La pandemia da Coronavirus appare sempre più come uno specchio di ciò che siamo e che deve essere cambiato, da come trattiamo l’ambiente e la natura (male a dir poco), a come investiamo il denaro, alle scelte politiche, alla gestione dei beni comuni.

La situazione in Lombardia, e in particolare in Val Seriana sta sempre più connotandosi come un mix micidiale tra una sanità privatizzata arrivata al punto da distruggere la medicina territoriale (in tanti in Lombardia si sono espressi contro l’utilità dei medici di base che non servirebbero a nulla, se non a scrivere ricette per gli anziani) e un sistema produttivo che non si è voluto fermare. Lo ha ben evidenziato anche la puntata di Report di lunedì 6 aprile.

E come se ciò non bastasse, la Confindustria bresciana invita le aziende a contattare gli operai per riaprire le attività produttive nonostante i divieti governativi. Sembra proprio che non si riesca a immaginare una società dove il profitto sia secondario e il diktat della produttività lasci il posto a quello della vita.

 

Di certo l’economia dovrà riprendere, ma dovremmo ricordare che la sua essenza non sono il profitto e la produttività a tutti i costi, ma che, come indica l’etimologia del sostantivo, è la “regola della casa”, ciò che ordina la coesistenza del nostro abitare in un sistema complesso dove molteplici sono gli aspetti da superare e con cui convivere.

Quella del profitto è solo una scorciatoia. La sfida che abbiamo davanti, se vogliamo vederla, è trovare un percorso condiviso in cui far convivere risorse e produttività, benessere integrale e lavoro, vocazione personale e coesione comunitaria, attività antropica e respiro della Terra, reciprocità ed evoluzione interiore.

 

Si tratta di una svolta epocale che però temo ancora troppo pochi percepiscano. Fino a quando si continueranno a percorrere strade già intraprese e fallimentari come il capitalismo liberista non andremo da nessuna parte.

L’ora di ripensare al modello di produttività e di economia è giunta. Riaprire dovrà significare ogni nostra azione con priorità diverse. Se invece sarà un semplice ritorno a imperativi come la “performance”, la monetizzazione, la produttività fine a se stessa non faremo che ripetere errori e continuare a correre sul filo del baratro.

Non mancano idee ed esperienze capaci di dare nuove prospettive, come l’economia circolare o la decrescita felice di Serge Latouche, sbeffeggiata e ridicolizzata da chi ha osannato il liberismo e che ha sacrificato la sanità pubblica e i beni comuni.

Riaprire dovrà significare riaprire innanzitutto i nostri occhi, rinnovare il nostro sguardo focalizzando l’attenzione su ciò che come “dovremmo” aver capito conta primariamente, ma il condizionale, temo, potrà essere destinato a rimanere a lungo , almeno se queste sono le premesse.