Per capire l’arrivo al potere della destra postfascista bisogna anzitutto ricordare che in realtà hanno avuto meno voti di tutti gli altri partiti, cioè in totale nemmeno 12 milioni di voti al Senato e 12 milioni e trecentomila alla Camera dei Deputati, mentre gli astenuti hanno superato i 16 milioni e 600mila. Gli altri partiti (coalizione PD, M5S, lista Calenda-Renzi e ancora i voti nulli e i bianchi e le altre liste hanno ottenuto più di 15 milioni voti).

Abbiamo quindi un governo che si basa solo su neanche il 27% degli aventi diritto al voto. Si noti inoltre che in media ogni deputato della coalizione di destra è stato eletto con meno di 52.000 voti, quello della coalizione PD con 87.350, quello del M5S con 83.350, quello della lista Calenda-Renzi con 104.000 voti. È il risultato di un sistema elettorale assurdo e suicida (per chi non costituiva la coalizione più forte), ma voluto da un’ex sinistra che aveva la pretesa di raggiungere la maggioranza quando per molto tempo ha sostenuto solo proposte economiche e sociali di destra e politiche interne e internazionali simili a quelle di Biden e Macron (il signor Letta si è rivelato un politico piuttosto mediocre). Così le destre hanno potuto approfittarne per conquistare la maggioranza degli eletti in un Parlamento dove non c’è niente di simile alla coalizione delle sinistre e degli ecologisti in Francia (NUPES) e dove solo il M5S ora sembra assumere una posizione di sinistra ed ecologista. Ed è importante ricordare che questo successo delle destre è la conseguenza del trionfo della “post-politica” senza ideologie e dell’anomia liberista, con la diffusione delle economie sommerse che hanno raggiunto oltre il 32% del PIL; circa dieci milioni di elettori che beneficiano di evasione fiscale, lavoro nero, illegalità tollerate da tutti i governi, in particolare di destra, ma anche di centro-sinistra. Questo elettorato sarà senza dubbio molto contento della vittoria delle destre, che hanno sempre protetto e beneficiato delle economie sommerse.

Per riuscire a insediare il suo governo, la signora Meloni ha trascorso un mese di iperattività su due fronti: da un lato ha dovuto respingere le pretese dei suoi alleati (la Lega di Salvini e il partito di Berlusconi) che volevano i ministeri più importanti; dall’altro ha dovuto costruire rapidamente una sua immagine di leader moderata, rispettosa dell’Unione Europea e dell’atlantismo zelante. Ogni giorno ha fatto commenti molto rassicuranti per la Commissione Europea, per la NATO e anche per alcuni valori antifascisti (nell’anniversario della retata fascista e nazista del 16 ottobre 1943 a Roma e della deportazione di 1.259 ebrei, di cui 207 bambini, ha dichiarato: “Un orrore che deve essere di monito affinché queste tragedie non si ripetano più… era una pagina nera…”.

Insomma, meglio di Madame Le Pen in Francia, Madame Meloni si è prodigata per accreditarsi come una leader assolutamente accettabile agli occhi di tutte le potenze dominanti europee e atlantiche e anche agli occhi del Presidente della Repubblica, al quale ha presentato la sua lista dei ministri prima di renderla pubblica.

Non sorprende quindi che gli alti rappresentanti dell’Unione Europea e degli Stati Uniti abbiano immediatamente comunicato le loro congratulazioni al nuovo Presidente del Consiglio italiano. Vuole essere chiamata al maschile; prima donna capo di governo in Italia, si è imposta nel suo partito e nella coalizione delle destre, cioè su un universo di uomini quasi tutti molto maschilisti, facendo la “macho” e dando prova di talento e tenacia.

Tuttavia l’elenco dei ministri di questo nuovo governo non è per nulla di alto profilo. Per governare, Giorgia Meloni ha scelto gli uomini e le donne a lei più fedeli e gli eletti del partito di Salvini e del partito di Berlusconi accreditati come europeisti e filo-atlantisti. Ha dovuto concedere ai suoi alleati la nomina di due vicepresidenti del governo, Salvini e Tajani (nominato anche Ministro degli Esteri). A questi si aggiungono un presidente del Senato, La Russa, noto per il suo passato di leader fascista fra i più accaniti e un presidente della Camera dei Deputati noto per il suo fondamentalismo cattolico.

I ministeri di questo nuovo governo sono stati rinominati integrando parole che vogliono marcare il passaggio alla destra sovranista e la sua propensione al fondamentalismo cattolico. Così abbiamo il Ministero della “Famiglia, Natalità e Pari Opportunità”, affidato a un’attivista antiabortista, il Ministero dell'”Agricoltura e Sovranità Alimentare”, il Ministero della Giustizia affidato a un magistrato in pensione noto per il suo orientamento iper-repressivo nei confronti degli emarginati e per una debole penalizzazione dei reati dei ricchi. Il Ministero dell’Interno sarà nelle mani di un prefetto di polizia noto per essere stato capo di gabinetto di Salvini quando questi era Ministro dell’Interno e uomo dell’ex capo della polizia De Gennaro, il responsabile di torture e brutalità durante il G8 di Genova del 2001, nonché stenuo difensore dei dirigenti di polizia condannati per questi fatti anche dalla Corte di Cassazione e dalla Corte di Giustizia Europea. Tra i nuovi ministri meno credibili e più imbarazzanti (per usare un eufemismo) c’è la signora Santanché, imprenditrice del settore turistico, quindi già in palese conflitto di interessi e nota per la sua difesa dei particolarismi di questo settore e per i suoi scoop d’estrema destra.

Il primo timore della signora Meloni riguarda la stabilità della sua coalizione, perché è ovvio che la Lega di Salvini e il partito di Berlusconi non hanno ottenuto ciò che volevano e cercano disperatamente di non essere erosi, se non cancellati da Fratelli d’Italia. Ma il secondo e ancora più importante timore riguarda la capacità di questo governo di affrontare le questioni economiche, visto l’altissimo debito dell’Italia, il tasso di inflazione prossimo al 9%, una stima di crescita quasi negativa, la probabile proliferazione di scioperi, conflitti sociali e proteste per la difesa dei diritti civili e dei diritti fondamentali seriamente minacciati dall’orientamento della destra al potere.

Giorgia Meloni cercherà una continuità con la gestione del suo predecessore Draghi, nonostante la sua promessa di rinegoziare la spesa pubblica e il debito del Paese. È probabile che questo nuovo governo starà al fianco di Macron e Biden, ma reggerà? Molti commentatori ne dubitano, perché tutti i ministri non sono per nulla esperti in questo ruolo e la signora Meloni dovrebbe fare il miracolo di apprendere velocemente il know-how della governance senza poter contare su un solido sostegno dei poteri istituzionali e anche della sua stessa coalizione.

Pubblicato in francese qui: https://blogs.mediapart.fr/salvatore-palidda/blog/231022/italie-le-gouvernement-aux-droites-dites-postfascistes-merci-l-ex-gauche