A volte basta un seme, o anche solo un’idea, per far nascere un modo diverso di guardare al mondo.

Per tre giorni, la corte di FOQUS – Fondazione Quartieri Spagnoli si è trasformata in un vero laboratorio di idee e incontri.
Esperti, studenti e cittadini si sono confrontati su come educazione, ambiente e comunità possono intrecciarsi per immaginare città più vivibili, sostenibili e inclusive.
All’interno delle GEA 2025 – Giornate Educazione Ambiente , il dialogo si è esteso dai temi della rigenerazione urbana all’innovazione agricola, dalla scuola come motore del cambiamento alla ricerca di nuove economie del rispetto.
Ho potuto seguire direttamente uno degli incontri, “Coltivare senza suolo e produrre comunità” , dedicato alle nuove forme di agricoltura idroponica e acquaponica.
Un dibattito denso di spunti, che ha messo in luce quanto le pratiche di coltivazione fuori suolo possano essere non solo una soluzione tecnica, ma anche una visione culturale e sociale per le città di domani.
Dalla terra ferita al cemento che fiorisce
Fra le testimonianze più significative, quella di Francesco Pio Fiorillo , fondatore di Lympha , un’azienda agricola di Licola che ha fatto dell’idroponica la propria missione principale.
Attraverso questa tecnica, Fiorillo coltiva in fuori suolo , puntando su un modello di agricoltura ecologica e rigenerativa , capace di ridurre drasticamente il consumo d’acqua, eliminando l’uso di pesticidi e riducendo l’impatto ambientale dei trasporti e del suolo agricolo tradizionale.
L’obiettivo è costruire un nuovo equilibrio tra innovazione e natura, dimostrando che la tecnologia può essere una via concreta per la sostenibilità ambientale , non un suo contrario.
«Da noi stiamo cercando di creare un sistema di agricoltura rigenerativa», ha raccontato.
«Abbiamo tanto terreno e vogliamo coltivarlo per riprenderlo, con colture che rigenerano il suolo stesso. È importante accompagnare la natura con i nostri processi, non sostituirla.»
La rigenerazione del terreno circostante rappresenta così un’estensione naturale del progetto idroponico , un modo per ripristinare equilibrio e biodiversità anche agli spazi adiacenti.
Poi ha aggiunto un’immagine che nasce proprio da Napoli:
«Prima di iniziare questa avventura abitavo in centro e, dal mio palazzo, guardavo il golfo di Napoli ei Quartieri Spagnoli pensando a quanto cemento mi circondasse. Da lì è nata l’idea: quanto verde potrebbe produrre, iniziando dai tetti, creando anche una copertura termica naturale. Il nostro obiettivo è rendere questo cemento sempre più verde.»
Quell’idea oggi si è trasformata in un piccolo impianto al quartiere Arenella , con duecento piante che crescono in mezzo a quattro palazzi.
Non è una grande serra, ma un inizio, un segno: la prova che anche nel cuore del cemento può nascere vita.
Un progetto alla portata di tutti
Fiorillo ha raccontato con semplicità che solo pochi anni fa non avrebbe saputo piantare nemmeno una piantina di basilico.
Oggi guida un’esperienza che mostra come l’idroponica possa essere alla portata di tutti, anche di chi non ha un giardino, ma solo un balcone o un terrazzo.
Coltivare senza terra, ha spiegato, è un modo per riavvicinarsi alla natura , anche in città, e per comprenderne i processi con occhi nuovi.
Nell’azienda Lympha , oltre alla produzione, si svolgono visite didattiche e attività formative dedicate a bambini e ragazzi delle scuole, che vengono accolti per scoprire da vicino come funziona la coltivazione fuori suolo.
Sono esperienze che uniscono curiosità, stupore e consapevolezza: piccoli passi per formare le coscienze di domani.
Coltivare conoscenza, coltivare futuro
Le coltivazioni idroponiche e acquaponiche usano fino al 90% di acqua in meno rispetto a quelle tradizionali e permettono di produrre prodotti di alta qualità anche dove il terreno è inutilizzabile.
Ma il loro valore non è solo tecnico: è simbolico.
È la prova che si può cambiare, che l’innovazione può nascere dal rispetto.
I principali vantaggi dell’idroponica
I principali vantaggi della coltivazione idroponica includono un risparmio idrico e significativo energetico , un controllo completo sulla nutrizione delle piante , un uso efficiente dello spazio e la possibilità di coltivare in qualsiasi periodo dell’anno .
Inoltre, elimina o riduce drasticamente la necessità di diserbanti e pesticidi , consente una produzione più rapida e produce raccolti più uniformi e puliti , privi di residui di terreno.
Le ricerche confermano che i prodotti coltivati fuori suolo mantenendo gli stessi valori nutrizionali e organolettici di quelli cresciuti in piena terra, e in molti casi risultano più controllati e sicuri , perché privi di contaminazioni e seguiti in ogni fase di crescita.
La pianta riceve esattamente ciò di cui ha bisogno, senza sprechi, e restituisce cibo sano e di qualità.
Un movimento che cresce nel mondo
Quello che a Napoli è stato raccontato come esempio locale fa parte di un movimento internazionale in piena espansione.
In Olanda , le serre idroponiche producono oltre il 40% delle verdure esportate in Europa.
In Svezia e Finlandia stanno nascendo le farm verticali urbane, coltivazioni su più livelli illuminati da luci LED a basso consumo.
A Singapore , l’idroponica è una strategia nazionale per la sicurezza alimentare, mentre in Giappone oltre duecento fabbriche di verdura integrano scuola, scienza e agricoltura.
Persino nel deserto degli Emirati e in Arabia Saudita , l’acquaponica è diventata un modo per combattere la scarsità d’acqua e creare lavoro.
Tutto questo mostra che il fuori suolo non è una moda, ma una possibile risposta ai cambiamenti climatici e alla perdita di terreno fertile .
E soprattutto è un modo per educare, per mettere in rete persone, saperi e sogni.
La sfida: creare una rete
Chi coltiva in idroponica o acquaponica, però, si muove ancora in un quadro normativo incerto: mancano riconoscimenti ufficiali e certificazioni specifiche .
Eppure, come è emerso anche dal confronto a FOQUS, la sfida più grande non è solo tecnica, ma umana : fare rete, costruire un progetto comune che unisca innovazione, ricerca e impegno educativo.
Solo così queste esperienze potranno diventare un modello stabile, riconosciuto e condiviso, capace di generare un cambiamento reale nel modo in cui produciamo e conteniamo il cibo.
Dal cemento al verde
Il modello sperimentato da Lympha, insieme a tante realtà in Italia e nel mondo, dimostra che la speranza si può coltivare.
È un approccio che unisce conoscenza e tecnologia, ma anche rispetto, visione e fiducia.
Un modello che sta già dando i suoi frutti e che offre un incentivo in più per guardare al futuro con più coraggio, più fiducia e più desiderio di partecipare.
Perché coltivare senza terra, in fondo, significa coltivare futuro .
FOQUS – Fondazione Quartieri Spagnoli
GEA – Giornate Educazione Ambiente
Linfa – Agricoltura idropica e rigenerativa










