L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha pubblicato i seguenti dati per i primi due mesi del 2016: 138.280 persone sono fuggite in Grecia e in Italia, di cui il 36% costituito da bambini e 410 risultano annegate o disperse nel Mar Egeo. Nello stesso periodo sono iniziate le operazioni di Frontex, accompagnate nelle ultime due settimane dalla NATO. Medici senza Frontiere e altre organizzazioni umanitarie parlano ormai apertamente di crisi dell’accoglienza, più che di crisi dei rifugiati.

Cosa succede quando alcuni dei paesi della cosiddetta rotta balcanica chiudono le loro frontiere?

La settimana scorsa abbiamo sperimentato i risultati della chiusura delle frontiere lungo la rotta balcanica: migliaia di rifugiati sono rimasti bloccati a Eidomeni, sul confine settentrionale della Grecia e dormono dovunque trovino spazio. Le organizzazioni umanitarie denunciano l’inadeguatezza delle cure mediche e della distribuzione di cibo. L’esercito greco sta costruendo e gestendo hotspots e campi e riapre una dopo l’altra vecchie strutture militari per accogliere i rifugiati in condizioni improvvisate adatte a un numero minore di persone e certo non a famiglie con bambini. Nonostante le operazioni della NATO e di Frontex, nel Mar Egeo il flusso non si è arrestato. Come risultato dei nuovi arrivi e della chiusura delle frontiere i rifugiati sono ammassati nelle isole o dormono sulle navi, che fungono da centri di accoglienza o rimangono all’ancora nel porto del Pireo, cercando di organizzare il trasferimento verso il nord della Grecia. La società civile greca continua a chiedere ai paesi che formano una barriera intorno all’Austria e alla Germania di aprire le loro frontiere.

Cosa dice la NATO?

Con le sue dichiarazioni il comandante della NATO ostacola ogni tentativo di riaprire le frontiere o di trovare soluzioni per i rifugiati basate sulla solidarietà dell’Europa. Parla dei terroristi dell’Isis che “crescono come un cancro all’interno dei flussi di rifugiati” e continua a incolpare solo la Russia per la guerra in Siria.

Qual è l’atteggiamento dell’Unione Europea?

Il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, che ha visitato la settimana scorsa la Grecia e la Turchia in vista del summit del 7 marzo a Bruxelles, ha dichiarato che i paesi europei dovrebbero rispondere insieme e che le azioni unilaterali di certi paesi andrebbero evitate. Tuttavia continua a parlare di immigrati irregolari, più che di rifugiati o richiedenti asilo. Accetta la Turchia come paese terzo sicuro e sabota indirettamente i trattati e gli accordi internazionali ed europei sui richiedenti asilo. In questo contesto la Turchia ha ricevuto un aiuto economico per affrontare il flusso di arrivi nel suo territorio.

Cos’hanno annunciato i leader politici greci?

Il comunicato congiunto della coalizione di governo e degli altri leader politici promette che la Grecia rispetterà gli impegni derivanti dalle decisioni delle istituzioni europee. La Grecia diventerà la frontiera esterna dell’Unione Europea e in questo spirito non solo collaborerà con Frontex, ma faciliterà anche la sua rapida evoluzione in una Guardia Costiera europea che rispetterà comunque la sovranità nazionale greca, ospitandone la sede. Le autorità greche hanno assicurato anche la loro piena collaborazione con le missioni già concordate della NATO, a condizione che la Turchia rispetti a sua volta i suoi obblighi. La posizione di Tusk su quelli che vengono definiti immigrati irregolari e non richiedenti asilo è stata adottata in pieno. I paesi europei vengono sollecitati ad affrontare insieme il problema, senza iniziative unilaterali.

Come stanno rispondendo i greci?

A livello sociale possiamo osservare con sollievo la grande solidarietà della gente nei confronti dei rifugiati in fuga dalla guerra e dalla povertà. Nella Grecia centrale, sulla strada nazionale che porta a Stylida, più di cento profughi stanno cercando di raggiungere la frontiera a piedi e molti greci sono usciti di casa per offrire il necessario per il loro lungo viaggio. A Nea Magnesia, un piccolo centro i cui abitanti vengono dall’Asia Minore, studenti accompagnati dal loro insegnante hanno offerto le loro merendine ai profughi di passaggio e i medici della città hanno prestato cure sanitarie di loro iniziativa. All’altro capo della Grecia, in Laconia, il sindacato degli insegnanti ha organizzato un festival di solidarietà e in tutte le grandi città si moltiplicano i “muri della solidarietà”, dove la gente lascia vestiti e cibo per chi ne ha bisogno.

Quasi tutte le autorità locali sono in lotta contro il tempo per sostenere le strutture organizzate dall’esercito o dallo stato e in alcuni casi le allestiscono di loro iniziativa. Il sindaco di Kozani rappresenta l’esempio più eclatante. Informato per caso che nel giro di tre ore cinque pulman pieni di rifugiati sarebbero arrivati nella sua città, ha ordinato l’apertura della palestra di Lefkovrysi e invitato la gente attraverso i social media ad aiutare a soddisfare le esigenze basilari. Giornalisti hanno steso materassini sul pavimento della palestra, studenti universitari hanno pulito l’ingresso e i bagni e gruppi di volontari hanno organizzato la fornitura di cibo, coperte e articoli per l’igiene e allestito mense mobili. Dentisti hanno eseguito visite gratuite e altri dottori si sono presi cura di intere famiglie, cercando di alleviare ogni tipo di dolore. La palestra però non è riscaldata e Kozani è una cittadina di montagna. Negli ultimi giorni il tempo in Grecia è stato mite, ma qualsiasi cambiamento metterebbe in pericolo anche chi ha trovato un riparo.

Queste notizie “empiriche” sono state confermate da un sondaggio ufficiale eseguito in gennaio su un campione di 1.220 persone: il 58% degli intervistati ha espresso in modo attivo la sua solidarietà nei confronti dei rifugiati, fornendo cibo (39%), vestiti (31%), aiuto finanziario (10%) e offrendo servizi (4%). Una proiezione dei risultati sul totale della popolazione mostra che se le risposte sono state sincere, nell’ultimo periodo oltre 5 milioni di cittadini hanno aiutato in qualche modo i rifugiati.

Nonostante la grave crisi economica e l’alto tasso di disoccupazione, la Grecia sta dunque dando prova di una forte solidarietà. Il buon senso e lo spirito delle generazioni precedenti, che hanno subito la guerra e l’esilio, oggi si manifesta a causa delle storie passate, o di quelle attuali in Siria, Afghanistan e altre zone di guerra.