Ancora allarme per la Caffaro di Brescia nella falda sotto lo stabilimento. Il livello di cromo esavalente non è mai stato così alto. Dalle ultime analisi, effettuate dai tecnici dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente Arpa, lo scorso 11 gennaio, sono emersi valori di concentrazione 10/15 volte «maggiori di quelli rilevati nella serie storica di dati ad oggi disponibili».

A metterlo nero su bianco è stato il direttore del dipartimento Arpa di Brescia, Fabio Cambielli, che martedì sera ha inviato una nota al ministero dell’Ambiente, al commissario straordinario, alla Caffaro Brescia Srl e a tutti i soggetti coinvolti tra cui Comune e Provincia, per informarli della gravissima situazione ambientale in cui si trova il sito industriale.

Secondo il direttore Arpa Fabio Cambielli saranno necessari ulteriori approfondimenti per capire esattamente le ragioni di questo picco di inquinanti.

Secondo gli esperti e i comitati ambientalisti, questo potrebbe essere dato dalla combinazione di due fattori:

    • il lavoro di svuotamento dei serbatoi contenenti il cromo unito al livello particolarmente alto della falda, che potrebbe essere arrivata a toccare lo zoccolo di terreno intriso di sostanze tossiche.
    • Il lavoro di protezione della falda operato attraverso una barriera idraulica e su di esso ci sono pesanti incognite. Caffaro Brescia Srl, azienda del gruppo Snia che si occupa del pompaggio delle acque per impedire l’avvelenamento, ha dichiarato che proseguirà nel suo lavoro fino al 31 marzo.

Già ad ottobre 2019 era uscito l’esito delle analisi che portano il timbro dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (Arpa) e che, come la procedura richiede, erano finite direttamente sul tavolo del sostituto procuratore Donato Greco, a capo del caso Caffaro.

Analisi che completavano il quadro riguardo una delle due distinte inchieste avviate: quella relativa alle concentrazioni fuorilegge di cromo esavalente (mentre l’altra riguardava invece il dossier mercurio e la fuoriuscita di soil-gas). Il verdetto di Arpa non lasciava margine alle interpretazioni e chiama direttamente in causa Caffaro Brescia srl: «Tra l’impianto e la contaminazione delle matrici c’è nesso causale». Si era attestato che il veleno continuava a crescere, anche quando la vecchia Caffaro Chimica aveva chiuso i battenti.

“L’attività della azienda chimica Caffaro è iniziata nel 1906 con la produzione di soda caustica e di vari composti, fra cui fitofarmaci e pesticidi. A partire dal 1938, l’azienda ha avviato la produzione di policlorobifenili (PCB), terminata poi nel 1984. Inoltre, la Caffaro ha utilizzato nel ciclo produttivo altri composti chimici tra cui il cloro, il mercurio, l’arsenico, il tetracloruro di carbonio.

Inizialmente l’attività della Caffaro era posta al di fuori del contesto urbano di Brescia, in quello che era conosciuto ai tempi come “Borgo San Giovanni”, una zona agricola nei pressi del cimitero cittadino. Con l’espandersi della città, l’Azienda è stata progressivamente inglobata nel tessuto cittadino.

​​​​L’inquinamento provocato dall’attività produttiva della Caffaro, oltre ad aver contaminato i terreni sottostanti lo stabilimento, si è diffuso nelle aree a sud dell’azienda mediante lo scarico delle acque industriali nelle rogge. Ma anche la movimentazione dei rifiuti e dei suoli contaminati ha contribuito a generare nel territorio Bresciano aree contaminate: quali ad esempio la discarica Vallosa di Passirano, Dalle indagini ambientali avviate nel 2000 sull’area dello stabilimento Caffaro e nelle sue immediate vicinanze è emerso un inquinamento del suolo con valori fino a migliaia di volte al di sopra dei limiti di legge (CLA ora CSC)* stabilite dalla normativa (prima dal D.M. 471/99 ed ora dal D. Lgs. 152/06) per le diverse destinazioni d’uso: residenziale/verde pubblico e industriale/commerciale. Nell’area dello stabilimento gli inquinanti – quali policlorobifenili (PCB), policlorobenzodiossine e dibenzofurani (PCDD/F), mercurio, arsenico, solventi si sono spinti nel sottosuolo fino a una profondità di oltre 40 mt, determinando di conseguenza anche la contaminazione della risorsa idrica sotterranea.

Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, con il Decreto del 24 febbraio 2003, ha definito il perimetro dell’area Caffaro quale Sito di Interesse Nazionale “da sottoporre ad interventi di caratterizzazione, di messa in sicurezza d’emergenza, bonifica, ripristino ambientale e attività monitoraggio” relativamente ai terreni, alle rogge, alle discariche e alla falda.

Le indagini condotte da ARPA, a partire dal 2001, hanno in via prioritaria indagato le aree attigue allo stabilimento, inoltre, hanno evidenziato il principale modello concettuale della contaminazione che si è diffusa dallo stabilimento, per mezzo dello scarico, ai sedimenti delle rogge e da questi, mediante la curagione dei corsi d’acqua e l’irrigazione, ai suoli agricoli, parte dei quali sono stati trasformati successivamente in aree residenziali, verde pubblico e privato e aree industriali.

Con il progredire delle conoscenze è stato evidente che le indagini ambientali non potevano essere limitate all’immediato intorno dello stabilimento, già perimetrato nel SIN, e quindi sono state estese progressivamente ai territori posti più a valle, anche oltre i confini comunali di Brescia.”

https://www.arpalombardia.it/Pages/Bonifica/Brescia.aspx#

https://www.radiondadurto.org/2021/01/28/brescia-livelli-record-di-inquinanti-alla-caffaro-la-preoccupazione-dei-comitati-ambientalisti/