Il machi[1*] Celestino, leader spirituale mapuche noto per il suo sciopero della fame di 107 giorni, formula richieste molto chiare che riguardano la violazione dei diritti non soltanto suoi, come autorità spirituale, ma di tutti i machi e le machi, di tutte le persone indigene, e in effetti di tutti gli esseri umani, poiché la libertà di religione è un diritto umano.

Anche prima del processo e della condanna per il duplice omicidio Luchsinger-Mckay (caso importante: è l’unica azione violenta mai attribuita a persone/comunità mapuche), l’attività del machi Celestino dev’esser riuscita particolarmente invisa alle autorità cilene, prova ne sia la sproporzione tra la pena inflittagli (18 anni di reclusione) e l’effettiva entità del reato ascrittogli: la semplice presenza sul posto, addirittura nelle vicinanze e non dentro l’abitazione incendiata o nel cortile. Tutte le sentenze riconoscono esplicitamente che il machi non è mandante morale né esecutore materiale dell’incendio e dei conseguenti omicidi. Considerando anche la labilità del materiale probatorio e delle testimonianze (alcune francamente ridicole, e l’unica determinante ritrattata dal testimone, che ha denunciato d’aver subìto minacce e maltrattamenti dalla Policía de investigaciones), tutto ciò sembra un tentativo di criminalizzazione giudiziaria di stato per impedirgli di proseguire la sua attività come machi e di renderlo ricattabile attraverso la separazione dalla sua famiglia, per ridurlo al silenzio. Acquista corpo l’ipotesi di un’azione paramilitare mirante a creare, com’è effettivamente accaduto, un pesante clima di criminalizzazione delle rivendicazioni mapuche e dei/delle mapuche stessi/e come popolo.

Altra circostanza sospetta: il padre del machi, Segundo Córdova Nahuelpán, stimato asesor intercultural regionale dell’Araucanía e professore di lingua mapudungun all’Universidad Católica di Temuco, è stato ucciso nel 2012 da un “pirata della strada” rimasto ignoto e impunito. È frequentissima in Cile (come nel resto dell’America latina e non solo) la persecuzione di intere famiglie e comunità indigene particolarmente attive nella rivendicazione dei diritti.

Conosciamo la definizione ONU di human rights defender (HRD) e l’approviamo, specie in merito al requisito di riferirsi all’universalità dei diritti umani.

Riteniamo che i/le leader spirituali del popolo mapuche (e d’altri popoli originari dell’America e altri continenti), in questo particolare momento storico, si trovino ad essere anche, e intrinsecamente, HRD: in quanto custodi della memoria storica e mitica, della lingua, dell’arte, della cosmovisión, del sentire più intimo, in una parola: della cultura mapuche, parte del patrimonio culturale immateriale dell’umanità; e in quanto difensori della terra, nel suo triplice valore di ecosistema unico da preservare (e i diritti culturali tornano in gioco con la medicina tradizionale basata su specie vegetali autoctone), fonte importante di sostentamento per le comunità mapuche che vivono “al campo” (è riconosciuta una presenza massiccia di mapuche anche in tutti i centri urbani del paese) e base territoriale dell’esercizio del diritto all’autodeterminazione (benché la rivendicazione dei territori ancestrali non abbia mai presentato finora elementi separatisti) – per non parlare di quelle figure, ormai numerose e spesso per questo perseguitate, che si sono impegnate e s’impegnano nella difesa dei luoghi sacri naturali.

Bene hanno compreso questo ruolo fondamentale i governi cileni, che da almeno 7-8 anni hanno dato un giro di vite qualitativo alla repressione, cominciando a perseguitare sul piano giudiziario e mediatico, con accanimento degno d’una nuova caccia alle streghe, proprio i/le machi.

Nostro interesse è la difesa dei diritti umani, cioè di tutti gli esseri umani e in questo senso i “diritti indigeni” (terra, cultura, autodeterminazione, ambiente) sono naturalmente diritti appartenenti a tutti gli esseri umani: ma sono le violazioni di tali diritti inflitte ai popoli indigeni ad essere speciali, specialmente discriminatorie, specialmente dannose, e dunque meritevoli di speciale attenzione.

Il punto che vogliamo evidenziare nell’appello è l’allarme di fronte a un grave pericolo che sta emergendo: il tentativo, da parte del potere giudiziario cileno, di svuotare d’ogni significato la Convenzione 169, che obbliga gli stati alla consulta previa, libera e informata delle comunità, creando un precedente giurisprudenziale gravissimo. La Corte suprema cilena con la sentenza del caso del Machi Celestino ha in pratica affermato che i trattamenti “speciali” che la Convenzione raccomanda per le persone indigene sono una sorta di “discriminazione contro i bianchi”. Che tale punto sia fondamentale lo prova la recente vergognosa proposta del governo Piñera di uscire dalla Convenzione 169 [2*] fatto inaudito che costituirebbe l’anticamera d’una crisi dei diritti umani (che in realtà è già in atto, ma non dobbiamo certo spiegarvi gli effetti giuridici e materiali, a livello nazionale, regionale e internazionale, d’un simile gesto). –

EcoMapuche

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7 novembre 2021

All’opinione pubblica nazionale e internazionale

A tutto il nostro popolo-nazione mapuche

A tutto il popolo non mapuche che resiste e lotta

Innanzitutto, il nostro più saldo sostegno e la nostra solidarietà a tutta la famiglia del weche wentru [1] assassinato, e insieme all’intero territorio della frangia lafkenche [2] che nella lotta ha conservato la propria dignità.

Oggi lo Stato cileno assassino torna a macchiarsi le mani di sangue mapuche, con l’omicidio del peñi/lamngen [3] Jordán Llempi Machacán. Una simile vigliaccheria, commessa proprio nel cortile dell’abitazione della famiglia Llempi Machacán, non può che esser opera di un’istituzione statale al servizio dei grandi interessi economici di questo paese, e che non può passar sotto silenzio.

La militarizzazione del nostro territorio è una risposta arrogante e poco incline al dialogo da parte di questo governo incapace che, lungi dal voler trovare una soluzione al conflitto storico fra lo Stato cileno e il nostro popolo-nazione mapuche, anzi getta legna sul fuoco – tanto più quando si pretende di ricorrere ai paramilitari nella zona, nel più schietto stile centroamericano.

Questo attacco violento proveniente dalle viscere della Moneda vorrebbe essere una risposta al settore industriale che vede i propri interessi economici minacciati dall’avanzata della nostra lotta su diversi fronti. Dinanzi alla disperazione del governo dobbiamo dunque esser cauti e non cadere in provocazioni o ideologie esterne che nulla hanno a che vedere con il nostro modo di organizzarci e di far politica mapuche. Ora più che mai si deve prestare ascolto alla nostra spiritualità mapuche e andare avanti attenendoci ai suoi criteri rigorosi e profondi: l’unica guida che ci condurrà a un successo futuro.

La repressione da parte dello Stato cileno si fa sentire ovunque, compresi i vari centri penitenziari, a regime di chiusura o semilibertà, come dimostrano i recenti episodi di persecuzione e repressione nei confronti dei prigionieri politici mapuche presso il carcere di Temuco. Anche la detenzione politica è spazio di resistenza e di lotta: è dunque necessario organizzarci per creare un coordinamento nazionale capillare per affrontare la situazione carceraria dei popoli originari, in ogni tipo di struttura penitenziaria, dai centri di massima sicurezza ai diversi CET [4].

Bisogna poi far notare che nel carcere di Angol è in atto un nuovo sciopero della fame: un gruppo di peñi/lamngen ha chiesto il rispetto dell’accordo relativo alla creazione di un modulo mapuche all’interno della struttura. A questo governo uscente dobbiamo ricordare che l’accordo è in vigore e che occorre tener fede agli impegni strappati coi 107 giorni di sciopero della fame del nostro machi Celestino Córdova.

Alla luce di tutto ciò, facciamo ampio appello a tutto il nostro popolo-nazione mapuche a non abbassare la guardia, ad usar prudenza nelle decisioni, approfondire il dialogo fra di noi e rafforzarci grazie al nostro esercizio spirituale profondo, con autentico convincimento e dedizione, serbando viva la memoria e facendone spinta all’azione, sulle orme dei nostri antenati dei tempi dei weichan [5].

Chiamiamo all’azione a partire dalla necessaria unità di tutti i territori, a prepararci e fortificarci per i tempi difficili preannunciati dal mondo spirituale mapuche e che hanno a che fare con la morte, un massacro che ci coinvolgerà come popolo – poiché questo governo ha ben dimostrato la sua ferma intenzione di non finire il proprio mandato tranquillamente bensì provocando più danni possibili.

Libertà per tutti i prigionieri e le prigioniere politici mapuche!!

Machi Celestino Córdoba e suoi familiari e amici/amiche

Comunità che sostengono il machi Celestino

Rete di sostegno

7 novembre 2021

[introduzione, traduzione e note esplicative a cura di EcoMapuche, ecomapuche@gmail.com]

Note

[1*] Il termine machi designa una autorità spirituale nelle comunità mapuche. Per approfondire l’attuale caccia alle streghe in Cile consigliamo: Andrés Cuyul, “La Machi esterilizada o la nueva caza de brujas en el territorio mapuche”, El Ciudadano, 13 febbraio 2013, www.elciudadano.cl/2013/02/13/63513/la-Machi-esterilizada-o-la-nueva-caza-de-brujas-en-el-territorio-mapuche/

[2*] v. ad es. la rassegna stampa del Business and Human Rights Resource Centre, “Chile: Preocupación de sociedad civil por eventual retiro del gobierno del Convenio 169 de la OIT que obliga a la consulta previa, libre e informada”, www.business-humanrights.org/es/chile-preocupaci%C3%B3n-de-sociedad-civil-por-eventual-retiro-del-gobierno-del-convenio-169-de-la-oit-que-obliga-a-la-consulta-previa-libre-e-informada-en-proyectos-que-les-afecten; Carla Marín e Matías Rivas A., “Chile podría ser el primer país en renunciar al acuerdo que protege a los pueblos originarios. Indígenas e intelectuales denuncian campaña para que Chile abandone durante mandato de Piñera el Convenio 169 de la OIT”, El Mostrador, 22 marzo 2018, www.elmostrador.cl/noticias/pais/2018/03/22/indigenas-e-intelectuales-denuncian-campana-para-que-chile-abandone-durante-mandato-de-pinera-el-convenio-169-de-la-oit/

1. In lingua mapudungun, weche “giovane”, wentru “uomo, sposo”: in questo caso Jordán aveva appena 23 anni, le forze militari e di polizia cilene non esitano a sparare a persone ben più giovani.

2. Lett. “popolo/gente (che) del mare (lafkén)”, popolazione mapuche residente in zone costiere come la Isla Mocha, isoletta dell’Oceano Pacifico, oggi riserva naturale nazionale, situata ad ovest della costa della provincia di Arauco, nella regione del Biobío; nella cosmovisión mapuche le anime dei morti si dirigono verso ovest per visitarla.

3. “Fratello”: in lingua mapudungun si usa peñi se detto da un uomo in riferimento a un uomo, lamngen o a volte lamién se detto da una donna in riferimento a uomo; lamngen “sorella” in riferimento a una donna, chiunque sia il/la parlante.

4. Centros de Educación y Trabajo (Centri di formazione e lavoro): gestiti dalla Gendarmería de Chile, l’organo penitenziario facente capo al Ministerio de Justicia y Derechos Humanos (Ministero della giustizia e dei diritti umani), sono stati istituiti nel 1981 con l’obiettivo del reinserimento sociale delle persone detenute (ma neppure un decimo vi accede) e offrono istruzione, formazione professionale e lavoro; sono di tre tipi: “chiusi”, cioè zone separate all’interno d’una struttura penitenziaria, “semiaperti”, strutture autonome con norme di sicurezza e vigilanza proprie, e “aperti”, che fanno capo a un Centro de Reinserción Social (Centro di reinserimento sociale, CRS) rivolto alle persone condannate a pene alternative; v. Víctor Rivera, “Un 7% de los reos está en centros de educación y trabajo de Gendarmería”, La Tercera, 2 febbraio 2016, www.latercera.com/noticia/un-7-de-los-reos-esta-en-centros-de-educacion-y-trabajo-de-gendarmeria/

5. “Guerrieri”.