In continuità con i governi precedenti anche quello di Mario Draghi si affida alla sedicente Guardia costiera “libica”: da un lato, si invoca la solidarietà europea non per salvare vite in mare, ma per respingere i cd.“clandestini” nelle mani dei miliziani; dall’altro, si mettono sotto inchiesta le Organizzazioni non-governative che salvano esseri umani disperati che chiedono semplicemente aiuto

La tempesta mediatica che si è abbattuta sui soccorsi umanitari cade oggettivamente nelle prime settimane del nuovo governo Draghi, ed ha evidenti finalità preventive, oltre a costituire un definitivo regolamento dei conti, nella guerra combattuta contro le ONG, per allontanare per sempre dal Mediterraneo centrale, e costringere al silenzio chi ha denunciato molteplici casi di abbandono in mare, e le collusioni istituzionali con la sedicente Guardia costiera “libica”. Si cerca anche, da parte dei leghisti adesso al governo, l’appoggio dell’Unione Europea che sta svoltando verso politiche meramente repressive. Verso questa Unione Europea che sostiene gli accordi bilaterali con il governo di Tripoli e consente agli aerei di Frontex di collaborare nel meccanismo operativo degli avvistamenti/respingimenti delegati alla sedicente Guardia costiera “libica”, si rivolge adesso il nuovo governo Draghi con l’appoggio della Lega di Salvini. “Solidarietà europea” si invoca, ma per respingere nelle mani dei miliziani libici, non certo per salvare vite in mare. E si dimentica che l’iniquo Regolamento Dublino III non è stato modificato proprio per il voto contrario della Lega e dei parlamentari provenienti dai partiti sovranisti europei.

Che cosa si vuole nascondere ancora oggi? Intese operative inconfessabili, coperte dal segreto militare più volte opposto al diritto di accesso rivendicato dalle associazioni, una collaborazione frutto dei Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti del 2017, della invenzione di una zona di ricerca e soccorso “libica” nell’estate del 2018,, e dei cospicui finanziamenti che da Roma e da Bruxelles sono stati generosamente erogati a chi si impegnava a bloccare in Libia, o ad intercettare in mare, un numero sempre più alto di persone migranti. Oltre 10.000 vite di scarto, secondo le Nazioni Unite, persone intercettate lo scorso anno, quando si trovavano in acque internazionali e restituite dopo i “soccorsi” ai carcerieri dai quali erano fuggite. Persone, comprese donne e minori, di cui nessuno, dopo il ritorno forzato in Libia, ha avuto più notizie, come denuncia nei suoi documenti l’OIM. A centinaia le vittime di queste intercettazioni violente o di veri e propri casi di omissione di soccorso, persone che nessuno ricorda più. Ed anche con il nuovo governo Draghi le intercettazioni delegate ai libici in acque internazionali sono continuate.

Sul fronte sbarchi per certa informazione è emergenza continua, anche se il numero effettivo delle persone che riescono ad attraversare il Mediterraneo è molto ridotto rispetto agli anni dal 2014-2018. Perché ormai si ritiene normale e tollerabile, soprattutto in tempi di pandemia, che le persone continuino a restare intrappolate in Libia, sotto tortura ed esposte a ricatti quotidiani, fino a quando qualche parente non paga per la loro liberazione. “Non persone”,una minaccia per i nostri “confini” che qualcuno difende con tanta solerzia, esseri umani che possono scomparire in mare o morire nei campi in Libia, ma che quando riescono ad arrivare in Italia, già dopo i primi soccorsi, sono definiti soltanto come “clandestini”. E chi li salva deve andare sotto inchiesta. Se i rapporti con i paesi della sponda sud del Mediterraneo si risolveranno affidando al solo processo penale il ruolo di strumento di contrasto dei soccorsi in mare, oltre che dell’immigrazione irregolare, sulla base degli accordi bilaterali, piuttosto che in applicazione del sistema gerarchico delle fonti del diritto, richiamate peraltro anche dalla Corte di cassazione con la sentenza del 20 febbraio 2020 ( sul caso Rackete), e se si manterranno chiusi tutti i canali legali di ingresso, che sono anche i canali di fuga dalla Libia, sullo sfondo della scena internazionale si profilano soltanto scenari di guerra.

La grancassa mediatica contro le ONG deve anche oscurare la prossima chiusura dei procedimenti penali a carico del senatore Salvini che trova prevedibili sostenitori nel ministro Di Maio, e nella riconfermata ministro dell’interno Lamorgese, all’insegna di una continuità politica che abbiamo sempre denunciato, ma che viene utilizzata per intaccare il principio costituzionale della responsabilità penale personale, cosa diversa dalla responsabilità collegiale politica, con la rottura del principio  di uguaglianza delle persone coinvolte nei procedimenti penali.

La presunzione di innocenza che dovrebbe valere per tutti gli imputati viene amplificata in modo strumentale se si riferiscono i procedimenti penali nei confronti del senatore Salvini, mentre si trasforma in “presunzione” di colpevolezza quando i giornali trattano dei procedimenti contro chi salva vite in mare, quasi una anticipazione della condanna definitiva. E ad una opinione pubblica ormai imbarbarita sta bene anche questo. Con queste premesse, il caso Gregoretti è già chiuso. Potrebbe passare così il principio che il fine ( la difesa dei confini e la negoziazione con gli Stati europei) giustifica i mezzi (la indebita privazione della libertà personale dei naufraghi che avevano diritto ad essere sbarcati in un luogo sicuro, secondo quanto previsto dalla legge, art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98). Di questo passo, qualsiasi finalità politica, “condivisa dai ministri al governo” potrà limitare le libertà fondamentali di tutti, sancite dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali. La giustizia capovolta, lo Stato di diritto a rischio, qualunque deriva autoritaria sarà possibile, soprattutto se la magistratura giudicante, nel suo complesso, abdicherà alle sue funzioni di controllo e di salvaguardia della legalità democratica.