La guerra, come mezzo per risolvere le contese e i conflitti, perpetua il sistema sacrificale arcaico contro il sistema della riconciliazione che non ha bisogno di vittime. La necessità della riconciliazione nasce dal pianto sulle vittime sacrificate all’idolo della vittoria. Il mito sacrificale arcaico prevedeva, attraverso un rito religioso, il sacrificio di un animale (talvolta di un membro della comunità), colpevole della sventura in cui si era precipitati.
Nella tradizione ebraica, il giorno dello Yom Kippur, giorno dell’espiazione, sul capro espiatorio si addensavano tutte le colpe degli esseri umani, del popolo e dei suoi rappresentanti e, con la sua uccisione, queste colpe venivano rimesse. Il sistema sacrificale è stato ben studiato da René Girard nella sua opera, La violenza e il sacro.
«È meglio che uno solo muoia per il popolo e non perisca la nazione intera» – dichiarò il sommo sacerdote Caifa nel processo a Cesù (Gv 11,50). Con la condanna a morte, la passione e la crocifissione di Gesù, in cui non si trova colpa e contro il quale la violenza non trova ragion d’essere, avviene lo smascheramento del sistema sacrificale: Gesù è vittima innocente.
Per questo il Gesù ucciso dal potere religioso e politico smentisce il rito del sacrificio. I suoi seguaci, del resto, lo proclameranno risorto, sfuggito ai lacci della morte. Il cristianesimo nasce come movimento contestativo della violenza della persona umana perpetrata contro un altro essere umano, e degli imperi contro i popoli.
Ciò che annuncia Gesù è il Regno dei cieli sulla terra, una comunità in cui la violenza è bandita e l’amore vicendevole (agape) regola le relazioni, anche quelle conflittuali: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada» (Mt 26, 52); «Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei inservienti avrebbero combattuto per me, affinché non fossi consegnato ai Giudei. Ora il mio regno non è qui» (Gv 18, 36).
Gesù, dunque, rinnega l’uso della forza violenta sia individuale che degli eserciti delle potenze mondane e propone un suo regno che «non è qui», che non è presente nel suo tempo, nel tempo in cui Pilato è il massimo rappresentante del potere di dominio.
I primi seguaci di Gesù e, nei primi secoli coloro che si convertivano alla via di Gesù di Nazareth, erano tenuti a rifiutare l’uso delle armi e l’esercitare il mestiere di soldati. Gli Atti del martirio di Massimiliano di Tebessa (martirio avvenuto il 12 marzo dell’anno 295 dopo Cristo), ritenuti autentici, ce lo testimoniano. Continuare nello stato militare, ai soldati che si convertivano, era permesso alla condizione di non usare le armi; potevano eseguire solo ruoli di servizio nel genio militare, costruire strade, consegnare la posta, ecc.
La storia delle Chiese cristiane dei secoli successivi, a cominciare dall’editto di Costantino sulla libertà religiosa, segna un abbandono della radicalità evangelica e lo sdoganamento della dottrina della guerra giusta.
Ogni guerra viene giustificata con la presenza di un nemico, reale o presunto, che deve essere annientato per la propria salvezza: un capro espiatorio, appunto. E la vendetta diviene diritto, anche se sul suo altare, si sacrificano le moltitudini innocenti. Ancora oggi, la guerra è una terribile vendetta, che non risolve i problemi, ma li acuisce, degrada gli umani, giustifica i genocidi, la distruzione di città intere e del patrimonio ambientale con il pretesto della sicurezza.
I cristiani, come invoca da tempo papa Francesco, dovrebbero diventare tutti costruttori di pace, partigiani della pace, operare perché la guerra sia resa tabù; promuovere l’utilizzo delle risorse per salvare le vite, non per moltiplicare le morti.
Il teologo luterano Dietrich Bonoeffer, nel suo famoso appello alla conferenza ecumenica di Fano (in Danimarca) nel 1934, dichiarava: «Pace è il contrario di sicurezza. Esigere sicurezze significa essere diffidenti e a sua volta tale diffidenza genera la guerra. Cercare delle sicurezze significa volersi proteggere. Pace significa abbandonarsi completamente al comandamento di Dio, non volere sicurezza, ma, nella fede nell’obbedienza, mettere nelle mani di Dio la storia dei popoli e non volerne disporre egoisticamente. Le battaglie non vengono vinte con le armi, ma con Dio».
E ancora: «Soltanto un grande concilio ecumenico della santa chiesa di Cristo radunata da tutto il mondo può annunciare la parola della pace così che il mondo la senta digrignando i denti e i popoli si allietino, perché questa chiesa di Cristo toglie le armi di mano ai suoi figli in nome di Cristo e proibisce loro la guerra e proclama la pace di Cristo al mondo che delira».
Oggi siamo di nuovo sprofondati nel delirio del riarmo dell’Europa, della preparazione della prossima folle guerra, della prossima “inutile strage”.










