Qualche giorno fa è stata resa pubblica la lunga relazione scritta dal Garante Nazionale per i Detenuti, il dottor Mauro Palma. 44 fitte pagine nelle quali vengono descritte le visite compiute negli ultimi due anni presso i CPR di Torino, Roma, Bari, Brindisi, Caltanissetta, Trapani, Gradisca d’Isonzo, Macomer, Milano.

Vi copio per esteso l’inizio, che mi sembra illuminante: “Il termine latino hostis indica, come noto, il nemico. Rispetto all’inimicus che è perlopiù il nemico personale, con il quale un tempo ci si poteva sfidare a duello, hostis implica un’accezione più ampia del concetto di inimicizia che, travalicando i confini personali, fissa la dimensione dello scontro su un piano superiore: l’hostis è il nemico contro cui si combatte in guerra, l’esercito nemico o più semplicemente l’esercito. Ma lo stesso termine in latino significa anche straniero. Per i nostri antenati, dunque, la parola straniero conteneva in sé un senso di contrapposizione rispetto ad un’entità minacciosa, spesso di natura collettiva, verso la quale ci si oppone, combattendola manu militari. Nello scrivere la premessa a questo Rapporto 2019/2020 sulle condizioni dei Centri di Permanenza per i Rimpatri ci si interroga se, ancora oggi, questa identità tra straniero e nemico non trovi una sua attualità, sul piano del discorso pubblico, ma anche su quello fattuale.

Questo Rapporto, però, non contiene considerazioni e raccomandazioni sul discorso pubblico relativo all’immigrazione in Italia, spesso censurabile ma non di competenza del Garante nazionale…” Il garante sembra dire: la mia strada sarà in salita. E così è.

In una delle prime note sono elencati i cinque morti che ci sono stati nei CPR negli ultimi due anni. Il garante sottolinea la “inevitabile e intrinseca natura afflittiva” della privazione della libertà unita alla previsione di rimpatrio.

Più sotto scrive: “La vita nei CPR continua con il suo carico irrisolto di contraddizioni e criticità, di varia natura, che pesa irrimediabilmente sui diritti delle persone coinvolte”…. Al di là della presunta discontinuità dai precedenti CTP e CIE, rimasta “lettera morta”. Come dire: la minestra è sempre quella, da vent’anni a questa parte.

Il Garante nota la “scarsa efficacia del sistema”, visto che “meno del 50% delle persone trattenute sono state rimpatriate”.

Manifestazioni di protesta, ribellioni e danneggiamenti alle strutture si sono succeduti senza sosta; inoltre, mai come in passato, si è verificato un numero così elevato di eventi tragici (…) Appare difficile non considerare tale serie di eventi infausti quantomeno il sintomo di realtà detentive gravemente e fisiologicamente problematiche, non sempre in grado di proteggere e tutelare la sicurezza e la vita delle persone poste sotto custodia”.

Se volete potete leggerlo integralmente: ne esce un quadro di luoghi dove “l’esiguo e labile quadro normativo non offre sufficienti tutele e garanzie per assicurare il pieno e assoluto rispetto della dignità della persona e rischia di lasciare ampi spazi di discrezionalità ai pubblici poteri e ai soggetti responsabili della loro gestione”.

Palma passa quindi a snocciolare le gravi carenze riscontrate nel corso delle visite. E’ una via Crucis: spazi inadeguati, privacy non rispettata, ozio totale, forzato e avvilente, impossibilità di avere materiale per scrivere, assenza di arredo per paura di danneggiamenti, bagni senza porte, telefoni sequestrati, polizia presente durante le visite mediche, gabbie attraverso le quali si passano i pasti, nessuna possibilità di chiamare aiuto se non gridando (sperando che passi qualcuno), mancanza di registri, abbandono e chiusura dei pochi spazi pubblici o di attività fisica, assenza di riscaldamento, docce o servizi igienici non funzionanti e maleodoranti, disagio psichico, presenza di “celle di sicurezza”, assenza o grave carenza di informazioni sulle regole e i diritti, minori detenuti.

E alla fine di ogni paragrafo: “Si raccomanda quindi……” “Si raccomanda….” “Il Garante nazionale invita…” E avanti così. Viene da piangere di dolore o di rabbia.

Lo dice il Garante, riferendosi agli spazi del CPR di Milano, chiamandoli: “involucri vuoti”. E più avanti: “La totale assenza di opportunità di impiego del tempo. Ciò rende la quotidianità delle persone ristrette monotona, deprivata di senso e di alcun scopo individuale costruttivo.” L’emergenza sanitaria ha solo peggiorato una situazione già critica.

Le visite realizzate hanno confermato la sostanziale opacità delle strutture di detenzione amministrativa, generalmente chiuse al mondo dell’informazione e della società civile organizzata, che anche prima dell’emergenza sanitaria si vedevano regolarmente negare dalle Prefetture le richieste di accesso.”

Sabato 24 aprile nei pressi di diversi CPR d’Italia vi saranno presidi organizzati da movimenti, gruppi, associazioni, singoli cittadini e cittadine. Le parole del Garante ci aiutano a capire la follia di questi luoghi. Come diceva Paul Watzlawick “E’ impossibile essere coerenti in un contesto paradossale”. I CPR vanno chiusi, una volta per tutte.