L’Assemblea di Roma Capitale, come il Bel Paese durante la guerra fredda, scopre di avere una “sovranità limitata”?  Così si direbbe, a sentire certe voci provenienti dai corridoi del Campidoglio mentre il 25 luglio ci si appresta a discutere in aula una mozione per il conferimento della cittadinanza onoraria al giornalista australiano Julian Assange, tuttora incarcerato a Londra in attesa di estradizione negli USA.  “Difendere Assange sarebbe sì un atto necessario per difendere la libertà di stampa e del giornalismo investigativo,” si sente vociferare nei corridoi. “solo che abbiamo le mani legate, non possiamo mica votare una mozione se l’America non vuole.”

“L’America non vuole? Ma quale America?!” ha esclamato Patrick Boylan, attivista statunitense italianizzato, presente in questi giorni al Campidoglio insieme al gruppo Free Assange Italia, quando ha sentito l’obiezione.  “Solo una parte degli USA – oggi minoritaria – non vuole. Non la maggioranza. Per esempio, l’America del Presidente Obama e del suo vice Joe Biden era assolutamente contraria all’incriminazione di Assange, proprio per difendere la libertà di stampa.”

“E’ stato poi Donald Trump a volere quell’incriminazione,” ha spiegato Boylan. “Gli serviva un precedente che gli consentisse di incarcerare qualsiasi giornalista che, usando documenti secretati, facesse rivelazioni a lui sgradite.  Un precedente per poter aggirare la celebre sentenza della Corte Suprema (1971), la quale riconosce invece il pieno diritto di un giornalista investigativo a rivelare documenti secretati se è nell’interesse generale.  Infatti, scrisse la Corte, ciò è il cuore stesso del giornalismo investigativo. Quindi, per favore, non confondiamo gli Stati Uniti con una frangia estremista del paese!”

“Certo, oggi Biden ha poco spazio di manovra”, ha concluso Boylan. “Trump non c’è più, ma le potenti forze che lo hanno sostenuto continuano a pesare sulla politica estera e securitaria statunitense.  Ma, proprio per questo, ritengo che la città di Roma farebbe un grande favore a Biden se concedesse la cittadinanza onoraria a Julian Assange, seguendo le orme di tante altre città.  Consentirebbe a Biden di invocare il peso non indifferente dell’opinione pubblica mondiale come giustificazione per ritirare la richiesta di estradare Assange.  Peraltro, è nel suo interesse non dover affrontare un’estradizione e un processo impopolari proprio durante la sua campagna per le elezioni presidenziali del 2024.”

La votazione sulla mozione ex art. 109 di cittadinanza onoraria per Assange dovrebbe avvenire venerdì prossimo nel pomeriggio.  Già ben otto municipi romani hanno votato mozioni favorevoli all’iniziativa, mentre altri cinque devono ancora calendarizzare il loro voto.

La campagna presso i municipi e l’Assemblea Capitolina, intitolata “Cittadinanza onoraria a Julian Assange”, è partita l’11 maggio, presso la Casa della Memoria a Roma.  A sostenerla, oltre al gruppo Free Assange Italia, sono state tra le maggiori associazioni di giornalisti: la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana), l’Ordine dei Giornalisti del Lazio, la Stampa Romana, USIGRai e le associazioni Articolo 21 e ReteNoBavaglio.

Hanno aderito anche l’ANPI provinciale di Roma, La mia voce per Assange, Italiani per Assange, l’UISP, Arci Roma, Acli Roma Lazio, Legambiente Lazio Roma, Cgil Roma e Lazio, Amnesty Italia, Giuristi Democratici e il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale.