1.

Le bare allineate nel palazzetto dello sport di Crotone, dopo tanti naufragi invisibili che nessuno ha raccontato, hanno riacceso lo scontro sulle regole di ingaggio e sulla distribuzione delle responsabilità, nelle attività di soccorso in mare, al centro in passato dei processi nei quali si è tentato invano di criminalizzare l’operato delle Organizzazioni non governative, e di escludere la responsabilità dell’ex ministro dell’interno Matteo Salvini per i divieti di sbarco comminati fin dal suo insediamento al Viminale nei confronti delle navi del soccorso civile ed in due diversi casi, anche nei confronti di navi militari (Diciotti e Gregoretti).

Si è tentato di accreditare l’idea che si trattasse di una materia disciplinata da norme confuse di provenienza internazionale e dunque variamente interpretabili, mentre si sono trascurate circostanze di fatto che in base alla normativa nazionale, internazionale ed eurounitaria avrebbero dovuto implicare una immediata attivazione dei soccorsi, già dopo la prima segnalazione certa, con una posizione precisa proveniente da un assetto aereo di Frontex che aveva avvistato il caicco proveniente dalla Turchia a 40 miglia dalla costa di Crotone, almeno otto ore prima del naufragio.

Secondo gli articoli 10 e 117 della Costituzione, le Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, come le Convenzioni di Diritto marittimo e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati sono vincolanti per le autorità italiane, lo ribadisce la sentenza della Corte di Cassazione n.6626 del 2020 sul caso di Carola Rakete. In base all’ordinamento dell’Unione Europea i Regolamenti europei sono direttamente vincolanti per le autorità italiane e prevalgono pure sulle norme di legge interne, con la possibilità in caso di contrasto, di un intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Il Regolamento Frontex n.656 del 2014 detta regole vincolanti per i casi in cui durante una operazione di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement) si verifica una situazione di pericolo per le persone imbarcate su un mezzo privo di bandiera in navigazione nell’alto mare. Sono regole che fissano le responsabilità delle autorità nazionali dei paesi ospitanti, sia nello svolgimento delle attività di intercettazione e monitoraggio, che nelle operazioni di ricerca e salvataggio. Regole che non possono essere ignorate dagli agenti istituzionali, dai vertici politici, dalla magistratura. Regole sui soccorsi in acque internazionali che in diversi procedimenti contro le ONG sono state chiarite ed hanno imposto l’archiviazione dei procedimenti a loro carico. Regole che nel caso delle navi militari Diciotti e Gregoretti non sono state ritenute rilevanti.

2.

Si è giocato molto sulla confusione tra eventi di immigrazione irregolare ed eventi di soccorso per dare un fondamento al potere del ministro dell’interno di vietare l’ingresso nelle acque territoriali, oppure soltanto il transito e la sosta, come richiama il Decreto legge 130 del 2020 che per il resto ha mantenuto in vigore il Decreto sicurezza bis n.53 del 2019. Al quale adesso si vorrebbe tornare con ulteriori inasprimenti, che codificava i poteri del ministro dell’interno, prima esercitati, a partire dal caso Aquarius nel giugno del 2018 sulla base di mere direttive amministrative. La classificazione degli eventi di soccorso in acque internazionali come eventi di immigrazione irregolare, mantenuta con toni pià sommessi anche dall‘ex ministro Lamorgese dunque affidati di fatto ai poteri di veto del Ministro dell’interno, è stata un passaggio fondamentale per vietare lo sbarco dei naufraghi soccorsi dalle ONG nei porti italiani. Queste prassi si sono così istituzionalizzate sulla rotta libica, a sud di Lampedusa e Malta, anche per ottenere un effetto dissuasivo delle partenze e per facilitare le intercettazioni in acque internazionali da parte delle motovedette libiche.

Sulle rotte in provenienza dalla Turchia, dal Libano e dall’Egitto, sulle quali non operavano le ONG, gli interventi di soccorso operati dalla Guardia costiera in acque internazionali, all’interno della zona SAR riconosciuta all’Italia sono stati numerosi ed hanno permesso di salvare centinaia di vite. Nella maggior parte dei casi, su quelle rotte, sulle quali venivano impegnati pescherecci o imbarcazioni a vela più grandi, si sono qualificati come eventi migratori irregolari anche situazioni che rientravano nella definizione normativa (in base all’art.9 del Regolamento europeo n.656 del 2014) di eventi di soccorso, perché la maggior parte di queste imbarcazioni riusciva comunque a raggiungere in autonomia le coste dell’Italia meridionale, con un numero minimo di vittime dopo lo spiaggiamento. Come probabilmente si è ritenuto anche nel caso della strage di Crotone, che La Stampa ha definito come una strage di Stato, malgrado indici univoci di distress (pericolo immediato di un danno grave alle persone) trasmessi dalla agenzia europea Frontex che dava la posizione esatta del caicco turco a 40 miglia da Crotone già la sera di sabato 25 febbraio attorno alle ore 22.30.

3.

Se si legge il Regolamento europeo n.656 del 2014, vincolante per tutte le autorità italiane, e per i ministri del governo adesso in carica in Italia, i dubbi ventilati da diverse parti, sulla incertezza della normativa applicabile, dubbi diffusi per confondere l’opinione pubblica e nascondere le reali responsabilità si diradano, o si dovrebbero diradare, se solo si avesse la volontà di rispettare il principio di legalità ed il sistema gerarchico delle fonti internazionali e quindi interne, delineato dalla giurisprudenza e ribadito nelle sue decisioni in questa materia dalla Corte di Cassazione ( casi Rackete e Vos Thalassa). La normativa europea che richiama e rende vincolanti le Convenzioni internazionali di diritto del mare, e la normativa interna che ne deriva, fino al Piano SAR nazionale del 2020, permettono di individuare chiaramente le fasi nelle quali gli eventi di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement) si trasformano in eventi di ricerca e soccorso (SAR) e mettono in evidenza la catena di comando che ne gestisce l’attuazione.

Secondo l’art.7 del Regolamento Frontex (Guardia di frontiera e costiera europea) n.1896, che richiama per intero il precedente Regolamento n.656 del 2014 “La guardia di frontiera e costiera europea attua la gestione europea integrata delle frontiere come responsabilità condivisa tra l’Agenzia e le autorità nazionali preposte alla gestione delle frontiere, comprese le guardie costiere nella misura in cui svolgono operazioni di sorveglianza delle frontiere marittime e qualsiasi altro compito di controllo di frontiera. Gli Stati membri mantengono la responsabilità primaria della gestione delle loro sezioni di frontiera esterna.

Secondo l’art. 5 ( Localizzazione) del Regolamento Frontex n.656 del 2014 ” Una volta localizzato, le unità partecipanti avvicinano il natante sospettato di trasportare persone che eludono o hanno l’intenzione di eludere le verifiche ai valichi di frontiera o di essere utilizzato per il traffico di migranti via mare per gli accertamenti di identità e nazionalità e, in attesa di altre misure, sorvegliano tale natante a prudente distanza prendendo tutte le dovute precauzioni. Le unità partecipanti raccolgono e comunicano immediatamente le informazioni su tale natante al centro internazionale di coordinamento, comprese, se possibile, quelle sulla situazione delle persone a bordo, in particolare se sussiste un rischio imminente per la loro vita o se vi sono persone che necessitano di assistenza medica urgente. Il centro internazionale di coordinamento trasmette tali informazioni al centro nazionale di coordinamento dello Stato membro ospitante”.

Secondo l’art.9 del Regolamento UE n.656 del 2014, che disciplina le situazioni di ricerca e soccorso “Gli Stati membri osservano l’obbligo di prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare e durante un’operazione marittima assicurano che le rispettive unità partecipanti si attengano a tale obbligo, conformemente al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova”.

In alto mare quindi non esistono clandestini, ma se ricorrono, o possono ricorrere, situazioni di distress, ovunque si trovino, dentro o fuori le acque territoriali, si tratta soltanto di persone da soccorrere, di potenziali naufraghi ai quali assicurare il salvataggio della vita, la tutela della salute, e lo sbarco in un porto sicuro.

 

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