I momenti storici sono come una sorta di grandi navi dentro le quali viaggiamo, a volte senza nemmeno rendercene conto. Seguono una direzione che è determinante, e che è illusorio provare a cambiare dall’interno dei piccoli scompartimenti in cui ci troviamo. Serve uno slancio deciso, in molti casi uno shock esterno, un logoramento irreversibile. In altre occasioni è richiesta la costruzione di un’enorme convergenza tra i diversi attori, l’irruzione di nuove credenze e di una mistica mobilitatrice, per prendere la forza sufficiente a far sì che l’epoca cambi di rotta.

Di solito succede che si impongano la forma, i valori, le aspirazioni, le bandiere e i temi che sono più in voga e che si riescono a percepire dal proprio determinato orizzonte epocale.

Così, in un mondo segnato dal potere del denaro, dalla discriminazione, dalla violenza e dall’emarginazione; un mondo in cui un’enorme distanza separa le opportunità dalla grande maggioranza delle persone, mentre si privilegiano ogni volta élite più ristrette; un mondo governato da leader ai limiti del grottesco appoggiati dalle destre più “cavernicole”, non c’è da sorprendersi che un piccolo Paese latinoamericano poco sintonizzato con le tendenze mondiali, il Cile, nelle elezioni di oggi (ieri, 17 dicembre, NdT) abbia voluto porsi sulla stessa lunghezza d’onda del resto del Continente, scegliendo per il suo futuro immediato un governante che risulta essere tra i migliori amici di Macri, di Temer, sicuramente anche di Macron e, perché no?!, a breve anche di Trump.

Sebastián Piñera rappresenta perfettamente il tipo di presidente che attualmente è ai vertici degli Stati della regione e promette di portare avanti le stesse politiche che vengono attuate in tutto il vicinato, di modo che già conosciamo come si orienterà nei prossimi quattro anni e il regresso che significherà per il Paese. Il 54,58% dei cileni gli ha concesso la sua fiducia nelle urne, sorprendendo gli analisti per il semplice fatto di confermare le tendenze neoliberiste, fondamentaliste cristiane, militariste, estrattiviste e del libero mercato, capaci di spazzar via i diritti umani e di essere sconsideratamente xenofobe, seguendo il modello imperante ovunque in questi anni.

Coloro che come noi desiderano un mondo umanista, inclusivo, nonviolento, redistributivo, decentralizzato, in cui gli insiemi di persone migliorino gli individui e il collettivo prevalga sul particolare, dovranno fare appello alle loro più grandi aspirazioni per lavorare a favore del futuro, della trasformazione delle condizioni che vigono in questo momento.

Fortunatamente, una nuova forza emergente è in condizione di cominciare a farsi spazio, dal basso, dalla base, dai movimenti sociali, dalle nuove correnti ecologiste, femministe, animaliste, indigeniste, ai professori e ai pensionati che rifiutano il sistema dei fondi pensione privati (AFP), agli studenti e ai tanti altri con cui gli umanisti cercano di dare corso alla spinta verso la libertà da poco meno di un anno, dando forma politica al Frente Amplio. È una corrente ancora fragile, giovane, ma già con una rappresentanza importante che le permetterà di essere un’opposizione decisa al nuovo governo e di continuare a germinare, per arrivare poi a dispiegarsi con tutta la sua potenza quando sarà possibile intravedere la nuova epoca e avanzare con molta risolutezza.


Traduzione dallo spagnolo di Domenico Musella