Sono arrivati a sgomberare: l’avevano detto e l’hanno fatto all’alba di oggi 30 marzo. La tensione era tanta da parte di tutti coloro che tenevano gli occhi puntati sugli attivisti che per mesi hanno occupato una collina, impedendo l’ampliamento di una cava nel cantone svizzero di Vaud. Persino il Premio Nobel per la chimica Jacques Duboche aveva rinnovato il suo appello a favore di una resistenza nonviolenta. E infatti non c’è stata nessuna violenza da parte delle decine e decine di giovani che aspettavano le cosiddette “forze dell’ordine”. Queste hanno fatto il loro lavoro, hanno eseguito gli ordini ricevuti.

Leggiamo nel corso della mattinata le notizie in francese che arrivano dalla Svizzera; ci sono i video, i collegamenti televisivi, le foto. Colpisce la sproporzione di forze: da una parte centinaia di poliziotti con una tenuta antisommossa tale che li fa muovere lentamente, quasi fossero palombari o astronauti. Dall’altra dei giovani che saltellano di qua e di là, o se ne stanno arrampicati sugli alberi, in attesa di essere portati via.

Le barricate fatte con tronchi e poco più vengono spostate in poco tempo; i disegni dei bimbi sembrano sfidare i poliziotti, ma poi una ruspa spiana e riduce in briciole una sequela infinita di statuette di terracotta stese lungo la strada.

Hanno vinto loro oggi; non c’è stata neanche partita. L’ordine torna finalmente a regnare. A meno che…

A meno che i segnali (una manifestazione a Losanna venerdì scorso, 123 consiglieri del Cantone di Vaud che firmano un appello, molte associazioni ambientaliste schierate con gli attivisti) non crescano. A meno che la grande generosità espressa da questi giovani non colpisca, non superi la rassegnazione di tutti gli spettatori, non sollevi un’indignazione ben più alta.

Sarebbe bene che chi ha lanciato appelli alla nonviolenza, ha sperato nella resistenza e ha assistito con preoccupazione allo sgombero adesso faccia la sua parte: quel grido, quei canti e quelle musiche che aleggiavano nella collina assolata non vanno abbandonati. Che si trasformino in un moto ben più massiccio per impedire davvero la distruzione che questi giovani hanno “teneramente” cercato di fermare anche per noi e sicuramente per i nostri figli e nipoti.

Nel pomeriggio i giovani vengono accompagnati e scaricati alla stazione ferroviaria di La Sarraz. Sembra di sentire “Addio Lugano bella…”. Qualcuno dice che invece di tornare a casa, scenderanno alla stazione successiva. Ce n’est pas fini.

Foto: Twitter ZAD de la colline