Tutti i viaggi raccontano delle storie, ma ce ne sono alcuni che raccontano un’epoca intera; non è necessario che siano coinvolte grandi mete turistiche, città fantasmagoriche, paradisi naturali e che tutto sia documentato ai potenziali occhi di milioni di persone. Il viaggio che stiamo per raccontare è sicuramente paradigmatico, eppure avviene solamente sotto lo sguardo di poche persone, che svolgono le proprie mansioni ripetutamente, sole per giorni in mezzo ai mari e agli oceani. Il nostro viaggio inizia e finisce in mezzo al mare, lontano dalla costa, ma è in grado di raccontare tutto quello che accade sulla terraferma: grandi tensioni, dinamiche complesse o semplici sofferenze, storie personali e collettive, vicende di persone singole e grandi trasformazioni globali. Questo è il viaggio di un barile di petrolio in un contesto di guerra, dalla sua produzione alla sua raffinazione, e di ciò che si nasconde dietro questo viaggio.
È il 18 febbraio 2025 e ci troviamo sul terminale off-shore iracheno Al Başrah Oil Terminal, a circa 50 chilometri dalla costa della penisola di al-Fāw, nel Golfo Persico. La New Pearl, nave cisterna di 333 metri, è attraccata per le operazioni di carico del petrolio greggio, pronta a salpare e ad affrontare una tratta infinita. Ma da dove arriva tutto quel petrolio che andrà a costituire il carico totale di oltre 300.000 tonnellate?
Zubair: il giacimento italiano in terra irachena. Gas flaring e salute: l’eredità tossica dell’estrazione
Il petrolio che arriva alla piattaforma ABOT (Al Başrah Oil Terminal) proviene principalmente dai giacimenti petroliferi situati nel sud dell’Iraq, come Rumaila, West Qurna e Zubair, per poi arrivare alla piattaforma attraverso oltre 50 chilometri di oleodotti sottomarini.
Di particolare interesse per noi è il giacimento di Zubair, in quanto gestito direttamente dalla compagnia italiana Eni1, uno dei più grandi giacimenti petroliferi al mondo; nel 2023 da qui sono stati estratti 14 milioni di barili di petrolio, pari al 2,3% della produzione globale di Eni. La zona dove si trova è densamente popolata: la città di Az-Zubayr, infatti, conta circa 370.000 abitanti e l’area residenziale di Shuaiba si trova a meno di un chilometro dai pozzi petroliferi.

L’inchiesta “Burning Skies”2 del giornale Domani rivela tuttavia l’effetto dell’estrazione del petrolio nella zona, operata anche da Eni: livelli record di “gas flaring”, combustione di gas associato all’estrazione, con gravissime conseguenze sanitarie per la popolazione locale. Nonostante l’impegno che Eni dice di aver intrapreso per ridurre le emissioni connesse all’estrazione di petrolio3, numerosi residenti di Shuaiba hanno accusato tumori, eruzioni cutanee e malattie respiratorie, attribuiti all’inquinamento derivante dall’estrazione petrolifera. Un rapporto del Ministero della Salute iracheno, poi, ha evidenziato un aumento del 20% dei casi di cancro nella zona di Bassora tra il 2015 e il 2018, collegato all’inquinamento atmosferico4.
Una volta pieno, il nostro protagonista, il barile di petrolio, salpa dalla piattaforma irachena e si dirige, con un viaggio di sei giorni, verso il porto di Khor al Fakkan, negli Emirati Arabi Uniti, una scelta tutt’altro che casuale. Il porto infatti è situato subito al di fuori dello Stretto di Hormuz e rappresenta un punto sicuro e strategico per le navi in uscita dal Golfo Persico, una delle rotte più delicate al mondo per la navigazione commerciale. Lo Stretto di Hormuz, da cui transita circa un quinto del petrolio mondiale, è uno dei punti più strategici e delicati per il commercio globale; le tensioni geopolitiche tra Iran e Occidente, attacchi asimmetrici, sequestri di petroliere e interferenze ai sistemi di navigazione rendono infatti questo corridoio marittimo estremamente vulnerabile. Il pericolo costante di blocchi o incidenti influisce in modo diretto proprio sui premi assicurativi, sui prezzi del greggio e sulla stabilità delle rotte energetiche mondiali; per questo, molte navi, come la nostra New Pearl, sono spinte a pianificare scali tecnici.
In risposta alle crescenti tensioni nello Stretto di Hormuz, snodo cruciale per gli approvvigionamenti energetici globali, i Paesi importatori di petrolio – Italia inclusa – hanno puntato più sulla sicurezza militare che sulla diplomazia. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, infatti, l’opzione privilegiata non è stata quella di mediare con l’Iran per ridurre le frizioni, ma di rafforzare la presenza navale nell’area.
Gli Stati Uniti, la cui produzione interna di petrolio e gas è più che raddoppiata nell’ultimo decennio, hanno guidato nel 2019 l’avvio della Missione Sentinella, insieme a Regno Unito, Corea del Sud e Israele. A questa è seguita, nel 2020, l’iniziativa europea European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz (EMASoH), sotto leadership francese ma con un significativo contributo dell’Italia, che ha partecipato in modo attivo all’operazione, arrivando a stanziare quasi 20 milioni di euro nel 2023 per garantire la sicurezza dei flussi energetici.
La New Pearl e il nostro barile di petrolio dunque, scortati militarmente dalle navi della marina di diversi Paesi occidentali, arrivano negli Emirati Arabi Uniti. Qui la nave sosta solamente tre giorni e inizia a impostare la rotta verso il porto di destinazione, quello in cui il nostro barile toccherà terra: la piattaforma off-shore del porto italiano di Falconara Marittima. Nel pianificare il viaggio tuttavia, ancora ormeggiati al porto di Khor al Fakkan, la proprietà della nave che per motivi fiscali batte bandiera di Hong Kong, ovvero la compagnia di navigazione di Singapore Thome Ship Management, deve fare un ragionamento e prendere una decisione.
Missioni militari per proteggere l’oro nero e deviazioni strategiche: circumnavigare l’Africa per evitare conflitti
La rotta più breve verso il porto di Falconara sarebbe sicuramente quella che attraversa prima lo Stretto di Bab el-Mandeb e poi il Canale di Suez per arrivare nel Mediterraneo, ma la compagnia sceglie di circumnavigare l’Africa attraverso il Capo di Buona Speranza, allungando di due settimane il viaggio. Soprattutto a partire dalla guerra in Ucraina, il flusso di petroliere e metaniere lungo il canale è aumentato, con la crescita delle importazioni europee e canadesi dal Golfo Arabo per supplire al calo dei combustibili russi. Perché dunque la New Pearl decide di allungare il viaggio?

La rotta della New Pearl
Soprattutto a partire dal 7 ottobre, il genocidio di Israele in Palestina ha avuto ripercussioni significative sul commercio marittimo globale, in particolare su quello che attraversa lo Stretto di Bab el-Mandeb e il Canale di Suez. A partire dalla fine del 2023, e nel contesto della guerra civile in Yemen in corso dal 2014, il gruppo degli Houthi ha lanciato una serie di attacchi contro navi commerciali nel Mar Rosso come forma di solidarietà con la Palestina, prendendo di mira soprattutto imbarcazioni collegate a Israele, Stati Uniti e Paesi europei. Le conseguenze sono state immediate e numerose compagnie di navigazione, tra cui i colossi del mare Maersk, MSC e Hapag-Lloyd, più volte complici di Israele nel trasporto di materiale militare, hanno sospeso il transito nell’area, deviando le rotte attorno al Capo di Buona Speranza, con un forte impatto sui costi di trasporto, sui tempi di consegna e sui prezzi internazionali di merci e combustibili. Il sostegno politico e militare fornito da Stati Uniti, Regno Unito e diversi membri dell’Unione Europea a Israele ha alimentato le tensioni, spingendo gli Houthi a intensificare le loro azioni.
Anche in questo caso i Paesi europei per garantire che il nostro protagonista iniziale, il barile di petrolio, arrivasse a destinazione sano e salvo non hanno pensato di collaborare per porre fine allo sterminio della popolazione palestinese, ma hanno deciso di finanziare un’altra missione di militarizzazione, questa volta del Mar Rosso, la missione Aspides; votata da praticamente l’intero arco parlamentare, la missione militare, volta a contrastare l’attività degli Houti, vede l’Italia in prima linea, insieme ad altri Paesi dell’Unione Europea, per il fatto che circa il 27% del greggio e il 34% del gas naturale liquefatto importati dall’Italia transitano attraverso il Canale di Suez.
La New Pearl con il nostro barile salpa dunque dagli Emirati Arabi Uniti e inizia a circumnavigare l’Africa, percorrendo oltre 6.000 chilometri in più e aumentando i costi totali di circa il 20%, evitando i rischi. La scelta di circumnavigare l’Africa aggiunge due settimane al viaggio, ma per la Thome Ship Management è un rischio calcolato. Quello che i conti della compagnia non registrano, però, è il prezzo pagato altrove. Mentre la New Pearl attracca al terminale off-shore di Falconara, il suo carico, ormai invisibile nei tubi della raffineria, diventa un problema concreto per chi, a pochi metri da lì, guarda al mare non come a una rotta commerciale, ma come a una minaccia costante. Quel barile, partito tra le tensioni del Golfo Persico, finisce la sua corsa in una città che, come Bassora, ne subisce il peso senza averlo mai voluto5.
1https://www.eni.com/it-IT/azioni/attivita-mondo/iraq.html.
2https://www.editorialedomani.it/fatti/gas-flaring-inchiesta-burning-skies-metodologia-r8h8hvij.
3https://www.eni.com/it-IT/sostenibilita/decarbonizzazione/oil-gas.html.
4https://www.editorialedomani.it/ambiente/gas-flaring-iraq-emissioni-record-eni-dice-di-non-esserne-responsabile-inchiesta-burning-skies-ltlfrz93.
5https://www.rivistamissioniconsolata.it/2022/08/16/iraq-i-costi-della-ricchezza/#:~:text=Oggi%20però%20Bassora%20è%20più,Oriente%20dopo%20l%27Arabia%20Saudita










