Sabato pomeriggio migliaia di persone in ginocchio in silenzio in Piazza Maggiore: così Bologna manifesta solidarietà alle vittime afroamericane della polizia. Un flash mob di solidarietà, ma anche e soprattutto un presidio contro il razzismo endemico delle società “occidentali”, compresa la nostra. Nel corso degli interventi diversi italiani, nati e cresciuti qui da genitori stranieri senza cittadinanza e rifugiati hanno raccontato le loro storie di emarginazione. Inoltre sono state ricordate tutte le vittime dei naufragi nel Mediterraneo e quelle dello sfruttamento da caporalato.

Con mascherine e a distanza di sicurezza, inginocchiati prima in silenzio e poi intonando “Hell you talmbout, una canzone di protesta scritta nel 2015 del collettivo di cantanti guidati da Janelle Monaè. Il titolo è l’abbreviazione di “ What a hell are you talking about” (Di cosa diavolo state parlando?) e la canzone è un lunga lista di nomi di afroamericani morti per mano della polizia. In questo modo migliaia di persone a Bologna hanno ricordato George Floyd, l’afroamericano di 46 anni ucciso il 25 maggio da Derek Chauvin durante un controllo di polizia a Minneapolis.

Il flash mob è stato organizzato dal circolo Arci Ritmo lento, un crocevia di attivismo ambientale, politico, studentesco, molto attivo durante la fase di pandemia con l’iniziativa Dont’ Panic. All’evento hanno aderito numerose realtà sia all’organizzazione che alla mobilitazione. Si va da Coalizione Civica a Refugee Welcome Italia, da associazioni lgbtq+ a movimenti ecologisti. L’iniziativa si inserisce in una lunga lista di mobilitazioni simili in tutta Italia.

In questa “nuova normalità” anche i flash mob sono cambiati e si sono adattati. Innanzitutto, distanza di sicurezza: il crescentone della piazza è stato segnato da “x” distanziate tra loro per segnare i posti. In secondo luogo le mascherine. Il dispositivo di protezione individuale di cui non possiamo più fare a meno è diventato anche uno strumento di protesta: infatti gli organizzatori hanno invitato i partecipanti a scrivere sulle mascherine “Say their names” (dite i loro nomi). Una frase scritta per rompere il silenzio che avvalla condotte e pratiche da parte della polizia americana deliberatamente razziste. La frase è ormai iconica e ha sostituito il celeberrimo “Black Lives Matter”, che è diventato l’hashtag utilizzato dagli attivisti in USA durante le proteste per scambiarsi comunicazioni importanti.

Il flash mob è stato organizzato per dare risalto alle violenze sistemiche dei poliziotti USA contro gli afroamericani, ma ha avuto come obbiettivo più grande quello di riconoscere “il privilegio sociale che anche nella nostra società avvantaggia le persone bianche”, come si legge sulla bacheca dell’evento. “Ci interessa mostrare la nostra solidarietà alle mobilitazioni americane, ma bisogna espandere il fronte di indignazione nei confronti del razzismo che impera anche nel nostro paese” precisano gli organizzatori.

Durante l’evento, andato avanti per più di due ore, davanti ad una folla variegata si sono iscritti a parlare moltissimi esponenti della società per testimoniare con le loro storie che anche qui da noi il razzismo è un virus difficile da debellare. Una ragazza figlia di senegalesi, nata in Italia e ancora in attesa della cittadinanza; un ragazzo rifugiato con grandi difficoltà a integrarsi. Storie di emarginazione e sfruttamento.  Sono state ricordate le vittime sconosciute dei naufragi del Mediterraneo, le vittime del caporalato, tra tutti Soumayla Sacko, di cui campeggiava una foto in piazza.

Insomma, un’enorme e toccante manifestazione che ha ricordato che il razzismo esiste anche in Italia e che si accompagna sempre alla negazione di diritti fondamentali. Una necessità per la società civile è quella di unire le diverse lotte, accomunate dallo sfruttamento delle vite umane. Nei diversi interventi dal palco è riecheggiata la volontà di costruire anche a Bologna un grande fronte contro il razzismo, una speranza per il futuro in tempi di ripresa della socialità.