Se fossi una vera giornalista non scriverei un pezzo su una manifestazione una settimana dopo della manifestazione stessa. Ma la realtà è che il pezzo non è propriamente sulla manifestazione del 9 gennaio in Piazza Castello a Torino e che, prima di essere una giornalista, sono un’insegnante, prima di un’insegnante sono una mamma, prima ancora una donna e soprattutto una persona. Allora, sapete cosa c’è? Che scrivo senza tempi perché quello che vi voglio raccontare non ha tempo, perché l’ineludibile stato d’invisibilità che hanno avuto i nostri adolescenti, da un anno a questa parte, non può essere scandito dal tempo ma deve correre davanti al tempo, deve superarlo e deve chiedergli un rimborso. Per le pagine rubate, per la conoscenza persa, per la privazione degli stimoli, delle passioni e di tutto quello che, anche se alcuni non ammetteranno mai, ha segnato un confine tra il prima e il dopo. Lunedì 18 gennaio, in Piemonte, 176 mila ragazzi torneranno a scuola alternandosi al 50% in classe fino a un massimo del 75%. «Speriamo che si riprendano quell’Isola che ‘non c’è più stata’» dice Aliza Matizen, insegnante di lingua e cultura spagnola all’Istituto d’Istruzione Superiore Marie CurieCarlo Levi di Collegno e sostenitrice di Priorità alla Scuola. «La Scuola deve riappropriarsi di ciò che era: il luogo dove si realizzano i sogni dei giovani, la culla per eccellenza della crescita umana e culturale di cui la dad non è che un mero surrogato». Aliza ha lo sguardo della passionaria e, non a caso, mi esprime il suo pensiero mentre alle sue spalle la manifestazione indetta da Priorità alla Scuola va avanti sulle note di Edoardo Bennato proprio con il suo storico pezzo: “L’isola che non c’è“. 

Dopo di lei a raccontarmi qualcosa è Nadia Pericoli, quattordicenne studentessa della IV ginnasio(sezione C) al Gioberti. Nadia si ritiene privilegiata poiché figlia di genitori attenti al dialogo e alla riflessione, genitori che le danno consapevolezza e coraggio per scendere in piazza a reclamare il diritto dell’unica istruzione che ha senso d’essere: quella in presenza. Nadia, con la freschezza della sua età ma anche la forza dei propri ideali, sottolinea quanto non voglia che ci sia divisione e battaglia tra docenti, famiglie e allievi ma un unico coro di persone con l’obiettivo di non essere invisibili. Per l’amica e compagna di scuola accanto a lei, Ottaviana Varo, l’esserci in piazza equivale anche al raccontare le difficoltà della solitudine data da mesi di Dad e la fortuna, però, di aver trovato, seppur in poche settimane, una classe coesa e un gruppo solidale a cui appoggiarsi e trovare la motivazione per andare avanti. «Al Gioberti l’ora di studio asincrono, i gruppi di dialogo condiviso o i momenti per ideare e creare progetti a distanza ci hanno fatto sentire meno soli e hanno ricreato una sorta di classe, seppur lontana anni luce da ciò che può nascere in presenza. Mancano gli sguardi non filtrati dal video, le battute e il coinvolgimento del sapere. Manca un tutto».  

Quel tutto che, qualche momento prima che il Comitato tecnico scientifico nazionale e il Governo decretassero il ritorno in classe degli adolescenti, si auspicava la cittadina torinese Giuseppina Pipino. Anagraficamente lontana da Nadia e Ottaviana, 87 anni contro i loro 14, ma vicina a loro con il cuore. Tanto vicina da voler leggere, per paura di scordarne le parole, una lettera di auguri ai suoi nipoti liceali. “Cari Alice, Leonardo e Sara, vi auguro di tornare presto tra i banchi, di tornare a vivere, di riscoprire la curiosità per il sapere e di sperimentare i primi amori“.  Perché la scuola è anche questo. E ora, più che mai, deve trasformarsi nell’isola che c’è. Darle colore, renderla visibile nella nebbia dei decreti, liberarla dal giogo politico e mantenerla in piedi. Salda e incredibilmente vera.

Buon ‘primo giorno di scuola’, ragazzi!

(Gabriella Mancini)