piano regionale coordinato da un avamposto della destra che ha la Bolivia al centro delle sue operazioni. La polizia è partita di lì con la stessa richiesta “apolitica” di un “aumento di stipendio” che ha innescato un colpo di Stato con la richiesta di dimissioni a Evo Morales del capo delle Forze Armate.

Per quanto riguarda l’esercito argentino, non è da sottovalutare il tributo via Twitter a due militari uccisi durante la dittatura militare, che fu rigettato dalle organizzazioni per i diritti umani. D’altro canto, un dato di cui tener conto è che l’avvocato della polizia Gabriel Juricich è stato rappresentante legale della Federazione Boliviana di Argentina ed è legato alla destra boliviana del Paese.

Questi eventi si verificano in un contesto di denuncia politica nei confronti della vicepresidente, di minacce telefoniche al presidente della camera dei deputati, un contesto in cui la deputata Sagasti denuncia che, a partire da account falsi, sono stati pubblicati numeri di telefono e indirizzi di senatori a favore della riforma giudiziaria, in cui vengono realizzate proteste politiche davanti alla casa del governatore della Provincia di Buenos Aires. Azioni con caratteristiche simili sono avvenute prima del colpo di Stato in Bolivia.

La rubrica di Macri sul giornale La Nación supporta la linea golpista di Añez che si definisce “difensore della democrazia” e accusa Alberto Fernández di non “rispettare la Costituzione” scivolando verso un ruolo da “dittatore”. Intanto i media lavorano per imporre questo come pensiero dominante. Dopo il colpo di Stato in Bolivia, nulla è assicurato. Bisogna tener presente che un golpe, morbido o violento, si mette sempre in atto invocando la “difesa della democrazia” e, anche se in atti violenti come quello in Bolivia colui che assume la presidenza è un civile, ed è improbabile che sia un militare, questo dimostra che lo scontro si sviluppa nel campo della comunicazione.

Riguardo al Venezuela, il 19 agosto Samuel Moncada, ambasciatore presso le Nazioni Unite ha denunciato davanti all’assemblea che “Trump e i suoi sostenitori usano la pandemia come arma di sterminio” con l’intento di creare caos sociale e avviare le condizioni per invadere il Paese prima delle elezioni di novembre. Il regime in Bolivia terrà elezioni in ottobre con un piano “fraudolento”, che potrebbe creare i presupposti ottimali per un intervento in Venezuela, il quale anticiperebbe questo scenario anche per la Bolivia, specie dopo aver potuto misurare le forze a seguito delle proteste.

In Ecuador, la messa al bando simultanea dell’ex presidente Rafael Correa quale candidato alla vice presidenza e di Evo Morales in Bolivia come senatore, rivela un piano coordinato della destra regionale, e questi eventi ricordano quella di Lula in Brasile nel 2018, che ha posto le condizioni per la vittoria di Jair Bolsonaro. D’altro canto, in Colombia l’assassinio dell’avvocato difensore dei diritti umani Javier Ordoñez in una repressione brutale, ha catalizzato l’esasperazione del popolo rispetto a un presidente che si sostiene per mezzo della violenza. Anche in Bolivia le proteste hanno rivelato questa esasperazione del popolo che era estremamente vicino a un’insurrezione popolare senza precedenti dal ritorno della democrazia nel Paese. Questo sfinimento può esplodere nella regione davanti alla chiusura fraudolenta (imbrogli, proscrizioni, etc.) delle strade politiche per contestare il governo, lasciando come unica via d’uscita l’insurrezione, pacifica o violenta.

Le organizzazioni sociali e le democrazie partecipative

L’offensiva imperialista restauratrice, a livello continentale, ha superato il limite per frenare l’avanzata dei governi popolari con un intervento duro da parte dello Stato. Il solo potere in grado di fronteggiare il potere reale è quello popolare, che rompa il tetto delle democrazie rappresentative, verticistiche, paternalistiche che sono ormai giunte al proprio limite e sono interessate soltanto a mantenere lo status quo. Le proteste in Bolivia hanno portato alla luce la crisi di questo modello, che da molto tempo si è affermato a livello mondiale e che le organizzazioni indigene stanno fronteggiando. In questo modo, ad esempio, è stato trasferito come candidato a senatore per Potosí l’ex cancelliere e pre-candidato del MAS, Diego Pary, dopo aver reso pubblico il suo rapporto di lavoro con la vicepresidenza, e al suo posto è stato nominato il dirigente Hilarión Mamani.

All’interno di queste organizzazioni risiede il germe rivoluzionario della democrazia partecipativa, orizzontale, protagonista, attiva a partire dalle basi, che non si è riusciti a conquistare in 14 anni e che ha costituito un punto debole essenziale per il colpo di Stato. Questa scommessa è l’unica possibilità di resistere a una dittatura e recuperare la democrazia, c’è bisogno di dirigenti e candidati legittimi, non nominati dall’alto, ostacolando la legittimazione, l’unità, l’organizzazione, la forza sociale e l’autonomia nelle decisioni necessarie per costruire il potere popolare.

Tradotto dallo spagnolo da Manuela Donati. Revisione: Silvia Nocera