Ormai sono passati 15 giorni da quando 61 operai della Bialetti Turchia hanno deciso d’interrompere le attività produttive nello stabilimento situato presso la città di Kocaeli. La trattativa per il rinnovo del contratto è fallita e loro hanno deciso di proclamare lo stato di agitazione.

Telat Celik, responsabile provinciale del sindacato confederale DISK, riassume così il percorso che ha portato a prendere una decisione del genere: “Durante le trattative abbiamo chiesto che lo stipendio degli operai venisse aumentato come minimo del 18% e che l’aumento fosse applicato 2 volte l’anno. La risposta dell’azienda è stata negativa abbiamo quindi deciso, circa 1 mese fa, di scioperare. Un giorno prima dell’inizio dello sciopero l’azienda ci ha proposto un aumento pari al 14% e solo una volta all’anno”. Ovviamente questa mossa fatta all’ultimo momento non ha mutato l’intenzione di scioperare degli operai.

L’azienda italiana, un marchio internazionale nella produzione delle caffettiere, in Turchia conta circa 90 dipendenti, 61 dei quali sono iscritti al sindacato confederale DISK e sono coloro che sono in agitazione ormai da 15 giorni. Non è la prima volta che proprio in questa fabbrica si arriva al punto d’interrompere la produzione. Negli anni precedenti, sempre per l’impossibilità di trovare un accordo, gli operai scioperarono due volte ottenendo ciò che chiedevano. Oggi, nel 2021, la richiesta è la stessa: percepire uno stipendio dignitoso.

“Il governo centrale manipola sistematicamente, da anni, i dati legati all’inflazione. I dati ufficiali danno ragione alla Cem Bialetti (nome ufficiale della fabbrica) ma i dati reali sostengono la nostra richiesta. Abbiamo diversi dipendenti che guadagnano meno di 3 mila Lire turche (320 Euro). La valuta locale perde valore, quindi per un’azienda europea diversi costi, sostenuti in Lira turca, sono diminuiti. Nonostante ciò l’aumento che chiediamo non viene riconosciuto”. Le parole di Celik infatti toccano un punto molto attuale e importante, ossia la profonda crisi economica in atto in Turchia.

Secondo una ricerca realizzata dalla redazione in lingua turca dell’emittente britannica, BBC, nel mese di febbraio di quest anno, secondo Ankara, l’inflazione sarebbe di poco superiore al 14%, invece secondo i dati diffusi dalle associazioni dei consumatori e vari ricercatori indipendenti l’inflazione reale oscillerebbe tra il 36 e 50%. Numeri spaventosi che spiegano come alcuni prodotti di consumo stiano diventando sempre più cari. Analizzando il prezzo dell’olio di girasole si osserva facilmente questo andamento dell’inflazione. Nel mese di novembre del 2020, le tasse doganali per l’olio di girasole comprato all’estero sono state abbassate dal 36% al 3% con l’obiettivo di ottenere un prezzo di vendita sostenibile. Nonostante questo, a causa di una serie di costi che i produttori e gli importatori devono affrontare, il prezzo dell’olio è cresciuto del 20% in meno di un mese.

Dunque gli operai della Bialetti non fanno altro che pretendere un giusto riconoscimento economico adeguato per sostenere i costi della vita sempre più elevati nella Turchia di oggi.