Innumerevoli sono i casi di violazioni dei diritti umani in Congo. Oltre 1200 ammontano le uccisioni di civili (1.154), di cui in gran parte donne (235) – vittime di stupri – e bambini (166). A dichiararlo sono fonti dell’Ufficio congiunto per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNJHRO), in un rapporto – datato settembre 2019 ma quanto mai, drammaticamente, attuale – elaborato insieme alla Missione di stabilizzazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO) e all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR).

Il rapporto, prendendo in esame l’arco temporale che va dal 1°gennaio 2019 al 31 gennaio 2020, documenta le gravi violazioni (397) del diritto internazionale umanitario ad opera delle Forze alleate democratiche (ADF), membri delle Forze di difesa della Repubblica Democratica del Congo (FARDC), agenti della Polizia nazionale congolese (PNC): proprio coloro che dovrebbero maggiormente tutelare queste terre ed i loro abitanti.

L’area, infatti, è da anni teatro di violenze a carattere settario: le province del Nord Kivu, Ituri (Djugu,  Mahagi), Irumu e Mambasa i territori più colpiti, da tempo a questa parte. Attacchi di milizie ribelli, rapimenti, espansioni territoriali, rappresaglie contro le popolazioni civili.

Un clima terroristico – ulteriormente aggravato dall’epidemia di ebola, solo di recente scongiurata – instauratosi per il controllo delle terre, dal momento in cui la regione è ricca di risorse minerarie. Non mancano, inoltre, tensioni tra le diverse etnie stanziate in questi luoghi fin dall’antichità. Si pensi al conflitto dell’Ituri, tra appartenenti alla comunità dei Lendu (agricoltori) e quella degli Hema (pastori): nonostante la battaglia abbia attraversato molteplici fasi, è in anni recenti (dicembre 2017 -settembre 2019) che vi è stato un aggravarsi armato che non ha fatto altro che diffondere atrocità in nome della logica del profitto e di una presunta proprietà ancestrale.

«La barbarie che caratterizza gli attacchi, come la decapitazione di donne e bambini con machete, lo smembramento e la rimozione di parti del corpo delle vittime esposte come trofei di guerra, riflette il desiderio degli aggressori di infliggere traumi duraturi alle comunità Hema e di costringerli a fuggire dai loro villaggi» afferma ancora il rapporto dell’UNJHRO.

Corpi mutilati, smembrati, dissacrati per il controllo delle enormi risorse naturali dell’area. Profanazioni al diritto alla vita, all’integrità fisica, alla libertà ed alla sicurezza della persona, al diritto di proprietà sembrano all’ordine del giorno nella Repubblica democratica del Congo. E ancora, sempre stando al rapporto: arruolamento di minori, lavori forzati, incendi di scuole, villaggi, ospedali. Atti pienamente ascrivibili a gravi violazioni non solo del diritto internazionale umanitario, ma dei diritti umani tout court.

Ed è proprio su questo punto che l’Organizzazione congolese per la difesa dei diritti umani CEPADHO si è espressa, asserendo che più che «crimini di guerra e crimini contro l’umanità» fosse giusto che l’ONU parlasse di terrorismo, in modo da sollevare una mobilitazione massiccia da parte degli altri Stati del mondo per «porre fine alle azioni delle ADF attraverso azioni militari e giudiziarie».

Chi più di tutti paga le conseguenze di questi atti delittuosi contro l’umanità sono le donne e i bambini, vittime silenti di abusi sessuali e stupri. Non tutti ricevono le cure necessarie da parte degli aiuti umanitari, non tutti hanno potuto o avuto il coraggio di denunciare l’orrore. Soprattutto per le madri, figlie e mogli congolesi la sofferenza reca con sé i segni – fisici ma soprattutto psicologici – della violenza carnale, dell’onta, giacché la brutalità impatta anche la sfera della socialità (famiglie, comunità) e va ad acuire la cultura della violenza. Questi dati sono emersi dall’appello alle autorità dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) affinché la presenza delle forze militari venga rafforzata con il supporto della Missione ONU per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO).

In Congo, dunque, tra barbarie interetniche ed operazioni militari, appare sempre più urgente la necessità di un intervento internazionale allo scopo di migliorare la situazione sul piano della sicurezza. Tollerare ad oltranza questi crimini, continuando a farli rimanere impuniti, è contro ogni logica e dignità umana.