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Continuiamo a ricevere le cronache di Stefano Dotti dalla rivoluzione burkinabé. Ecco gli aggiornamenti di oggi.

Ore 7 – Mi sveglio con l’emozione del bambino al suo primo giorno di scuola. Vivo in un paese finalmente libero. I negozi sono aperti e già vedo dal balcone 50 giovanotti intenti a ripulire le strade, i marciapiedi, a risistemare le cose divelte, a rimuovere la cenere delle barricate incendiate, come a voler spegnere il fuoco che è bruciato dentro in questi giorni. Per strada ci sono anche le Brigate Verdi: gruppi di donne anziane che con la loro scopa di saggina cercano di togliere dall’asfalto la mitica polvere di Ouagadougou.

Ieri sera non c’è stata festa. Per strada, nei maquis, ovunque ci si potesse sedere, gruppetti di 6/7 persone raccontavano storie e commentavano gli avvenimenti della giornata. Poi verso le 20 un acquazzone di un quarto d’ora ha benedetto la rivoluzione. (qui non si è mai vista la pioggia in questo periodo)

Con la discrezione tipica di un burkinabè mi sono avvicinato ai gruppetti per cercare di ascoltare, di cogliere sensazioni. Ma ovviamente un bianco, per il solo fatto di essere bianco, non può essere discreto. Inoltre in un quartiere medio come quello in cui vivo un bianco è, per definizione un francese. Che onta! Solo un giovanotto sui 20 anni mi dice di sapere che le cose in Italia vanno molto male e che gli italiani dovrebbero fare ciò che è stato fatto qui. Sorrido, poi rido a crepapelle. Renzi: Ehiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!

Gli offro da bere (Fanta) e mi racconta: è stato là ieri, al centro della sommossa. Lo osservo. È stanco e dice di aver le ossa rotte. Parla dei suoi compagni martiri uccisi in piazza da una mitragliata di un ufficiale di polizia impazzito. Di come la folla non è indietreggiata ed ha alzato le mani. Decine di migliaia di persone sedute con le mani alzate, e non un sasso è volato. Infine delle camionette che se ne vanno. Mi passa per testa l’immagine di Gandhi. Gandhi non è morto. Gandhi, Sankarà, Mandela, Nyerere, Martin Luther King, Silo: sono tutti qui, presenti.

I burkinabè, per il loro rispetto innato verso tutto ciò che vive (questo è l’animismo), hanno scoperto la nonviolenza e il suo valore. Se sentiamo parlare solo di azioni violente nei paesi africani è unicamente perché “noi occidentali evoluti” siamo gli istigatori di tali azioni per conto di qualcuno.

Faccio un ultima domanda all’amico combattente: “Perché hai fatto tutto ciò?” Mi aspetto una risposta lunga, argomentata. Ma lui mi sorprende. Alza lo sguardo, mi indica due bambine che vendono arachidi e mi dice: “L’ho fatto per loro”. Mi alzo frastornato e commosso e lo saluto. Mi sembra di vivere in un romanzo. Ma è la realtà. Una realtà agognata da tempo.

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Ore 10 – Dalla radio arrivano notizie inquietanti. Due generali rivendicano il diritto a condurre la transizione. Sono già nate le lotte intestine all’interno dell’esercito per gestire il potere vacante. Penso: la CIA, i servizi segreti francesi, i funzionari dell’FMI sono già all’opera per destabilizzare il paese. Come possono accettare che quello che è successo in Burkina possa diventare un esempio per tutto il mondo? E l’altezza morale dei militari sarà in grado di resistere alle pressione degli interessi occidentali?

Tutto è tranquillo ma grandi nuvoloni si avvicinano. Che il vento del popolo possa spazzarli via!!

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Cronache dal Burkina: prima puntata 

Cronache dal Burkina: una giornata lunga e faticosa (la terza puntata)

Cronache dal Burkina: una manipolazione è incomnciata (la quarta puntata)