Intervistiamo Emanuela Irace, giornalista, membro di una delegazione di osservatori politici alle elezioni turche, bloccata all’aeroporto di Istanbul e dopo 5 ore di fermo rispedita in Italia senza alcun comprensibile motivo. Conduttrice di programmi per Rai Radio Tre relativi al Medio Oriente, columnist della rivista Noi Donne,  attenta osservatrice e autrice di saggi relativi a Maghreb e Medio Oriente, ora, a elezioni ormai concluse e osservate solo a distanza, accetta di darci il suo punto di vista sugli ipotetici motivi della sua espulsione e su quanto potrà accadere in Turchia il 28 maggio e, soprattutto,  dopo il 28 maggio, data del ballottaggio tra Erdogan e il suo avversario.

Emanuela, tu sei stata in Turchia anche durante i fatti di piazza Taqsim, hai pubblicato i tuoi reportage dal Kurdistan turco e non sei mai stata espulsa. Come mai questa volta non ti hanno permesso di fare il tuo lavoro?

E’ stato un fatto del tutto inaspettato anche per me. Non perché io consideri democratica la gestione politica di Erdogan, basta vedere il numero di giornalisti arrestati per togliersi ogni dubbio, ma perché questa volta andavo come semplice osservatrice di una competizione elettorale per la quale avrei soltanto riportato i fatti osservati.

Ma il resto della delegazione mi sembra sia passato senza problemi. Come mai? Pensi che il tuo nome fosse segnalato per precedenti servizi non graditi, o cosa?

Guarda, l’ultima volta che sono andata in Turchia è stato nel 2018. E’ possibile che il mio nome fosse in una lista nera, ma non ne sono convinta. Mi sembra invece più probabile che a bloccarmi sia stato il mio tesserino di giornalista. Gli altri membri della delegazione erano giuristi e sindacalisti, l’unica giornalista ero io e sappiamo che Erdogan non gradisce – per usare un eufemismo – giornalisti potenzialmente scomodi. Non sono turca e non ho commesso reati, quindi non potendo essere arrestata sono stata prima malamente bloccata per 5 ore, privata di documenti e altri oggetti personali, e poi altrettanto malamente espulsa. Sinceramente sono ancora indignata e vorrei che le istituzioni italiane, avvertite e sollecitate, si facessero sentire e non lasciassero passare in silenzio la violazione commessa dalla Turchia contro una cittadina italiana oltre che contro il diritto di informazione.

Capisco la tua indignazione, tanto più che la Turchia, pur non facendo parte dell’UE, è uno dei membri del Consiglio d’Europa il cui statuto  ha per oggetto la promozione della democrazia e dei diritti umani. Ma sapendo come si comportano i nostri governi in casi simili, cioè vergognosamente anche quando a espellere arbitrariamente i cittadini  italiani è Israele, temo che la tua richiesta non avrà un seguito.

Certo, diritti umani e democrazia sono parole tanto ricche di senso quanto prive di compimento e questi ne sono esempi lampanti.

Tornando alla Turchia, ora che le elezioni si sono svolte, puoi dirci se per te i risultati raggiunti erano attesi  o se, in base alla tua analisi, sono stati una sorpresa?

Queste elezioni si prefiguravano come dirompenti e per questo era importante esserci, sentire le opinioni degli elettori, saggiare l’atmosfera, provare a capire perché Erdogan, quasi certamente  nella mia previsione avrebbe vinto anche stavolta nonostante alcuni analisti prevedessero la sua sconfitta. La mia previsione è risultata parzialmente sbagliata, dico parzialmente perché Erdogan non ha raggiunto il 50% solo per lo 0,5 e comunque, visto che in contemporanea  alle presidenziali si tenevano le elezioni parlamentari, la sua coalizione ha ottenuto 324 seggi, conquistando la maggioranza, mentre quella che sostiene Kiliçdaroglu ne ha ottenuti solo 211.  Quindi non ha vinto, ma solo rinviato la vittoria.

Quindi pensi che al ballottaggio che si terrà il 28 maggio ci sarà buona probabilità o addirittura la certezza che Erdogan resti al suo posto? E che conseguenze ci potrebbero essere?

Premetto che una situazione sostanzialmente “fifty-fifty” è di per sé problematica se non pericolosa, e lo sarebbe anche in una democrazia effettiva e non semplicemente nominale come quella turca, perché di fatto il Paese è diviso a metà. Comunque Erdogan aveva già messo le mani avanti dicendo che se la coalizione rivale avesse vinto  (o se vincerà) sarà un colpo di Stato pilotato dall’esterno. Questo dimostra che lui stesso temeva di non farcela, tuttavia le sue parole pagano perché fanno leva sull’opinione pubblica che si sente minacciata. Fanno leva su quel nazionalismo turco, o per meglio dire su un patriottismo che si può intendere nella sua peculiarità, senza identificarlo semplicisticamente col nazionalismo occidentale, solo se si conosce la storia del Paese almeno dalla fine dell’Impero Ottomano, almeno dalla figura straordinaria di Ataturk, il fondatore della Repubblica di Turchia, l’eroe nazionale che alla caduta dell’Impero è riuscito a mantenere  l’integrità territoriale della Turchia.

Non possiamo sottovalutare l’esistenza di tante diverse etnie presenti in questo Paese e il nazionalismo turco, quindi, non può essere compreso guardandolo solo con le nostre lenti occidentali. Le sue componenti patriottiche sono quelle che mantengono il consenso a Erdogan quantomeno da parte dell’elettorato più semplice. Il suo rivale, “il Ghandi turco” come viene chiamato per denotare l’assoluta diversità di convinzioni e comportamenti politici rispetto a Erdogan, seppure non vincerà, ha comunque mostrato di poter vincere perché la distanza è minima e questo denota che cambiamenti significativi in una grande parte di elettori ci sono stati, ma non a livello sufficiente per disarcionare il “sultano”.

Temo che queste due settimane che ci separano dal 28 maggio saranno estremamente tese. Non escludo altre aggressioni contro i sostenitori di Kiliçdaroglu come quelle che hanno preceduto le elezioni di tre giorni fa e sono abbastanza convinta che Erdogan seguiterà a esacerbare gli animi accusando il rivale di complicità terroristiche. Anche per questo credo sia più probabile la sua vittoria che non quella di Kiçdaroglu. Inoltre, se Sinan Oğan, il leader di uno schieramento nazionalista di estrema destra che alle elezioni ha ottenuto circa il 5% darà indicazione di voto a favore di Erdogan, la sua vittoria è già teoricamente sicura.

Escludi che Erdogan, nell’improbabile caso di vittoria di Kiçdaroglu possa accettare pacificamente l’esito elettorale? Pochi giorni fa ha dichiarato che in caso di sconfitta si sarebbe ritirato.

Erdogan è quel che si dice un grande animale politico. Sa che può tenersi stretto il consenso con uscite estemporanee se fiuta il pericolo e quindi avrà pensato che per accattivarsi una fascia di elettori pagava di più la faccia onesta, ma sappiamo com’è andata in passato e quindi è difficile credergli. Inoltre, sapendo quanto paghi la demagogia, ha anche garantito che se sarà lui a vincere aumenterà del 45% gli stipendi dei dipendenti pubblici. Ma come dicevo prima, quello che gioca maggiormente a favore di Erdogan e che pone in secondo piano il regime poliziesco e i conseguenti numerosi arresti di giornalisti e politici, è il suo solleticare l’orgoglio nazionalistico, quello che lo ha tenuto al potere per due decenni. Erdogan ha carezzato le aspirazioni di chi sogna una Turchia non appiattita sulla Nato ma potenza internazionale e indipendente. Sarebbe miope non vedere che è riuscito a rendere il suo Paese protagonista e non gregario, capace di esercitare la sua influenza anche sull’Africa, capace di firmare accordi finanziari e commerciali con i sauditi e gli Emirati Arabi.  Inoltre nell’ultimo decennio Erdogan ha acquisito grande considerazione internazionale. Qualcuno lo definisce un dittatore – e le qualità ce le ha tutte – ma intanto con lui si fanno affari e alleanze. Pensiamo ai legami stretti con l’Iran, alla sua influenza circa alcune scelte della Lega araba, o la sua impunità, direi pari a quella di Israele, nei suoi attacchi alla Siria per circa nove anni.

Pensi che la sua posizione quantomeno ambigua rispetto a Russia e Ucraina possa incidere sulle elezioni e sui rapporti con i Paesi occidentali?

Beh, sai, la Turchia si vanta di sostenere l’Ucraina con i droni killer di altissimo livello tecnologico del valore unitario di 5 milioni di dollari e che sono il fiore all’occhiello della politica militarista di Erdogan. Intanto, tiene il piede in due staffe, facendo il doppio gioco con Putin per quanto riguarda l’aggiramento delle sanzioni, o mantenendo  i cieli e i porti aperti alla Russia. Se questo suo agire ambiguo influisca sulle elezioni non sono in grado di dirlo, però la tua domanda mi fa pensare che nel 2022, quando Putin ha invaso l’Ucraina, tutti i governi occidentali lo hanno condannato e sanzionato. Nel 2014 la Turchia di Erdogan ha invaso il nord della Siria e per 9 anni ha seguitato a bombardarla, ma la Turchia fa parte della Nato dal lontano 1952 e la cosa non ha generato alcun intervento sanzionatorio. Le conclusioni mi sembrano lapalissiane.