L’agenzia Dire era presente e ha potuto documentare l’accaduto, tra cui il fatto che, sollecitati dai rappresentanti del Parlamento UE, i soldati hanno rifiutato di dare i propri nomi.

Per cinque volte hanno tentato di essere accolti in Polonia, ma sono stati respinti verso la Bielorussia dai militari che Varsavia ha schierato al confine.

Così hanno riferito Ali, Haddan e Nidal, tre profughi siriani in fuga dalla guerra, ai volontari della ong Grupa Granica che, oltre ad aver fornito loro cibo e indumenti, mercoledì scorso, intorno alle 22 e con una temperatura di zero gradi, hanno organizzato un intervento nei boschi nord-orientali di Szudzialow: in presenza di alcuni europarlamentari (Janina Ochojska dei Popolari europei, Róza Thun, di Renew Europe, e Lukasz Kochut, dei Socialisti&democratici) e di giornalisti internazionali, hanno chiamato la polizia di frontiera segnalando la presenza dei migranti.

L’agenzia Dire era presente e ha potuto documentare l’accaduto, tra cui il fatto che, sollecitati dai rappresentanti del Parlamento Ue, i soldati hanno rifiutato di dare i propri nomi.

Arrivati sul posto – una strada che taglia un bosco già innevato – Marysia Zlonkiewicz, la volontaria di Grupa Granica, ha spiegato ai media che se le forze di sicurezza vengono allertate della presenza di stranieri illegalmente presenti sul territorio polacco, questi possono presentare richiesta d’asilo sul momento.

Secondo l’ong, che da agosto ha raccolto dai profughi molte denunce di respingimenti verso il lato bielorusso da parte degli agenti polacchi, è stato importante garantire la presenza di testimoni. Il governo di Varsavia da settembre nega l’accesso ai civili – compresi giornalisti e osservatori internazionali – a partire da tre chilometri dal confine e quindi verificare la veridicità delle denunce è difficile. Ali, Hassan e Nidal hanno tuttavia presentato ricorso contro i respingimenti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha emesso una sentenza che obbliga le autorità polacche ad accogliere le loro richieste d’asilo. I loro documenti, assicura Zlonkiewicz, erano inoltre già stati inviati per email alle guardie di frontiera locali alcune ore prima.

In attesa dell’arrivo dei militari, i tre siriani ci hanno raccontato la loro storia: provengono da città diverse della Siria, dove “c’è la guerra” dice Ali, l’unico del gruppo a parlare. “La gente viene tuttora rapita o uccisa. Siamo dovuti fuggire”. Ali era un insegnante, Hassan un giudice e Nidal impiegato. Hassan ha un bambino di cinque anni e sua moglie è incinta. “Siamo gente pacifica e non vogliamo problemi” continua Ali. “Vogliamo vivere in Polonia, lavorare, avere una vita normale”. Ali conferma quanto raccontato da vari profughi partiti dal Medio Oriente in questi mesi: “Io ho raggiunto Minsk in aereo, dopo aver ottenuto il visto. In Siria circolava la notizia che la Polonia ci avrebbe accolto, molti dicevano di averlo letto anche su alcuni media. Non mi sarei mai aspettato di trovare questa situazione”.

Ali spiega che il 12 novembre è stato portato al confine con la Polonia dai militari di Minsk. Qui è iniziata l’odissea: “Cinque volte abbiamo tentato di entrare in Polonia ma ci hanno respinto, mentre l’esercito bielorusso ci impediva di tornare indietro, anche solo per prendere cibo o acqua. Ci hanno tolto tutti i soldi e gli smartphone. Abbiamo dormito nei boschi per oltre 20 giorni, credo… Abbiamo perso la cognizione del tempo. Siamo fortunati a essere vivi”.

Alla fine, qualche giorno fa, i militari bielorussi avrebbero tagliato la recinzione sormontata da filo spinato che separa i due Paesi, permettendo ai tre di entrare in Polonia. Da allora i migranti hanno vissuto nascosti tra i boschi. “Temevamo di essere trovati dai militari polacchi ed essere rimandati indietro” dice Ali. “È grazie ai volontari se siamo ancora vivi, ci hanno portato del cibo. Aiutateci: non vogliamo più essere respinti, la gente sta morendo congelata”.

È mercoledì sera. Dopo mezz’ora dalla chiamata arrivano i militari a bordo di una camionetta e i migranti mostrano cartelli con su scritto “asilo“. I militari chiedono i documenti ed esaminano i passaporti. Poi chiedono ai profughi di salire a bordo. Grupa Granica e gli eurodeputati chiedono più volte ai militari di identificarsi ma questi si rifiutano. Ochojiska si presenta e chiarisce di essere un’europarlamentare e sostiene che, stando alla legge, i militari sono obbligati a dare le proprie generalità. Il militare risponde che gli eurodeputati non hanno diritto di identificarli e suggerisce di discutere di questo col loro portavoce. Il gruppo di parlamentari e giornalisti incalza i militari, chiede dove saranno portati i migranti e come possono essere certi che non li respingeranno verso la Bielorussia. Il militare assicura che verranno portati nella centrale di polizia più vicina per iniziare l’iter legale dell’asilo.

Nel frattempo arriva un altro blindato sull’altro lato della strada, a fari accesi. La camionetta infine parte portando via i tre, mentre i giornalisti continuano a chiedere ai militari di identificarsi – molti trasmettono la scena in diretta Facebook o Instagram – e avvertimenti dei soldati che intimano di non ostacolare il loro lavoro o c’è il rischio “di essere perseguiti per vie legali”. I volontari di Grupa Granica assicurano intanto che continueranno a monitorare il caso.

Il giorno successivo, nella giornata di ieri, la Guardia di frontiera ha pubblicato sul suo profilo quattro tweet in merito all’accaduto. Nei messaggi si sostiene che i migranti non fossero in possesso dei documenti. Secondo i volontari di Grupa Granica, però, solo depositando il passaporto all’organo competente si può ottenere la Dichiarazione temporanea di identità dell’immigrato, “indispensabile secondo la legge per avviare la richiesta d’asilo”.

L’agenzia Dire ha intervistato la portavoce della polizia di frontiera Anna Michalska, nel quartier generale a Varsavia, che ha dichiarato: “Siamo stati informati dopo dei dati dei tre profughi. Dispiace vedere scene in cui europarlamentari e giornalisti spingono smartphone e telecamere quasi sul volto dei militari”. Sul fatto che i militari non abbiano fornito i loro nomi, Michalska ha detto: “Dobbiamo tutelarli e per legge sono autorizzati a presentarsi solo con le persone con cui hanno direttamente a che fare. In quel caso erano i migranti, non i giornalisti”.

Alla richiesta di rettificare il tweet sulla questione dei documenti in osservanza del diritto dei cittadini ad essere correttamente informati, dalla portavoce non è arrivata risposta.

Michalska ha però assicurato che la procedura “sarà avviata”. “La presenza dei militari al confine è necessaria a rispondere ad una minaccia” ha aggiunto la portavoce. “Il presidente della Bielorussia, Aleksandr Lukashenko, strumentalizza i migranti per destabilizzare la situazione al confine con la Polonia e l’UE. Ad agosto abbiamo iniziato a registrare quasi 700 tentativi di ingresso irregolare al giorno”.

Michalska ha riferito che ci sono circa 14.500 uomini dispiegati che “forniscono ai migranti tutto l’aiuto necessario, non usano violenza e gli permettono di presentare richiesta d’asilo”.

 

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