L’11 agosto del 1994 la Commissione incaricata della riforma della Costituzione argentina approvò all’unanimità il comma 17¹ del nuovo articolo 75 che riconosce la preesistenza dei popoli indigeni, il diritto all’occupazione e proprietà dei loro territori ancestrali, alla loro cultura… Il testo del nuovo articolo superava ampiamente i limiti di quello precedente, fornendo un motivo di grande speranza per le comunità indigene. Senza dubbio, oltre due decenni dopo, la legislazione resta non regolamentata e la sua formulazione risulta ormai retorica.

In questa intervista, Israel Alegre, referente della comunità Nanqom di Formosa, ci offre il suo punto di vista sulla questione.

Come riassumeresti oggi lo stato dei diritti indigeni nel Paese?

La situazione generale è praticamente la stessa per tutti i popoli indigeni perché non si è mai attuato quello che è stabilito nella Costituzione Nazionale, né quello che dichiara il nuovo Codice Civile e Commerciale. Sono già 26 anni che la Costituzione è stata riformata, ma lo Stato non ha mai regolamentato questi diritti, non intende assumersi la responsabilità della questione indigena. Per i popoli indigeni non c’è giustizia. È questa la realtà.

La normativa non è mai stata attuata, sebbene sia incarico e dovere del Congresso Nazionale. Però non c’è la volontà politica dei senatori dello Stato, né dei deputati; tantomeno del potere esecutivo né della giustizia, perché quando si parla di terra e di territori, si colpiscono gli interessi economici dei potenti. Quando si toccano gli interessi delle grandi industrie del legno, del petrolio, delle miniere, del bestiame, della soia, la lotta per la terra viene criminalizzata. Allora chi chiede che i diritti sanciti dalla Costituzione e dai trattati internazionali siano rispettati viene attaccato.

In cosa credi che dovrebbe mutare il rapporto dello Stato con i popoli indigeni, a seguito del riconoscimento della loro preesistenza?

L’articolo 75 riconosce la preesistenza indigena e da questo deriva automaticamente che i popoli indigeni siano entità giuridiche pubbliche al pari dello Stato stesso, come le provincie, i comuni, la Chiesa Cattolica. Inoltre la preesistenza dà anche origine a una legge di riparazione storica.

Molte persone si spaventano quando diciamo questo, ma stiamo parlando del fatto che devono riparare il danno, il genocidio: 318 anni che vanno attribuiti alla Spagna e 211 anni all’Argentina, perché anche l’Argentina è responsabile di genocidio. Per i popoli indigeni non c’è mai stata l’indipendenza e la stessa storia si incarica di mostrarlo. Deve esserci una riparazione storica perché si possa parlare per noi di autogoverno e di autonomia, altrimenti continueremo a dipendere dallo Stato, e quando dipendi dalla tetta dello Stato non sei indipendente, dipendi, vivi nella dipendenza e quello che dice lo Stato lo devi fare.

Riconoscendo la nostra preesistenza si riconoscono anche le nostre istituzioni e l’organo più rilevante che abbiamo da tempi immemorabili è l’assemblea, e non il cacicco. Il cacicco è stato un’invenzione dei militari che presero alcuni indigeni e li vestirono con uniformi militari per “assegnare loro una carica”. Allora, seppure dicano che la nostra cultura sia riconosciuta, ci vediamo obbligati a usare un sistema totalmente alieno.

Quando esigiamo che lo Stato rispetti, loro guardano dall’altra parte, però poi ci obbligano a eleggerli, a dare loro il nostro voto, perché, se è vero che il voto è segreto, è anche obbligatorio. Dunque continuano a usarci come hanno fatto durante tutto il tempo di questa democrazia fino a oggi. Coloro che non votano vengono multati, però chi pretende che i suoi diritti siano applicati viene rinviato a giudizio, criminalizzato per essersi lamentato. Così i popoli indigeni rimangono un trofeo del Congresso Nazionale.

Accade di frequente che il governo nazionale si disinteressi dei conflitti delle comunità nelle provincie, è vero?

Il governo nazionale si giustifica dicendo che essendo uno Stato federale non può intervenire. Questa è una totale bugia. L’obbligo e l’attuazione della legge indigena sono responsabilità dello Stato nazionale e delle province. Le leggi locali devono adattarsi al nuovo diritto e se non lo fanno sono incostituzionali.

Dal canto nostro noi dobbiamo esigere che vengano abrogate le leggi sulla politica aborigena, che siano nazionali o provinciali, che continuano a essere applicate pur non essendo in linea con la Costituzione Nazionale. Inoltre non vengono rispettati i trattati internazionali come la Convenzione 169 dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro, ndt) e il nuovo codice civile e commerciale, il cui articolo 18 ratifica l’articolo 75, paragrafo 17, della Costituzione, che sono tuttora in vigore.

È davvero una situazione molto difficile da risolvere, cosa ti spinge ad andare avanti?

La verità è scandalosa. Non è semplice reclamare il diritto dei popoli indigeni a cui appartengo; non è facile porsi contro il potere, non soltanto il potere economico ma il fatto che loro possano gestire tutto, anche il potere giudiziario, no? Una persona rivendica un diritto e viene portata in tribunale, viene criminalizzata per la sua richiesta e per quella del suo popolo.

Non è facile, però è questa la storia che sto scrivendo, è ciò che sarà scritto sulla mia tomba al termine di questa mia vita e l’impronta che lascio del mio passaggio su questo pianeta, no? Devo andare avanti, fissare la mia mente su questo obiettivo che mi sono prefissato e avanzare, perché le nuove generazioni abbiano un nuovo orizzonte.

Note

¹ “Spetta al Congresso riconoscere la preesistenza etnica e culturale dei popoli indigeni argentini. Garantire il rispetto della loro identità e il diritto a una educazione bilingue e interculturale; riconoscere la personalità giuridica delle loro comunità, e il possesso e la proprietà delle terre che tradizionalmente occupano; e regolare la distribuzione di altre adatte e sufficienti allo sviluppo umano; nessuna di esse sarà alienabile, trasferibile o soggetta a imposte o confische. Assicurare la loro partecipazione nella gestione delle loro risorse naturali e a tutti gli altri interessi che li riguardano. Le provincie possono esercitare tali poteri simultaneamente.”

Traduzione dallo spagnolo Manuela Donati, revisione di Silvia Nocera