Si è svolto a Sarajevo, gli scorsi 8 e 9 luglio, il vertice del Processo di Cooperazione del Sud Est Europa (SEECP), un format regionale multilaterale impegnato, ormai dal 1996, nel favorire progressi nel processo di cooperazione e collaborazione regionale tra gli Stati dei Balcani Occidentali e dell’Europa Sudorientale. Consiste in un processo di costruzione di un ambiente di cooperazione e di stabilità regionale, i cui obiettivi strategici riguardano il rafforzamento della sicurezza e della stabilità nella regione, il miglioramento delle relazioni economiche e della cooperazione regionale, soprattutto nei settori dello sviluppo delle risorse umane, del consolidamento delle istituzioni democratiche, della lotta contro la criminalità organizzata.

Sebbene operi in maniera sinergica con altre istituzioni regionali e multilaterali e, in particolare, nella prospettiva dell’avvicinamento alle istituzioni euro-comunitarie, si tratta di un’autonoma iniziativa regionale, nata su un progetto di alcuni Stati della regione, dal momento che i Paesi ispiratori e fondatori sono stati (1996) Serbia (all’epoca ancora Repubblica Federale di Jugoslavia), Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Romania, Albania, Macedonia, Grecia, Turchia, cui si sono poi aggiunti, negli anni successivi, alcuni altri Stati, fino a comprendere oggi l’intero spazio dell’Europa sud-orientale.

Un format la cui composizione ha dunque attraversato alcuni dei momenti più importanti, spesso drammatici, della vicenda storica più recente della regione: dall’immediato dopo-guerra bosniaco all’esplosione della guerra del Kosovo, dagli eventi drammatici del 5 ottobre 2000 alla fine dell’esperienza storica della Jugoslavia, dall’indipendenza del Montenegro alla secessione del Kosovo, dall’ingresso dei Paesi dell’Est nel quadro dell’Unione Europea fino ai più recenti sviluppi dei rapporti regionali, ultimo il recente accordo tra Grecia e Macedonia del Nord. Non pochi, dunque, i contrasti e i conflitti che hanno attraversato e, per molti aspetti, continuano ad attraversare la regione; altrettante le dispute e le controversie che continuano a segnare i rapporti politici e diplomatici tra i singoli Paesi.

L’ultima riprova se ne è avuta proprio alla vigilia del summit di Sarajevo: la Bosnia-Erzegovina, Paese ospite, infatti, secondo le dichiarazioni rilasciate alla stampa da Milorad Dodik, presidente di turno della presidenza tripartita bosniaca, ha invitato ai lavori il Kosovo «in linea con il formato previsto per tali incontri internazionali», vale a dire come soggetto istituzionale non-statuale, con la denominazione della regione accompagnata da un asterisco che ne specifica la designazione in linea con il diritto internazionale. Al 2012 risale infatti l’accordo ufficiale, tra Belgrado e Prishtina, nel contesto del dialogo bilaterale, mediato dall’Unione Europea, per la risoluzione delle questioni legate allo status e per l’avanzamento delle relazioni tra le due “capitali”, che disciplina le modalità con le quali il Kosovo può prendere parte ai vertici regionali, siglare accordi ed intervenire a proprio nome in tali consessi. La «denominazione da usare» è «Kosovo*» dove l’asterisco rimanda appunto alla nota che chiarisce la posizione internazionale della regione: «Tale denominazione non implica alcuna posizione sullo status ed è in linea con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1244 del 1999 e con il Parere della Corte Internazionale di Giustizia del 2010 sulla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo».

L’adozione di questa denominazione, in linea con il diritto internazionale, da parte della Bosnia-Erzegovina, ha tuttavia scatenato la reazione delle autorità kosovare, che hanno deciso di non partecipare ai lavori del vertice. Sebbene la stampa abbia molto enfatizzato la querelle diplomatica, il vertice ha tuttavia, a conclusione dei lavori, emesso una dichiarazione finale nella quale si mette in rilievo l’esigenza di un approccio complessivo al processo di integrazione europea, nonché nelle aree dello sviluppo, della sicurezza e della stabilità.

Vi si legge che «il rafforzamento della cooperazione economica è molto importante, specificamente in termini di crescita economica, sviluppo sostenibile e prosperità di tutti i cittadini e le cittadine dell’Europa del Sud Est»; e che «la sicurezza dell’Europa del Sud Est è un pre-requisito fondamentale per la sicurezza e la stabilità del continente», soprattutto nelle aree della lotta al terrorismo, al radicalismo e alla criminalità organizzata, con un focus, in particolare, sul traffico di esseri umani, sulle inumane condizioni di lavoro, sul contrabbando di armi e munizioni, sul riciclaggio di capitali e sulla corruzione. Vi si legge, infine, che «la prospettiva europea rappresenta la garanzia della pace e della stabilità della regione balcanica».