Qualche giorno fa l’Avvocato Sandri in una intervista aveva dato notizia di un ricorso intentato dallo stesso Sandri, a difesa di una Operatrice Socio Sanitaria (OSS). Ricorso che si è dibattuto presso il Tribunale di Milano e che stabilisce come illegittima la sospensione non retribuita per inadempimento all’obbligo vaccinale.

Si attendeva la lettura della sentenza del Giudice che finalmente oggi è stata resa pubblica e che qui  sotto riportiamo in forma integrale.

In definitiva pur non reintegrando in servizio l’operatrice sanitaria “Accoglie, per quanto di ragione, il ricorso proposto dalla ricorrente (omissis) e, per l’effetto, accertata e dichiarata l’illegittimità del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita del 9/2/2021, condanna Cooperativa (omissis) al pagamento, in favore della ricorrente, delle retribuzioni maturate dalla data di sospensione alla data di effettiva riammissione in servizio o di legittima sospensione della prestazione lavorativa, con interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo”

In merito all’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari di fatto si conferma un giudizio di merito in netta controtendenza rispetto alle precedenti sentenze in materia, stabilendo dei principi di diritto che potranno essere ripresi in successivi ricorsi in ambito di lavoro e obbligo vaccinale.

La sentenza come sottolineato in precedenza viene emessa dal più autorevole Tribunale italiano.

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TRIBUNALE DI MILANO, SEZ. LAVORO – 15 settembre 2021, n. 2316

 

Milano: TRIBUNALE DI MILANO, SEZ. LAVORO – 15 settembre 2021, n. 2316 Pubblichiamo la Sentenza n. 2135/2021 del Tribunale del lavoro di Milano che ha definito illegittima la sospensione dal lavoro da parte del datore di lavoro in forza dell’art. 2087 c.c.

“Il Giudice di Milano Dr. Antonio Lombardi quale giudice del lavoro ha pronunciato la seguente
Sentenza nella causa promossa da …, con l’Avv.to SANDRI MAURO, elettivamente domiciliata in Via Benedetto Marcello n. 48 20124 Milano Italia;

Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro, Diritto sanitario, Sicurezza sul lavoro Numero: 2316 | Data di udienza:

Provvedimento: SENTENZA

Sezione: Sez. Lavoro

Regione: Lombardia Città: Milano

Data di pubblicazione: 15 Settembre 2021 Numero: 2316

Presidente: Lombardi Estensore:

Premassima

SICUREZZA SUL LAVORO – COVID 19 – Inadempimento all’obbligo vaccinale – Assegnazione a mansioni diverse – Impossibilità – Impiego alternativo del lavoratore – Demansionamento – DIRITTO DEL LAVORO – Sospensione del lavoratore senza retribuzione extrema ratio – Obbligo di ricollocamento (c.d. repêchage) DIRITTO SANITARIO – Tutela della salute da SARS-CoV-2 – Corretto iter procedimentale di accertamento – Fattispecie – D.l. 1/4/2021, n. 44, conv. con mod. in legge 28/05/2021, n. 76.

Massima

TRIBUNALE DI MILANO, SEZ. LAVORO – 15 settembre 2021, n. 2316

SICUREZZA SUL LAVORO – COVID 19 – Inadempimento all’obbligo vaccinale – Assegnazione a mansioni diverse – Impossibilità – Impiego alternativo del lavoratore – Demansionamento – DIRITTO DEL LAVORO – Sospensione del lavoratore senza retribuzione extrema ratio – Obbligo di ricollocamento (cd repêchage) – DIRITTO SANITARIO – Tutela della salute da SARS-CoV-2 – Corretto iter procedimentale di accertamento – Fattispecie – D.l. 1/4/2021, n. 44, conv. con mod. in legge 28/05/2021, n. 76.

In tema di tutela della salute da COVID 19, una volta esperito correttamente l’iter procedimentale di accertamento, disciplinato dall’art. 4 e ss. L. n.26/2021, da parte dell’ATS viene trasmessa la comunicazione dell’esito. L’inadempimento all’obbligo vaccinale, impone al datore di lavoro di adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Sicché, la sospensione del lavoratore senza retribuzione è l’extrema ratio, in quanto vi è un preciso onere del datore di lavoro di verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Solo quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato. Nella fattispecie, non risulta operata la successiva valutazione, da parte del datore di lavoro, di un impiego alternativo del lavoratore, non implicante rischi di diffusione del contagio. Ne consegue, pertanto, anche sotto tale ulteriore profilo, l’illegittimità del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuito, con limitazione alla sospensione della retribuzione che, conseguentemente, il datore di lavoro sarà tenuto a corrispondere dalla data di sospensione sino all’effettiva riammissione in servizio o all’adozione di provvedimento legittimo di sospensione della prestazione lavorativa, all’esito dell’esperimento della procedura di legge.

Giud. Lombardi

TRIBUNALE DI MILANO, SEZ. LAVORO – 15/09/2021, n. 2316

SENTENZA RG. 2316/2021

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
SEZIONE LAVORO

Il Giudice di Milano
Dr. Antonio Lombardi quale giudice del lavoro ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa promossa da xxx, con l’Avv.to S. M., elettivamente domiciliata in xx 20124 Milano Italia;

– ricorrente –

CONTRO

COOPERATIVA , con xxx l’Av.vto xxx è con l’Avv.to xxx, elettivamente domiciliata in

– resistente –

OGGETTO: Ricorso avverso provvedimento di messa in aspettativa senza retribuzione. All’udienza di discussione i procuratori delle parti concludevano come in atti

FATTO E DIRITTO

Con ricorso al Tribunale di Milano, quale Giudice del Lavoro, depositato in data xxx la ricorrente conveniva in giudizio la Cooperativa xxx, premettendo di essere dipendente della convenuta dal giorno 01/10/2012, con contratto di livello C1 del CCNL delle Cooperative Sociali, in qualità di ASA presso la RSA xxx, di aver ricevuto notifica, in data 9/2/2021, di un provvedimento di messa in aspettativa dal 9/2 al 30/4/2021, sulla scorta dell’asserita “violazione della migliore tutela dei collaboratori, degli ospiti e di tutti gli utenti” riconnessa alla omessa inoculazione del vaccino Anticovid-19.

Censurava la legittimità del provvedimento datoriale sorto plurimi motivi, eccependo, in particolare:
a) la violazione dei protocolli in materia di lavoro, ed in particolare del protocollo 24 aprile 2020;
b) la violazione della procedura pubblica di somministrazione del vaccino prevista dal decreto Min. Sal. 2 gennaio 2021;
c) la violazione delle norme relative all’obbligo di ricollocamento di soggetto inidoneo alla mansione;
d) la violazione della 145 del 28 marzo 2001;
e) l’inapplicabilità degli art. 2087 cc. e dell’art. 279 d.lgs. n. 81/2008, per violazione dell’art. 32 Cost. e della Risoluzione n. 2361/2021 del Consiglio d’Europa;
f) l’insussistenza nel merito della possibile violazione del principio di precauzione per assenza dei requisii di necessità e proporzionalità.

Tanto dedotto ed eccepito, rassegnava le seguenti conclusioni.

Voglia questo Il.mo Tribunale, ogni contraria eccezion, istanza o domanda retta:

– annullare il provvedimento di messa in aspettativa impugnato perché illegittimo;

– condannare controparte alla corresponsione a favore del ricorrente degli stipendi, indennità, assegni, contributi da ella non percepiti dalla data di notifica del provvedimento impugnato alla data di effettiva ripresa del lavoro

– previo accertamento della sussistenza dei presupposti ex art. 96 cpc condannarsi controparte al Pagamento dell’importo di euro 15.000,00 o in quella somma che verrà ritenuta equa;

– con vittoria delle spese di causa e delle spese legali, con distrazione a favore del sottoscritto difensore che si dichiara antistatario

***
Il ricorso proposto da xxx appare parzialmente fondato e meritevole di accoglimento in parte qua, virtù delle motivazioni di seguito enunciate ed esposte.

***
Giova premettere come la ricorrente, dipendente a tempo indeterminato della società resistente dal 2012, con mansioni di ASA presso la RSA xxx per l’attività di assistenza a soggetti ricoverati presso la struttura, avendo espressamente rifiutato di prestare adesione alla campagna vaccinale anti-Covid-19 della Regione Lombardia (cfr. doc. 6 fascicolo parte resistente), implementata tra il gennaio ed il febbraio del 2021, sia stata collocata in aspettativa non retribuita dalla società in data 9/2/2021 fino al 30/4/2021, successivamente prolungata sino al 31/12/2021, termine previsto dal d.l. 44/2021, entrato in vigore nell’aprile del medesimo anno.

Il provvedimento in questa sede contestato (doc. 8 fascicolo parte resistente) risulta adottato dalla società sulla scorta del disposto normativo di cui all’art. 2087 c.c., quale misura atta a tutelare l’integrità e le migliori condizioni di salute dei collaboratori, degli ospiti e di tutti gli utenti della RSA, potendo serbare il rifiuto della vaccinazione, in momento di intensa diffusione del virus SARS-COV-19, potenziali gravi conseguenze sulla salute dei medesimi soggetti, comprese gravi complicanze di salute e decesso.

Nella lettera di collocamento in aspettativa non retribuita, datata 9/2/2021, testualmente si legge:

“Gentile Signora

Come già comunicato, la cooperativa deve adottare tutte le misure per la migliore tutela dei propri collaboratori, degli ospiti e di tutti gli utenti e la vaccinazione anti-Covid-19 in capo a tutti li operatori è requisito fondamentale per la corvetta prosecuzione dell’attività.

Le nostre precedenti comunicazioni relative alla vaccinazione anti Covid-19 degli operatori della RSA sono rimaste senza alcun suo riscontro e non risulta che chi abbia aderito alla somministrazione della suddetta vaccinazione.

Allo stato, quindi, non è possibile mantenerla in servizio e, nell’otica di maggior favore ai fini della conservazione del posto di lavoro, si rende necessario sospenderla dal servizio, in questo periodo di emergenza sanitaria, ponendola in aspettativa non retribuita, dal 9 Febbraio 2021 sino al 30 Aprile 2021.

La cooperativa si riserva di rivedere la suddetta misura in ogni momento e di adottare ogni ulteriore diversa più opportuna decisione, anche riguardo alla prosecuzione e mantenimento del rapporto lavorativo, con riferimento all’evolversi della situazione aziendale e sanitaria.

Cordiali saluti”

Il provvedimento in questa sede contestato appare, dunque, espressione di determinazione unilaterale datoriale, la cui conseguenza risulta, da un lato, l’inutilizzabilità, per il tempo di durata dell’aspettativa, della prestazione del lavoratore e, dall’altro, la correlativa sospensione dell’adempimento della controprestazione posta a carico del datore, id est il pagamento della retribuzione.

La difesa della Cooperativa resistente riconduce tale determinazione nell’alveo applicativo dell’art. 2087 c.c., che impone all’imprenditore l’adozione, nell’esercizio dell’impresa, delle misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Tale disposizione, contenente una norma di chiusura del sistema di prevenzione, è diretta a favorire la predisposizione di tutte le cautele atte a preservare la salute del lavoratore, garantendo un ambiente di lavoro sicuro e salubre, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare su determinati fattori di rischio in un determinato momento storico (Trib. Livorno, sez. lav., 11 settembre 2020, n. 247).

La direttiva Ue 2020/739 del 3 giugno 2020 ha incluso il SARS-COV-19 tra gli agenti biologici da cui è obbligatoria la protezione anche negli ambienti di lavoro. Rientra quindi tra i doveri di protezione e sicurezza sui luoghi di lavoro, dettati dal Dlgs 81/2008, anche quello di tutelare i lavoratori da agenti di rischio esterni derivanti dalla diffusione pandemica di agenti infettivi.

Secondo Trib. Modena, ord. 23 luglio 2021, n. 2467, il datore di lavoro si pone come garante della salute e della sicurezza sia dei dipendenti che dei soggetti terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali e ha quindi l’obbligo ai sensi dell’art. 2087 c.c. di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei predetti soggetti.

Laddove l’adempimento dei doveri di protezione non si limiti all’impartimento di prescrizioni di condotta (ad es. utilizzo della mascherina) o all’adeguamento dell’ambiente di lavoro (ad es. installazione di pannelli protettivi in plexiglass), ma si spinga sino al punto di sospendere unilateralmente la prestazione di un dipendente, la cui perdurante frequentazione dei locali aziendali sia ritenuta incompatibile con la specifica organizzazione del lavoro e la salubrità e sicurezza dell’ambiente lavorativo, non potrà che farsi applicazione dei principi generali che regolano la fattispecie, come precisati dalla diuturna applicazione giurisprudenziale.

Viene, in particolare, in rilievo l’istituto della sopravvenuta impossibilità della prestazione (artt. 1463 e 1464 c.c.) risultando il lavoratore in ambito socio-sanitario, che rifiuti di sottoporsi alla vaccinazione, temporaneamente inidoneo, in quanto potenziale maggior veicolo di diffusione del contagio, allo svolgimento della prestazione tipica, prevedente il contatto con soggetti fragili, potenzialmente attingibili dalle gravi o fatali conseguenze della patologia da Covid-19, sino alla sottoposizione ad un ciclo vaccinale completo o, alternativamente, alla cessazione dell’emergenza epidemiologica.

Cionondimeno, rappresentando la sospensione del lavoratore senza retribuzione l’extrema ratio, vi è un preciso onere del datore di lavoro di verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.

L’onere probatorio che grava sul datore di lavoro in caso di sospensione del rapporto per impossibilità temporanea della prestazione è, dunque, analogo a quello previsto per il caso di licenziamento per impossibilità definitiva della prestazione (i.e. impossibilità del cd. repechage): in ambedue i casi il datore di lavoro è onerato di provare di non poter utilizzare il lavoratore in altra posizione di lavoro o in altre mansioni equivalenti o inferiore (Trib. Ravenna, sez. lav., 6 settembre 2017, n. 276).

L’onere di repechage non risulta, tuttavia, nel caso di specie adeguatamente assolto dalla Cooperativa resistente.

Il provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita a carico della xxx non considera, in alcun modo, l’eventualità che la stessa potesse essere distolta dalle mansioni di operatrice ASA ed adibita a mansioni, anche inferiori, compatibili con la tutela della salubrità dell’ambiente e della sicurezza degli ospiti della struttura. Né, del resto, tale onere può dirsi assolto alla luce delle difese della Cooperativa convenuta nella memoria di costituzione, non avendo la stessa compiutamente ed analiticamente profilato le posizioni presenti in organico, astrattamente compatibili con il ricollocamento della xxx, nel rispetto delle prescrizioni di sicurezza, evidenziandone l’impossibilità.

Non può, del pari, addursi in senso contrario la determinazione della cooperativa di richiedere la vaccinazione a tutto il personale presente in RSA, compresi amministrativi, operatori di assistenza domiciliare e addetti alle pulizie ed ai servizi di cucina non potendosi, in assenza di obbligo vaccinale generalizzato, che operare una ponderata comparazione tra l’interesse alla salute, prioritariamente riferito ai soggetti fragili, e quello al lavoro.

I rilevati profili di illegittimità del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita della lavoratrice odierna ricorrente del 9/2/2021 non risultano in alcun modo elisi alla luce dell’entrata in vigore del d.l. 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni in legge 28 maggio 2021, n. 76.

Tale normativa, introduttiva delle “misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni ani SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici” stabilisce, nelle enunciazioni generali di principio (art. 4 comma 1) che, “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2.

La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”.

Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione di cui al comma 1 non è obbligatoria e può essere omessa o differita (comma 2).

L’iter procedimentale è disciplinato dall’art. 4 e ss. e prevede, per quanto qui di interesse, la trasmissione, da parte dei datori di lavoro degli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, dell’elenco dei propri dipendenti con qualifica ed indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma nel cui territorio operano i medesimi dipendenti; la verifica dello stato vaccinale da parte di regioni e province autonome, per il tramite dei servizi informativi vaccinali; la segnalazione all’ATS dei nominativi dei soggetti che non risultano vaccinati; l’invito di ATS a presentare documentazione comprovante l’insussistenza dei presupposti per l’assolvimento dell’obbligo vaccinale e, alla scadenza del termine, l’invito all’interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino, con indicazione dei termini e modalità entro i quali adempiere.

Una volta decorsi i termini per l’attestazione dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, l’ATS competente accerta l’inosservanza dello stesso, dandone immediata comunicazione scritta all’interessato ed al datore di lavoro.

L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’ATS determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Ricevuta tale comunicazione, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.

Appare evidente che la procedura introdotta dal dl. 44/2001 non sia stata rispettata nei confronti della xxx.

Consta, difatti, agli atti, esclusivamente una comunicazione di ATS (all. B fascicolo cautelare parte resistente), inoltrata alla via PEC in data 14/5/2021, che ricalca l’invito all’interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino, con indicazione dei termini e modalità entro i quali adempiere, di cui al comma 5 art. 4.

Tale comunicazione non risulta, tuttavia, preceduta dalla concessione di termine per la produzione di documentazione giustificativa dell’esenzione vaccinale né seguita dall’atto di accertamento, da comunicare anche a lavoratore, cui la norma sopravvenuta ricollega la sospensione di costui dal diritto di svolgere la prestazione.

Non risulta, inoltre, operata la successiva valutazione, da parte del datore di lavoro, di un impiego alternativo del lavoratore, non implicante rischi di diffusione del contagio.

Ne consegue, pertanto, anche sotto tale ulteriore profilo, l’illegittimità del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita della xxx, con limitazione alla sospensione della retribuzione che, conseguentemente, il datore di lavoro sarà tenuto a corrispondere dalla data di sospensione sino all’effettiva riammissione in servizio o all’adozione di provvedimento legittimo di sospensione della prestazione lavorativa, all’esito dell’esperimento della procedura di legge.

L’accertata illegittimità del provvedimento non può, tuttavia, in alcun modo condurre alla riammissione in servizio della xxx per lo svolgimento delle mansioni di ASA innanzi svolte, in conformità alla richiesta della difesa di parte ricorrente.

È fatto incontestato che la stessa non abbia, alla data della decisione, ancora aderito alla campagna vaccinale, incorrendo nella preclusione normativa di cui all’art. 4 comma 1 d.l. cit. che accompagna l’introduzione dell’obbligo vaccinale, per determinate categorie di lavoratori, alla previsione secondo cui “la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”.

Palesemente infondata appare, infine, la domanda di cui all’art. 96 c.p.c., svolta in ricorso dalla difesa di parte ricorrente. Risulta, difatti, incompatibilità, sotto il profilo logico giuridico, tra la formulazione di tale domanda nel ricorso introduttivo ed il presupposto della resistenza in giudizio in mala fede posto che, all’atto del dispiegamento della domanda giudiziale, le modalità ed i contenuti della resistenza del convenuto non possono essere conosciuti all’attore.

La sussistenza di soccombenza reciproca, risultando la xxx parzialmente vittoriosa nel merito ma soccombente in ordine alla domanda ex art. 700 cp.c., al reclamo cautelare ex art. 669 terdecies ed alla domanda ex art. 96 cp.c., e la novità della questione esaminata, inducono a ritenere sussistenti i motivi di cui all’art. 92 cip.c. per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del merito e della fase cautelare in corso di causa.

P.Q.M.

Accoglie, per quanto di ragione, il ricorso proposto da xxx e, per l’effetto, accertata e dichiarata l’illegittimità del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita del 9/2/2021, condanna Cooperativa xxx al pagamento, in favore della ricorrente, delle retribuzioni maturate dalla data di sospensione alla data di effettiva riammissione in servizio o di legittima sospensione della prestazione lavorativa, con interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo;

rigetta la domanda di risarcimento del danno ex art. 96 cp.c. proposta da in quanto giuridicamente infondata;

dispone l’integrale compensazione tra le parti delle spese del merito e della fase cautelare in corso di causa.”

Milano, 15/9/2021

Il Giudice
Antonio Lombardi