La redazione del quotidiano Koha Ditore ha pubblicato quest’oggi un articolo nel quale riferisce di essere entrata in possesso di un documento, che verrebbe presentato come un “non-paper”, un testo scritto non intestato, non firmato e di valenza non ufficiale, che dovrebbe, secondo quanto si riporta nell’articolo, ricapitolare gli aspetti salienti dell’approccio di Francia e Germania in merito al rilancio del dialogo, facilitato dall’Unione Europea, tra Serbia e Kosovo e alla possibile soluzione per un accordo finale. In un passaggio dell’articolo si fa ulteriore riferimento al fatto che, per quanto il documento non sia stato redatto da alcuna fonte ufficiale e non rappresenti in alcun modo alcuna posizione ufficiale, pur tuttavia esprime posizioni che sono condivise nella sostanza tra le cancellerie, e che potrebbero dunque costituire, tra gli altri, elementi per un rinnovato tavolo tra Belgrado e Prishtina, come si sa, entrato in una fase di stallo, ove anche precedenti accordi sono rimasti lettera morta e ove prese di posizione e toni nazionalistici, oltre che la pandemia di coronavirus, non hanno certo aiuto a ripristinare. Ovviamente, tempestive e categoriche sono arrivate le nette smentite da parte di tutti i soggetti interessati.

Dunque, al netto delle dovute premesse e precisazioni, in tempi di documenti/non-documenti che circolano e che sempre più intensamente (minacciosamente?) si addensano sui Balcani Occidentali, vale la pena dare una scorsa alle quattro pagine pubblicate da Koha. Nella prima pagina della sequenza pubblicata dal quotidiano, vengono fissati alcuni elementi di cornice. «Un accordo legalmente vincolante dovrebbe assicurare la realizzazione di un nuovo sistema di relazioni in Kosovo e nei rapporti tra Belgrado e Prishtina. Le parti si rispetteranno come stati eguali, indipendenti e sovrani, all’interno dei rispettivi confini internazionali. Le parti rispetteranno, in accordo con il diritto internazionale, la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza dell’altra parte». Quindi, poco oltre, «le parti assicureranno l’implementazione della Comunità dei Comuni Serbi come struttura di auto-governo delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo, quale risultato degli Accordi di Bruxelles del 2013, negoziati e conclusi dai governi di Belgrado e Prishtina. In accordo con le competenze sancite dalla Carta Europea delle Autonomie Locali e della legge del Kosovo, tali municipalità avranno la facoltà di cooperare nell’esercizio delle loro funzioni, collettivamente, attraverso l’associazione. L’associazione avrà pieno corso nelle aree dello sviluppo economico, dell’istruzione, della sanità, della pianificazione urbana e della pianificazione rurale».

Inoltre, «le parti concordano l’istituzione del Distretto Autonomo del Kosovo del Nord, come singola unità amministrativa di auto-governo regionale in Kosovo, con potere legislativo nella economia regionale, finanza, proprietà, infrastrutture, cultura, istruzione, sanità, politiche sociali, sistema giudiziario, polizia, edilizia residenziale, sviluppo urbano e cooperazione europea, in linea con la costituzione del Kosovo». Nella terza pagina della sequenza pubblicata sul quotidiano, si specificano anche i contorni di queste infrastrutture amministrative. «Il Distretto Autonomo del Kosovo del Nord comprenderà il territorio delle città di Zvečan e i suoi 35 villaggi, Leposavić e i suoi 72 villaggi, Mitrovica del Nord e la zona catastale adiacente, e Zubin Potok e i suoi 63 villaggi. Il Distretto Autonomo del Kosovo del Nord sarà dotato di un Governatore in rappresentanza del Governo del Kosovo, una Assemblea in rappresentanza del popolo, e un Consiglio Esecutivo costituito come organo congiunto del Distretto Autonomo, del Governo del Kosovo, del Governo della Serbia e della Unione Europea».

Un elemento importante è ovviamente rappresentato anche dalla presenza e dai diritti della Chiesa Ortodossa Serba in Kosovo, la quale «sarà esplicitamente riconosciuta dalle autorità del Kosovo come parte autonoma, in regime di auto-governo, del sistema politico e costituzionale kosovaro, la sua proprietà sarà inviolabile e sarà dotata di uno status speciale. Zone di Protezione saranno estese in più di 40 siti culturali e religiosi cruciali». Infine, nella sequenza riportata dal quotidiano, «le parti si scambieranno le missioni permanenti. […] Le questioni pratiche riguardanti la costituzione di tali missioni saranno trattate nel rispetto della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche». Inoltre, «le parti daranno vita a un Consiglio di Amicizia che convocherà i governi di entrambe le parti su base annua per assicurare l’implementazione dell’accordo legalmente vincolante e per promuovere la cooperazione bilaterale in tutte le aree di reciproco interesse».

Un documento/non-documento, dunque, che prospetterebbe la divisione dei Serbi del Kosovo, tra quelli del Kosovo Centrale e quelli del Kosovo del Nord, organizzati in due articolazioni amministrative e funzionali distinte, con il Kosovo del Nord, al contempo, ampiamente autonomo ma sottoposto ad un governatorato delle autorità di Prishtina; che sancirebbe, sul modello bosniaco, ruolo e presenza istituzionali del Governo del Kosovo e del Governo della Serbia sul Kosovo del Nord, una sorta di imperfetta «republika srpska» in sedicesimo; e che maschera dietro la perifrasi dell’ “accordo legalmente vincolante” il riconoscimento della indipendenza kosovara. Indipendenza non riconosciuta dalle Nazioni Unite (ne dall’UE in quanto tale), non riconosciuta da oltre 80 Paesi, il cui riconoscimento si pone peraltro in contrasto con la risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di Sicurezza.